Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo trova il suo fondamento in ragioni di ordine economico o organizzativo, che inducono il datore di lavoro a recedere dal contratto con uno o più dipendenti

Cos'è il licenziamento per giustificato motivo oggettivo

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Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo trova il suo fondamento in ragioni di ordine economico o organizzativo, che inducono il datore di lavoro a recedere dal contratto con uno o più dipendenti.

Tale provvedimento si distingue, pertanto, dai licenziamenti disciplinari per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, che conseguono, invece, a comportamenti colpevoli o negligenti del dipendente.

La legge esige che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo sia adottato solo in presenza di circostanze oggettive e verificabili, in mancanza delle quali il provvedimento può essere impugnato, come vedremo in seguito.

Quando ricorre il giustificato motivo oggettivo

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Sia le ragioni economiche che quelle organizzative possono autonomamente giustificare il licenziamento per cause oggettive.

Così, tale provvedimento può essere adottato in presenza di periodi di congiuntura economica, crisi finanziarie e crisi relative alla singola impresa, che può avere esigenze di rimodulare la sua attività, riducendo la produzione o eliminando determinati settori del suo organigramma.

Va notato che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo può essere deciso anche in conseguenza della sopravvenuta inidoneità fisica o psichica del lavoratore.

Obbligo di repêchage

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In tema di licenziamento per ragioni legate all'attività produttiva o all'organizzazione del lavoro, la giurisprudenza ha elaborato un'ulteriore forma di tutela del dipendente, nota con il nome di repêchage.

Tale pratica consiste nella valutazione, preventiva all'adozione del provvedimento di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, della possibilità di ricollocare il dipendente nell'ambito della stessa azienda, ad esempio in un diverso settore, anche con mansioni diverse e di minore rilevanza.

La ricollocazione costituisce, in sostanza, un obbligo per il datore di lavoro ogni qual volta sia possibile effettuarla, al fine di scongiurare la conclusione del rapporto.

Tentativo di conciliazione e preavviso

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Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo deve essere preceduto da apposito preavviso scritto recapitato al dipendente; in luogo di tale preavviso può aversi il riconoscimento della relativa indennità sostitutiva.

Nelle aziende con requisiti dimensionali maggiori, è obbligatorio esperire anche un tentativo preventivo di conciliazione presso la competente Direzione Territoriale del Lavoro.

Impugnazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo

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Il dipendente può impugnare il licenziamento entro 60 giorni e conseguentemente adire gli uffici del Giudice del Lavoro competente entro i 180 giorni successivi.

In tale sede, sarà il datore di lavoro a dover provare la sussistenza delle ragioni economico-organizzative che hanno portato alla sua decisione.

Il datore dovrà dimostrare anche la relazione di causalità intercorrente tra le motivazioni oggettive e il licenziamento del dipendente, nonché le ragioni che lo hanno portato a scegliere proprio quel lavoratore e l'impossibilità del suo ricollocamento in ambito aziendale, anche con eventuale riferimento alla sua sopravvenuta inidoneità psico-fisica.

Conseguenze dell'illegittimità del licenziamento

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Va notato che la disciplina normativa del licenziamento per giustificato motivo oggettivo è stata oggetto di numerosi interventi legislativi, da ultimo con la Riforma Fornero del 2012 e con il c.d. Jobs Act del 2015.

La disciplina attuale prevede che, per i dipendenti assunti dopo l'entrata in vigore del decreto attuativo del Jobs Act (7 marzo 2015) in aziende con più di 60 dipendenti o unità operative con più di 15 dipendenti, l'illegittimità del licenziamento per g.m.o. possa portare alla reintegrazione del dipendente nel caso in cui il giudice accerti il difetto di giustificazione, quando il licenziamento era stato motivato con la disabilità fisica o psichica del lavoratore (art. 2 ult. comma del d.lgs. 23/2015, attuativo del Jobs Act). In tal caso al dipendente spetta anche il risarcimento del danno.

Il successivo art. 3 del citato decreto 23/15, invece, dispone, al primo comma, che quando venga giudizialmente accertato che non ricorrono gli estremi per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità economica (laddove, invece, il successivo secondo comma prevede il reintegro del dipendente per i casi di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo in cui sia accertata la manifesta insussistenza del fatto materiale contestato).

L'importo di tale indennità è oggi compreso tra le 6 e le 36 mensilità, in virtù degli incrementi apportati dal c.d. Decreto Dignità (d.l. 87/2018, conv. in legge 96/2018).

Per le aziende di dimensioni inferiori alla soglia sopra esaminata, invece, il licenziamento illegittimo continua ad essere sanzionato con il versamento dell'indennità prevista dall'art. 8 della l. 604/66.

Per ulteriori approfondimenti, vedi anche la nostra guida generale sul licenziamento e la guida sul licenziamento per giusta causa.


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