Questione di legittimità costituzionale delle norme del Jobs Act: ristoro inadeguato in caso di licenziamento

Licenziamento illegittimo e Jobs Act

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Inadeguata, perché non in linea con i principi internazionali e costituzionali, la tutela prevista in caso di licenziamento per per giustificato motivo oggettivo per quei lavoratori che vengono assunti in aziende di piccole dimensioni. Intendendosi per aziende di piccole dimensioni quelle che non impiegano lavoratori nella misura stabilita dall'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, dopo la riforma messa in atto dal Jobs Act, che prevede un'indennità compresa fra le 3 e le 6 mensilità.

Queste le conclusioni contenute nell'ordinanza del 24 febbraio 2021 del Tribunale di Roma, II sezione lavoro e previdenza(sotto allegata). Vediamo perché.

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e revoca

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Una maestra di lingua inglese, viene assunta con contratto a tempo indeterminato, in una scuola d'infanzia e primaria gestita da una società. Ad un certo punto, per ragioni di riorganizzazione aziendale l'insegnante viene licenziata, per giustificato motivo oggettivo, come previsto dall'art. 3 della legge n. 604/1966. La donna però impugna il licenziamento

, dichiarandosi disponibile a riprendere il servizio. La datrice revoca il licenziamento e offre alla maestra la possibilità di riprendere il lavoro alle stesse condizioni contrattuale applicate prima del licenziamento.

La dipendente però eccepisce la tardività e l'inefficacia della revoca e continua quindi ad impugnare il licenziamento intimatole.

Infondate e insussistenti le ragioni del licenziamento

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La maestra, nel contestare il licenziamento, mette in evidenza l'insussistenza e l'infondatezza dei motivi che hanno condotto la datrice a porre fine al rapporto di lavoro:

  • la riorganizzazione aziendale addotta a giustificazione del licenziamento è stata messa in atto senza verificare concretamente la ricollocazione della lavoratrice all'interno dell'azienda;
  • il suo posto di lavoro non è stato soppresso;
  • la riorganizzazione non ha avuto come conseguenza un ridimensionamento aziendale. Nessun cambiamento è stato apportato al personale;
  • le classi in cui la maestra era impiegata nel tempo sono addirittura aumentate e in ciascuna di esse è stato utilizzato nuovo personale;
  • nella scelta dei lavoratori da licenziare l'azienda non ha applicato i criteri contemplati dall'art 5 della legge n. 223/1991.

Illegittimo il recesso del datore di lavoro

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La maestra fa presente altresì che il giustificato motivo a cui ha fatto ricorso il datore per giustificare il suo licenziamento dal datore di lavoro è insussistente e che:

  • il rapporto di lavoro è sorto dopo il 7 marzo del 2015;
  • al contratto risultavano applicabili le tutele crescenti previste in particolare dagli articoli 3 e 9 del Jobs Act contenuto nel D.Lgs. n. 23/2015;
  • l'azienda datrice, priva dei requisiti contemplati dall'art. 18, co. 8 e 9 della legge n. 300/1970, se la domanda fosse stata accolta, avrebbe corrisposto un indennizzo non superiore alle 6 mensilità dell'ultima retribuzione percepita dalla stessa.

Per la maestra è quindi necessario accertare l'insussistenza del giustificato motivo addotto e/o la violazione del requisito della motivazione e la risoluzione del rapporto di lavoro.

Il tutto con condanna della datrice di lavoro al pagamento delle indennità previste dall'art. 9, co. 1, del D.Lgs. 23/2015 e con la richiesta al Giudice di sollevare questione di costituzionalità della degli articoli 3 e 9 del Jobs Act perché contrari agli artt. 3, co. 1, 4, art. 35 co. 1, Cost. E art. 117, co. 1, Costituzione, in relazione all'art. 24 della Carta sociale europea.

La questione di legittimità costituzionale è rilevante

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Nel merito il Tribunale rileva che è stato dimostrato pienamente il rapporto di lavoro, che è illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo perché la dipendente è riuscita a dimostrare che è privo di fondamento e infine che è rilevante la questione di costituzionalità relativa all'art. 3 e 9 del dlgs n. 23/2015.

L'indennità risarcitoria prevista per i dipendenti delle piccole imprese

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L'art. 9, co. 1, del decreto legislativo n. 23/2015, dedicato alle piccole imprese e organizzazioni di tendenza prevede tutele specifiche per i dipendenti dei datori di lavoro che non presentano i requisiti contemplati dall'art. 18, co. 8 e 9 della legge n. 300/1970. Dette disposizioni fanno riferimento in particolare ai dei datori di lavoro, siano essi imprenditori e non imprenditori, alle cui dipendenze si trovano più di 15 lavoratori, o più di 5, se si tratta d'imprenditori agricoli, e quelli che, imprenditori e non imprenditori impiegano più di 60 dipendenti.

L'art. 9 al comma 1 dispone infatti in particolare che: 1.Ove il datore di lavoro non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all'articolo 18, ottavo e nono comma, della legge n. 300 del 1970, non si applica l'articolo 3, comma 2, e l'ammontare delle indennità e dell'importo previsti dall'articolo 3, comma 1, dall'articolo 4, comma 1 e dall'articolo 6, comma 1, è dimezzato e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità."

Ai lavoratori delle piccole imprese pertanto non è applicabile l'art. 3, co. 2 del D.Lgs. n. 23/2015. Di fronte a un licenziamento ingiustificato, infatti, si applica la sanzione dell'indennità risarcitoria nel rispetto dei parametri indicati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 194/2018 e della sentenza n. 150/2020:

  • anzianità di servizio del lavoratore,
  • numero dei dipendenti occupati,
  • dimensioni dell'attività economica,
  • comportamento e condizioni delle parti.

Riassumendo quindi, la tutela prevista dall'art. 9, co. 1, D.lgs. 23/2015 si applica ai lavoratori che dipendono da datori di lavoro che vengono individuati solo in base al numero dei dipendenti occupati e contempla la soluzione indennitaria minima delle 3 fino alle 6 mensilità.

Ristoro del tutto inadeguato

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La tutela prevista per i lavoratori che si trovano alle dipendenze di datori sotto-soglia è irragionevole perché prevede il limite massimo delle 6 mensilità, senza contemplare la soluzione alternativa della riassunzione.

Una misura che, come precisato anche dalla Corte Costituzionale, non garantisce l' "adeguato contemperamento degli interessi in conflitto" ossia "la libertà di organizzazione dell'impresa da un lato e la tutela del lavoratore ingiustamente licenziato dall'altro."

Il Tribunale rileva che nel contemperamento degli interessi, è necessario assicurare un ristoro adeguato per il pregiudizio subito dal lavoratore e correggere anche il disequilibrio che di fatto esiste nel contratto di lavoro, scoraggiando il datore di lavoro a licenziare in modo ingiustificato.

L'art. 24 della Carta Sociale Europea tratta del "diritto dei lavoratori licenziati senza un valido motivo, ad un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione". La giurisprudenza del Comitato Europeo dei diritti sociali prevede invece che il risarcimento dovuto in caso di licenziamento illegittimo deve essere proporzionato alla perdita sofferta dalla vittima e dissuasivo per i datori di lavoro.

La disposizione di cui all'art. 9 del D. Lgs n. 23/2015 risulta quindi incostituzionale nella parte in cui stabilisce un limite massimo di importo indennizzabile, del tutto inadeguato e non dissuasivo per il datore del datore, se il licenziamento ingiustificato viene irrogato da un datore di lavoro privo dei requisiti dimensionali previsti dall'art. 18, commi 8 e 9, della legge n. 300/1970.

Il criterio per quantificare l'indennità risarcitoria contemplata dall'art. 9, co. 1, D.Lgs. 23/2015 non soddisfa pertanto i requisiti di adeguatezza sanciti dai principi costituzionali e sovranazionali.

Rilevante e non manifestamente infondata quindi la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, co. 1 del dlgs n. 23 del 2015. Per questo si sospende il giudizio, si ordina l'invio degli atti alla Corte Costituzionale, la notifica dell'ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri e la comunicazione della stessa ai Presidenti di Camera e Senato.

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Scarica pdf Tribunale di Roma ordinanza del 24/2/2021

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