Clamoroso "autogol" della Commissione Europea che considera "aiuti di stato" l'intervento di sospensione delle tasse agli imprenditori abruzzesi colpiti dal sisma del 2009 e chiede immediata restituzione

di Carlo Casini - Pasqua quest'anno è stata meno felice e gioiosa per circa 350 imprenditori abruzzesi che si sono visti recapitare altrettante cartelle esattoriali che impongono la restituzione di tutte le tasse non versate (poichè sospese dal Governo in virtù dell'evento sismico del 2009).

Ricordiamo che il tragico evento di cui si rammenta riguarda il sisma de L'Aquila, la cui scossa principale e più forte del 6 aprile 2009 nel pieno della notte alle ore 3.32 cogliendo di sorpresa tutta la popolazione causò, dati ufficiali alla mano, 309 vittime e circa 1.178 feriti. Un episodio sismico che ha avuto risonanza mondiale, tanto che tutto il mondo si è mobilitato per aiutare il popolo italiano. Gli sfollati hanno raggiunto circa le 50.000 unità e i danni sono stati veramente incalcolabili. Basti pensare che alla luce dei danni e delle vittime il sisma, secondo quanto riporta Wikipedia, risulta il quinto terremoto più distruttivo in Italia in epoca contemporanea dopo il terremoto di Reggio Calabria e Messina del 1908, il terremoto di Avezzano del 1915, quello del Friuli del 1976 e quello dell'Irpinia del 1980.

Aiuta di Stato: cosa sono e perchè l'Unione li vieta

Per "aiuti di Stato" nella terminologia usata nel diritto comunitario si intendono tutti i finanziamenti a favore di imprese o produzioni, sia provenienti direttamente dallo Stato, inteso in senso ampio (amministrazioni centrali, regionali, locali, ecc), sia da altri soggetti quali le imprese pubbliche, intese come quelle imprese nei confronti delle quali i poteri pubblici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un'influenza dominante per ragioni di proprietà, di partecipazione finanziaria o della normativa che le disciplina.

L'articolo 107, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (TFUE) precisa i presupposti che devono essere presenti affinché l'intervento costituisca un aiuto di Stato nel senso dato dal diritto dell'Unione europea a questo termine.

Le quattro condizioni richieste sono le seguenti:

· origine statale dell'aiuto (aiuto concesso dallo Stato ovvero mediante risorse statali);

· esistenza di un vantaggio a favore di talune imprese o produzioni;

· esistenza di un impatto sulla concorrenza;

· idoneità ad incidere sugli scambi tra gli Stati membri.

Gli interventi che presentano queste quattro caratteristiche sono qualificabili aiuti di Stato, indipendentemente dalla loro forma (es. sovvenzione, prestito a tasso agevolato, garanzia contro un corrispettivo non di mercato, vendita di beni, locazione di immobili o acquisizione di servizi a condizioni preferenziali per le imprese, riduzioni fiscali, partecipazioni al capitale di imprese a condizioni che non sarebbero accettate da un buon investitore privato operante in normali condizioni di mercato...).

In virtù della forte integrazione all'interno del mercato comunitario si può ritenere che siano rari i casi in cui un aiuto di origine statale che procura un vantaggio ad una o più imprese non abbia anche un impatto sulla concorrenza e sugli scambi tra gli Stati membri.

Deroghe

Lo stesso articolo 107, paragrafo 1 del TFUE prevede il principio dell'incompatibilità degli aiuti di Stato con il mercato interno. Il principio è dunque quello del divieto, ma esistono anche alcune deroghe a questo principio, contenute nel citato articolo 107, paragrafi 2 e 3, e negli articoli 93 e 106, paragrafo 2 del TFUE.

Gli aiuti sono sottoposti al controllo della Commissione, che li autorizza solamente quando rientrano in una delle deroghe previste dal trattato. Per l'applicazione della maggior parte delle deroghe la Commissione gode di un ampio potere discrezionale ma deve comunque motivare le sue decisioni. L'articolo 108 del TFUE dispone che anche il Consiglio possa stabilire che un aiuto è compatibile con il mercato interno e autorizzarlo, ma questo deve avvenire su richiesta di uno Stato membro, deliberando all'unanimità e solamente quando circostanze eccezionali giustifichino una tale decisione. I casi sono dunque rari. È dunque solamente in deroga al citato principio che gli aiuti possono essere autorizzati.

I c.d. "aiuti de minimis"

Vi sono agevolazioni concesse dagli Stati alle imprese che sono considerate aiuti d'importanza minore, in quanto di importo talmente ridotto da non essere considerate neppure aiuti di stato perché non in grado di alterare la libera concorrenza. La disciplina riferita a questo tipo di aiuti è costituita dal Reg. (UE) n. 1407/2013 e dal Reg. (UE) n. 360/2012.

Aiuti con obbligo di notifica

Per gli importi che sono da considerare aiuti di stato, il Trattato prevede un obbligo di notifica preliminare (allo stadio di progetto) alla Commissione di tutti i nuovi aiuti o le modifiche di aiuti esistenti. Un aiuto concesso senza autorizzazione della Commissione europea (o del Consiglio nei rari casi in cui questo avviene) è automaticamente "illegittimo".

Aiuti esenti da notifica

Da alcuni anni la Commissione ha adottato alcuni regolamenti (e una decisione) che esentano gli Stati membri dall'obbligo di previa notifica. Gli aiuti sono generalmente ritenuti compatibili dalla Commissione qualora perseguano un obiettivo di comune interesse. In genere, l'aiuto deve essere volto a correggere un fallimento del mercato. La normativa vigente è il Regolamento Ue n. 651/2014.

Il nuovo Regolamento generale di esenzione per categoria costituisce un elemento fondamentale della modernizzazione degli aiuti di Stato. Il campo di applicazione delle esenzioni dall'obbligo di notifica preventiva degli aiuti di Stato è stato ampliato. Dal 1 luglio 2014 gli Stati membri possono concedere aiuti di importi più elevati ad una categoria più ampia di imprese rispetto al precedente Regolamento (che era stato emanato nel 2008) senza doverli notificare alla Commissione per l'autorizzazione preventiva, se sono rispettate talune condizioni.

La gamma delle categorie di aiuti in esenzione da notifica ora comprende: gli aiuti ai poli di innovazione, i regimi di aiuto per ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali, gli aiuti per le infrastrutture a banda larga, gli aiuti per la cultura e la conservazione del patrimonio, gli aiuti per lo sport e infrastrutture multifunzionali ricreative, gli aiuti agli investimenti per le infrastrutture locali.

Le reazioni: il ricorso al Tar

Le ingiunzioni di pagamento sono state inviate dal Commissario ad hoc nominato dalla presidenza del Consiglio, Margherita Maria Calabrò, incaricato appunto del recupero delle somme a causa della decisione sovranazionale nei confronti di imprese pubbliche, private e professionisti, a cui necessariamente lo Stato deve dare attuazione.

Imprese e titolari di Partita IVA hanno presentato ricorso al TAR contro la nomina del suddetto Commissario. L'udienza è fissata il 18 aprile venturo.

In via istituzionale il vicepresidente della giunta regionale dell'Abruzzo, Giovanni Lolli, ha convocato per i soggetti interessati per incontrarli al fine di definire "le urgenti azioni di mobilitazione istituzionale, giuridica e politica necessarie a contrastare le attività già avviate dal Commissario".

Il neo deputato del Pd, Stefania Pezzopane, ha invocato l'intervento del Governo che si formerà, nonché del presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani. Poi ha invitato alla protesta.

Sovranismo e Ue, convivenza impossibile che preferire?

Se è la prima volta che sentite il termine "sovranismo", forse siete un po' distanti dalla realtà politica moderna. Il sovranismo, dal francese "souverainisme", è una dottrina politica che sostiene la preservazione o la ri-acquisizione della "sovranità nazionale" da parte di un popolo o di uno Stato, in contrapposizione alle istanze e alle politiche delle organizzazioni internazionali e sovranazionali.

La sovranità nazionale è ceduta necessariamente, in porzioni eterogenee, all'atto di stipula di un trattato, perciò è un vincolo pattizio. Lo Stato essendo l'assoluto ed unico titolare (forse in co-gestione con il popolo fino ad accorparsi in un unicum, almeno così insegnano i principi democratici) della sua sovranità può decidere di cederla e in che misura, quando aderisce ad organizzazioni sovranazionali, naturalmente questa cessione è motivata dai vantaggi e miglioramenti che dovrebbe arrecare questa affiliazione.

Perciò, cedere sovranità come è accaduto con l'UE è all'opposto delle visioni sovraniste. Questa corrente di pensiero in Italia è stata cavalcata durante la campagna elettorale dai partiti che hanno vinto numericamente le elezioni (Lega e M5s) ma entrambi gli schieramenti, vinte le elezioni, hanno fatto un brusco retro front sul tema. Attualmente l'unico partito politico italiano ad ancorare saldamente il suo programma politico all'ideologia sovranista è solo Casapound.

Almeno in chiave politica, perciò, salvo bruschi cambi di orientamento (che potrebbero essere dettati proprio da casi come quello in epigrafe) l'Italia è ancorata all'Unione Europea.

Gli esponenti italiani della teoria sovranista

L'Avv. Marco Mori è da anni attivo politicamente ed è il sostenitore per antonomasia della teoria di recupero della podestà di imperio dello stato. Fra i tanti sostenitori della corrente di pensiero ho scelto proprio lui perché la sua preparazione in tema è notevole, tanto da scrivere un libro a riguardo, dal titolo: "il tramonto della democrazia: analisi giuridica della genesi di una dittatura europea".

E' stato uno dei primi ovviamente a denunciare la vicenda oggetto di questo articolo.

L'autore è durissimo nei confronti di Bruxelles: L'Unione Europea è praticamente un'associazione complottista, sorretta da banchieri e para-massoni che non ha alcun interesse verso i suoi stati membri se non quello economico. Non vi può essere accoglimento per posizioni mediate nella sua visione semplicemente perché l'Italia è vittima di un raggiro, i cui responsabili politici sono molteplici (Ciampi e Monti su tutti), dal quale il paese può, a detta dell'autore, liberarsi solo tramite una semplice ed univoca mossa: Uscire radicalmente dall'Unione. Fare stralcio di tutti i Trattati insomma.

"Sono nemici, criminali, che dobbiamo distruggere."

Queste sono le parole dell'Avvocato a riguardo dell'UE in un suo recente intervento pubblicato sotto forma di diretta via Facebook dalla sua pagina ufficiale. Nella stessa diretta, da buon giurista, ricorda che le calamità naturali sono espressamente menzionate nel "famigerato" Art. 107 TFUE come possibile causa di esclusione dal considerare un vantaggio come aiuto di stato. Pare però dal caso di specie, che il forte potere discrezionale della Commissione, possa derogare alle deroghe.

In verità, Marco Mori non si limita a dire solo questo, infatti accompagna al piano di uscita una serie di politiche attuative socio-politico-economiche. Su tutte, tornare a stampare moneta nazionale e una forte autarchia per contrastare le "contro-misure" europee. Per ulteriore approfondimento delle sue idee e per completezza espositiva, si rinvia ai suoi scritti.

Giudizi di valore

Stare a discutere sulla questione se sia opportuno uscire o rimanere dentro l'Unione Europea non è utile perché è strettamente legata alla ideologia e alla coscienza politica del singolo individuo. Quello che è certo è che l'Unione Europea ha commesso un grosso errore (un vero e proprio "autogol") nel chiedere la restituzione di quelle somme.

L'Italia e propriamente chi la governa è da anni che manca di carattere in ambito sovranazionale, rimanendo troppo passiva di fronte alle decisioni comunitarie. La politica del dialogo, dovrebbe essere uno degli aspetti centrali se non l'elemento cardine su cui basare il proprio status di membro, non viene adeguatamente rispettata e fatta rispettare. Purtroppo, la storia rivela che ad essere poco incline al dialogo spesso sono gli stessi vertici comunitari che qualora si fermano a sentire, spesso poi negli atti decisori dimostrano "orecchie da mercante".

Uscire dall'Unione Europea non è la fine del mondo, l'Inghilterra l'ha fatto ed è ancora in piedi. Deve essere però un atto di ultima istanza, quando appunto ogni tentativo di dialogo e di mediazione sia fallito. Allora lo Stato italiano può far valere le sue ragioni solo con un ultimatum, o ci ascoltate, o ce ne andiamo. Aut aut.

Questo però è possibile e concretizzabile solo con la collaborazione della classe politica, servono uomini carismatici e con personalità da vendere (insomma, il contrario del trend politico italiano degli ultimi anni).

Rimanere in un limbo di atteggiamenti passivi non migliorerà le cose, ma ci porterà al tracollo.

Un piccolo spunto in tal senso lo lancia lo scrivente con una proposta, priva di schieramento politico nella sua ideologia primordiale:

Art. 75 Costituzione: Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio [cfr. art. 81], di amnistia e di indulto [cfr. art. 79], di autorizzazione a ratificare trattati internazionali [cfr. art. 80].

Mentre è pacifico che la sovranità popolare non può essere esercitata riguardo a tasse, bilancio e amnistia e indulto (perché creerebbe la c.d. "votazione di comodo") è veramente assurdo e inammissibile che il popolo italiano, in una democrazia, non possa pronunciarsi sulla materia europea.

Anche perché, uscire dall'Unione Europea è possibile per mezzo dell'art. 50 del Trattato sull'Unione Europea, Brexit docet.

Allora la domanda è, perché porsi un limite in chiave di diritto interno?

L'unico modo per ovviare a questa proposta che non è posta in chiave pro-UE tantomeno in chiave sovranista è una delicata modifica dell'art. 75 Costituzione.

La modifica è delicata tanto per il suo iter procedimentale lungo e complesso che per la maggioranza politica che serve a sostenerla, una maggioranza che raramente si riesce a raggiungere anche per i tanti, contrapposti, interessi in gioco dei poteri forti.

In conclusione, quale che sia la strada da percorrere tra uscire, come accaduto nella Brexit o rimanere nell'Unione facendosi rispettare, che si intraprenda uno dei due percorsi con tenacia, perché l'inerzia rappresenta la certa sconfitta, adire una delle due vie, una possibile vittoria.

Avv. Carlo Casini - Roma, cap 00192, Via Cola Di Rienzo n. 111
Mail: avv.carlo.casini@gmail.com
PEC: carlocasini@ordineavvocatiroma.org

Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: