La legge prevede che la pensione ai superstiti spetti anche al coniuge divorziato, in presenza di determinati requisiti e anche in concorso col nuovo coniuge

La pensione ai superstiti: di reversibilità o indiretta

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La c.d. "pensione ai superstiti" è un trattamento pensionistico riconosciuto in caso di decesso del pensionato o dell'assicurato in favore dei familiari superstiti, consistente in una quota della pensione del dante causa.

La "reversibilità" vera e propria è quella che spetta qualora il deceduto sia già in pensione, mentre nel caso di semplice assicurato si parla di pensione indiretta. Analoghe, in ambedue i casi, le modalità di erogazione, la misura e i casi di esclusione.

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In particolare, la pensione indiretta è riconosciuta nel caso in cui l'assicurato abbia perfezionato 15 anni di anzianità assicurativa e contributiva ovvero 5 anni di anzianità assicurativa e contributiva di cui almeno 3 anni nel quinquennio precedente la data del decesso.

Pensione ai superstiti: i beneficiari

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Diversi sono i soggetti che possono beneficiare della pensione ai superstiti. In primis il coniuge, compreso quello separato (purché il dante causa risulti iscritto all'Ente prima della sentenza di separazione) e anche in caso il coniuge sia separato con "addebito" (cioè per colpa), ma solo se è titolare di assegno alimentare a carico del coniuge deceduto, nonché la parte dell'unione civile e il coniuge divorziato.

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In subordine, nell'elenco dei beneficiari figurano i figli superstiti (legittimi, legittimati, adottivi, naturali, legalmente riconosciuti) che potranno avere diritto alla prestazione purchè, alla data del decesso del genitore, risultino essere: minori di 18 anni; studenti di scuola media superiore di età compresa tra i 18 e i 21 anni, a carico del genitore deceduto e che non svolgono attività lavorativa; studenti universitari per tutta la durata del corso legale di laurea e, comunque, non oltre i 26 anni, a carico del genitore deceduto e che non svolgono attività lavorativa; inabili di qualunque età a carico del genitore deceduto.

Per la Cassazione, il requisito della "vivenza a carico", se non si identifica indissolubilmente con lo stato di convivenza né con una situazione di totale soggezione finanziaria del soggetto inabile, va considerato con particolare rigore, essendo necessario dimostrare che il genitore provvedeva, in via continuativa e in misura quanto meno prevalente, al mantenimento del figlio inabile (cfr. Cass. n. 1861/2019).

In assenza di coniugi e figli, la legge prevede che possano godere della reversibilità anche: nipoti, che la Corte Costituzionale ha equiparato ai figli legittimati includendoli tra i destinatari della pensione di reversibilità, purché di età inferiore ai 18 anni e a carico del dante causa, anche se non formalmente affidati allo stesso; genitori con almeno 65 anni di età non titolari di pensione diretta o indiretta e a carico del dante causa al momento del decesso; fratelli celibi e sorelle nubili inabili al lavoro e a carico del lavoratore defunto.

Il coniuge divorziato: reversibilità e assegno divorzile

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Come anticipato, anche il coniuge divorziato è incluso nell'elenco dei beneficiari se è titolare di assegno di divorzio e non ha contratto nuovo matrimonio, purché il dante causa risulti iscritto all'Ente prima della sentenza di divorzio.

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Come affermato dalla prevalente giurisprudenza, il riconoscimento del diritto presuppone che il richiedente, al momento della morte dell'ex coniuge, risulti titolare di assegno di divorzio che, a norma della legge 898/70, ex art. 5 e successive modificazioni, sia stato giudizialmente riconosciuto dal Tribunale, dietro proposizione della relativa domanda e nel concorso dei relativi presupposti (mancanza di mezzi adeguati o impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive).

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E ciò dovrà essere avvenuto attraverso la sentenza che abbia pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ovvero attraverso la successiva sentenza emessa in sede di revisione. Non è, invece, sufficiente che il suddetto richiedente versi nelle condizioni per ottenere l'assegno in parola e neppure che, in via di fatto o anche per effetto di private convenzioni intercorse tra le parti, abbia ricevuto regolari elargizioni economiche dal de cuius quando questi era in vita (cfr. Cass. n. 11129/2019))

Inoltre, essendo possibile che l'assegno divorzile sia attribuibile anche successivamente alla pronuncia del divorzio, non si vede la ragione per la quale, intervenute le condizioni di bisogno, non sia attribuibile la pensione di reversibilità pur in assenza di un diritto all'assegno medesimo già accertato.

Assegno divorzile riconosciuto dopo la morte del coniuge

Tuttavia, sempre la Suprema Corte (cfr. sent. n. 24041/2019), ha ritenuto spettante la reversibilità all'ex coniuge in presenza di un provvedimento che aveva riconosciuto la titolarità dell'assegno divorzile pronunciato dopo la morte del coniuge, ma sussistente al momento in cui il divorziato aveva proposto domanda di attribuzione di una quota della pensione di reversibilità.

Ciò in quanto il fondamento dell'attribuzione al coniuge divorziato della pensione di reversibilità (o di una quota) trova fondamento nell'intento del legislatore di assicurare all'ex coniuge la continuità del sostegno economico correlato al permanere di un effetto della solidarietà familiare (Corte Cost. n. 419 del 1999) e che il requisito della previa attribuzione del diritto all'assegno divorzile si spiega con il fatto che la pensione di reversibilità prende luogo di detto assegno quando il coniuge obbligato decede.

Pertanto, si è ritenuto non potesse avere alcuna rilevanza la circostanza che l'accertamento che uno dei coniugi "non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive" fosse intervenuto, per motivi meramente accidentali, dopo il decesso. Ciò che è importante è che questo accertamento vi sia stato.

Reversibilità e assegno divorzile "una tantum"

La Cassazione a Sezioni Unite (cfr. sent. n. 22434/2018) ha affermato che, ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, la titolarità dell'assegno divorzile deve intendersi come titolarità attuale e concretamente fruibile dell'assegno periodico divorzile al momento della morte dell'ex coniuge e non già come titolarità astratta del diritto all'assegno divorzile già definitivamente soddisfatto con la corresponsione in unica soluzione.

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Niente reversibilità, dunque, qualora l'ex coniuge abbia percepito l'assegno divorzile in unica soluzione, poiché la corresponsione dell'assegno "una tantum" preclude la proponibilità di qualsiasi successiva domanda di contenuto economico da parte del coniuge beneficiario: si prende atto che il diritto all'assegno divorzile è stato definitivamente soddisfatto e che non esiste, alla morte dell'ex coniuge, una situazione di contribuzione economica periodica e attuale che vien a mancare.

Ripartizione quote tra ex e nuovo coniuge

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Qualora il coniuge deceduto abbia contratto un nuovo matrimonio, la percentuale di ripartizione dell'unica quota di reversibilità tra il coniuge superstite e il coniuge divorziato è stabilita dall'autorità giudiziaria con motivata sentenza su istanza delle parti interessate. In caso di morte di uno dei due coniugi titolari della pensione di reversibilità, al coniuge sopravvissuto viene attribuita la quota intera.

Per la giurisprudenza di legittimità, la ripartizione del trattamento di reversibilità, in caso di concorso fra coniuge divorziato e coniuge superstite, aventi entrambi i requisiti per la relativa pensione, deve essere effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei rispettivi matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi, correlati alla finalità solidaristica che presiede al trattamento di reversibilità.

Questi andranno individuati facendo riferimento all'entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge e alle condizioni economiche dei due, nonché alla durata delle rispettive convivenze prematrimoniali.

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Non tutti questi elementi, peraltro, devono necessariamente concorrere nè essere valutati in egual misura, rientrando nell'ambito del prudente apprezzamento del giudice di merito la determinazione della loro rilevanza in concreto (cfr. Cass., n. 18461/2004, n. 6272/2004, n. 26358/2011; n. 16093/2012).

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In particolare, alcuni attribuiscono alla convivenza prematrimoniale la funzione di indice correttivo da inserire all'interno del complessivo ed articolato giudizio che deve condurre alla adeguata determinazione delle quote (cfr. Cass., sent. n. 8263/2020), mentre per altri a tale criterio deve essere attribuito un autonomo rilievo nella determinazione delle quote di rispettiva pertinenza tra le parti ove il coniuge interessato provi stabilità ed effettività della comunione di vita prematrimoniale (cfr. Cass. n. 5268/2020).


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