Cassazione: va avvisato il collega prima di notificare il precetto

2.Cassazione Sezione Unite del 01.08.2012, n. 13797.

A questo punto, chi scrive ritiene opportuno richiamare l'attenzione di chi legge, su una recente pronuncia della Cassazione Sezione Unite del 01.08.2012, n. 13797 con la quale ha stabilito che costituisce illecito deontologico notificare il precetto senza informare la controparte.

Noi professionisti conosciamo l'iter da seguire per attivare o procedere ad un pignoramento in quanto appreso dalle tante ore passate sui libri e sui codici.

Difatti, per attivare un pignoramento occorre, in primis, munirsi di un titolo esecutivo ( si pensi, ad esempio, ad una sentenza su cui è stata apposta la formula esecutiva, ex art. 474 c.p.c.; il famoso “Comandiamo a tutti gli ufficiali giudiziari che ne siano richiesti e a chiunque spetti, di mettere a esecuzione il presente titolo, al pubblico ministero di darvi assistenza, e a tutti gli ufficiali della forza pubblica di concorrervi, quando ne siano legalmente richiesti” ex art. 475, comma 3 c.p.c., di cui abbiamo già parlato). L’apposizione della formula esecutiva è indispensabile per poter procedere ad esecuzione forzata.

Una volta in possesso del titolo esecutivo occorre, in secundis, notificare al debitore detto titolo e provvedere a redigere e notificare l'atto di precetto. Questa è la procedura che l'Avvocato, in ottemperanza al codice di rito, deve seguire. Spesso, però, ciò non è sufficiente per porre noi Avvocati al riparo da sanzioni disciplinari. Infatti, la sentenza n. 13797 del 2012, confermando  quanto stabilito dalla Cassazione a Sezioni Unite  con sentenza del 23.12.2009, n. 27214 ha provveduto ad integrare la procedura del codice di rito con quanto previsto dal Codice Deontologico Forense, di fatto, imponendo ulteriori adempimenti prima di poter ottenere l'adempimento coattivo del titolo esecutivo.

Analizziamo, quindi, l’iter logico-giuridico seguito dagli Ermellini delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Il punto di partenza è rappresentato dagli articoli 49 e 22 del Codice Deontologico Forense.

L’art. 49 (Pluralità di azioni nei confronti della controparte) dispone che “L’avvocato non deve aggravare con onerose o plurime iniziative giudiziali la situazione debitoria della controparte quando ciò non corrisponda ad effettive ragioni di tutela della parte assistita“ mentre l'art. 22 (Rapporto di colleganza) dispone che “L'avvocato deve mantenere sempre nei confronti dei colleghi un comportamento ispirato a correttezza e lealtà“.

Alla luce delle summenzionate disposizioni gli Ermellini sono giunti alla seguente conclusione: non è possibile attivare un'azione esecutiva e, pertanto, non è possibile notificare il titolo esecutivo e il precetto senza prima aver informato il legale della controparte, soprattutto se :

1) il credito per cui si procede è di modesta entità;

2) soprattutto quando manca un rifiuto espresso diretto ad escludere la volontaria esecuzione del titolo esecutivo (ad esempio non si è ancora a conoscenza della sentenza).

Quindi, solo dopo aver informato il difensore della parte inadempiente (si presume con raccomandata con ricevuta di ritorno – al fine di avere traccia certa della propria attività – e solo dopo che sia tornato l’avviso di ricevimento della raccomandata) dell'intenzione di ottenere l'adempimento coattivo del titolo esecutivo, sarà possibile procedere alla notifica del titolo esecutivo e del precetto per poter, poi, iniziare l'esecuzione forzata.

Con la sentenza n. 27214 pubblicata il 23.12.2009 è stato affermato il seguente principio “viola il Codice Deontologico Forense l’avvocato che sulla base di sentenza favorevole al proprio cliente, nonostante la modestia – in relazione alle condizioni economiche del debitore del credito accertato nella pronunzia giurisdizionale e pur in assenza di un rifiuto esplicito di dare spontanea esecuzione alla sentenza, notifichi al debitore atto di precetto (così aggravando la posizione debitoria di questo), senza previamente informare l’avvocato dell’avversario della propria intenzione di dare corso alla procedura esecutiva”.

Al difensore ritenuto responsabile è stata irrogata la sanzione disciplinare dell’avvertimento.

Ancora una volta la Suprema Corte, con l’enunciazione di principi di tale contenuto, richiama l’attenzione di noi Avvocati a riflettere sull’importanza della professione che siamo chiamati a svolgere; professione che richiede che sia tenuto un certo contegno e ciò, sia nel rispetto del dovere/diritto di difesa, sia nel rispetto del Codice Deontologico Forense che costituisce per noi Avvocati l’a, b, c, cui dobbiamo, quotidianamente, far riferimento.

 

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