Il riconoscimento dei danni punitivi nel Common Law inglese: origini, evoluzione e criticità. Il caso Rookes v. Barnard del 1964

I danni punitivi

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I punitive damages, anche chiamati danni esemplari, exemplary damages, sono il pagamento che un convenuto ritenuto colpevole di aver commesso un torto o un'offesa è ordinato di pagare oltre ai danni compensativi, quando questi ultimi sono ritenuti insufficienti. Sono specificamente progettati per punire i convenuti il cui comportamento è considerato gravemente negligente o intenzionale, ove il termine danni esemplari sta a significare che sono destinati anche a dare un esempio per scoraggiare altri dal commettere atti simili. Tali punizioni aggiuntive vengono attuate a seguito dell'iniziativa giudiziale di un privato e conducono ad una sentenza a favore di quest'ultimo, non trattandosi di una sanzione di carattere amministrativo, bensì di carattere giudiziale. Vengono commisurati con riferimento alla condotta di chi ha causato il danno, "act that is particularly wanton, malicious, evil, violent and fraudulent". Una giuria (o un giudice, se non c'è una giuria) può, a sua discrezione, emettere tale decisione nei casi in cui si riscontri che il convenuto ha arrecato danni all'attore intenzionalmente o "maliziosamente", o in cui il comportamento del convenuto rifletteva un disprezzo "consapevole", "negligente", "intenzionale", "insensato" o "oppressivo" per i diritti o gli interessi dell'attore. Il danno alla parte lesa può essere fisico, emotivo, finanziario o coinvolgere danni o perdite di proprietà. Due elementi essenziali sono ad essi connessi: punizione e deterrenza. "Punitive damages are given to the plaintiff over and above the compensation for the injuries, for the purpose of punishing the defendant, of teaching the defendant not to do it again, and of deterring others from following the defendant example". [1]

Rappresentano un'eccezione al principio più fondamentale nel moderno diritto dei rimedi, secondo il quale i danni per il torto dovrebbero ripristinare la vittima alla condizione pre-torto (restitutio in integrum); sono anomali e frequentemente criticati dal momento che le ragioni alla base di essi risiedono sia nel torto che nel reato, collocandosi a metà strada tra il diritto civile e il diritto penale. Oltre a punizione e deterrenza di determinate condotte, in particolare quelle dolose o intenzionali, diversi tribunali e commentatori hanno affermato che hanno anche altre funzioni. In particolare, esprimono l'indignazione delle vittime, dissuadono la parte lesa dall'intraprendere rimedi self-help, compensano le vittime per perdite altrimenti non risarcibili e rimborsano l'attore per le spese di causa che non sono altrimenti recuperabili.[2]

Origini, evoluzione e criticità

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I danni punitivi hanno una lunga storia nel diritto: antenato primordiale la dottrina dei danni multipli, una forma di danni punitivi misurati secondo una scala predeterminata.

Previsti nel diritto babilonese quasi 4000 anni fa nel Codice di Hammurabi, il più antico codice legale conosciuto, erano riconosciuti anche nelle Leggi Ittite del 1400 a.C., nel Codice dell'Alleanza ebraica della legge mosaica risalente a circa il 1200 a.C. e nel Codice di Manu dell'India, datato circa al 200 a.C. La base stessa del diritto civile romano antico, a partire dalle Dodici Tavole del 450 a.C., aveva natura punitiva, e diverse disposizioni nel diritto romano classico prescrivevano danni doppi, tripli e quadrupli. Il concetto giuridico di danni punitivi fonda le origini nell'Inghilterra del XVIII secolo, nel contesto di un sistema giudiziario particolare, basato sulle corti delle Assize, tribunali itineranti nel periodo medievale e post-medievale che, periodicamente, si spostavano al di fuori di Londra, per amministrare la giustizia a livello locale. Presiedute da giudici nominati dal sovrano, includevano giurie locali. Le Assizes avevano giurisdizione soprattutto su reati gravi quali omicidio, rapina e altri reati significativi. Hanno avuto un ruolo significativo nella storia giudiziaria dell'Inghilterra e del Galles fino alla riforma giudiziaria del XIX secolo. Risalenti al regno di Enrico II nel XII secolo, tale sistema giudiziario consentiva alla giurisdizione regia di gestire le dispute nelle contee, sostituendo le autorità giurisdizionali locali. Ciò comportava evidenti benefici economici, dal momento che la giustizia era soggetta a pagamento. Furono abolite nel 1971 con il Courts Act e la creazione delle Crown Courts. Tale riforma ha modernizzato e razionalizzato il sistema giudiziario britannico, riducendo la dipendenza dalle corti itineranti e consolidando l'autorità giudiziaria.

Spostandosi solo occasionalmente nelle zone periferiche del regno, le corti delle Assize, incontravano difficoltà nel raccogliere informazioni cruciali per la decisione della causa. Per ovviare al problema, i giudici itineranti potevano chiedere l'aiuto di una giuria locale di dodici persone per determinare i danni risarcitori per i torts. Inizialmente, i giurati avevano il potere di assegnare danni esemplari insieme a quelli compensativi, senza limiti precisi. Tale pratica di concessione di danni punitivi era quindi già diffusa a livello locale, quando nel 1763 una corte centrale confermò esplicitamente la loro legittimità. In quell'anno, la Court of Common Pleas si pronunciò sulla questione in due occasioni: Wilkes v Wood (KB 1763) 98 Eng Rep 489 e Huckle v Money (KB 1763) 95 Eng Rep 768. Da allora quella data è considerata tradizionalmente l'origine dell'istituto dei danni punitivi nell'ambito del diritto anglosassone. Nel caso Wilkes v. Wood, l'editore John Wilkes, noto per il suo attivismo politico, contestava la legalità di un mandato generale utilizzato per la perquisizione della sua casa da parte di Charles Wood, funzionario governativo, in seguito alla pubblicazione di un opuscolo, il North Brixton, considerato diffamatorio nei confronti del Re che, di conseguenza, aveva ordinato la perquisizione per trovare il manoscritto e procedere al suo sequestro. Wilkes intentò un'azione legale per trespass, sostenendo che i suoi diritti civili, in particolare il rispetto della proprietà privata, non potevano essere violati. La Corte accettò le richieste dell'attore e riconobbe il primo danno punitivo al fine di scoraggiare la ripetizione di comportamenti simili. Le istruzioni per la giuria autorizzavano specificamente il risarcimento dei danni che avrebbe punito il convenuto e dissuaso da futuri comportamenti scorretti, affermando che "I danni sono concepiti non solo come una soddisfazione per la persona lesa, ma anche come una punizione per il colpevole, per dissuadere da qualsiasi procedimento simile in futuro e come prova della condanna da parte della giuria verso l'azione stessa".[3]

Il caso successivo, Huckle v. Money, seguì a breve il precedente legale. La questione verteva ancora una volta sulla pubblicazione del North Brixton. In questo caso, l'editore del giornale era accusato di aver pubblicato il libro nonostante un divieto espresso. Arrestato e trattenuto sotto custodia per sei ore dal King's Messenger, l'editore non subì alcun danno fisico o psicologico significativo, e il danno economico fu minimo. Tuttavia, nella causa per il risarcimento del danno derivante dall'ingiusta detenzione, la giuria gli riconobbe un risarcimento di £300, nonostante si ritenesse che il comportamento del danneggiante non fosse stato particolarmente oltraggioso. I giurati giustificarono questo risarcimento sostenendo di aver visto un magistrato esercitare un potere arbitrario, violare la Magna Charta e cercare di sopprimere la libertà del Regno ("Saw a magistrate….exercising arbitrary power, violating Magna Charta, and attempting to destroy the liberty of Kingdom…"). Tuttavia, Lord Camden, un giudice della House of Lords, non condivise la decisione dei giurati poiché il danno effettivamente subito dal danneggiato non superava le £20. Assegnare, quindi, danni punitivi pari a £300, avrebbe significato arricchire eccessivamente la parte danneggiata. Questo caso segnò il primo tentativo di limitare il potere incondizionato della giuria nell'assegnare risarcimenti considerevoli. Si propose l'uso del writ of attaint, antica procedura legale del diritto inglese che consentiva di impugnare una sentenza di una giuria, affermando che i giurati avevano emesso un verdetto ingiusto o errato, che prevedeva la confisca dei beni dei giurati da parte della corona nel caso in cui fosse stato calcolato un risarcimento ingiustamente ed erroneamente elevato.[4] Il provvedimento proposto non venne mai attuato, probabilmente a causa della sua rigidità e severità. L'unico rimedio praticabile era quindi un processo di appello presso la corte dell'equity, istituzione del sistema legale inglese, che operava in parallelo alla common law, spesso offrendo rimedi più flessibili e giusti in situazioni in cui l'applicazione della legge comune avrebbe portato a risultati ingiusti o inadeguati. Anche questo non riuscì a frenare l'espansione dei danni punitivi. Le corti di common law tentarono allora di limitare tale espansione sviluppando nuovi rimedi per ridurre il potere delle giurie, senza tuttavia conseguire un impatto significativo sulle loro decisioni.

Poco dopo, anche i tribunali americani riconobbero i danni punitivi. Nel caso Genay v Norris (1784)1 SC 3, 1 Bay 6, vennero concessi al querelante, a causa delle lesioni riportate dopo aver bevuto vino contaminato con la Spanish Fly (insetto della famiglia dei coleotteri, chiamato "Lytta vesicatoria" o "Cantharis vesicatoria", noto per la sua secrezione contenente una sostanza chimica chiamata cantharidina, storicamente utilizzata in alcuni contesti come afrodisiaco, sebbene sia estremamente tossica e pericolosa per la salute umana se ingerita), offerto dal convenuto come scherzo, senza considerare le conseguenze dannose che ciò avrebbe potuto causare alla salute. Verso la metà del XIX secolo, divennero una parte consolidata del diritto americano, origine, tuttavia, di diverse controversie e fonti di disaccordo tra diversi giudici della Corte Suprema degli Stati. In un caso del New Hampshire del XIX secolo, la Corte osservò: "The idea is wrong. It is a monstrous heresy. It is an unsightly and unhealthy excrescence, deforming the symmetry of the body of law".[5] In contrasto, le osservazioni della Corte Suprema del Wisconsin poco dopo il cambio di secolo: "The law giving exemplary damages is an outgrowth of the English love of liberty regulated by law. It tends to elevate the jury as a responsible instrument of government, discourages private reprisals, restrains the strong, influential, and unscrupulous, vindicates the right of the weak, and encourages recourse to, and confidence in, the courts of law by those wronged or oppressed by acts or practices not cognizable in, or not sufficiently punished, by the criminal law".[6] Il testo sottolineava l'amore per la libertà regolata dalla legge; il ruolo del giurato, elevandolo a strumento responsabile del governo; lo scongiurare le azioni di vendetta privata; il porre un limite ai potenti, agli influenti e ai senza scrupoli; la difesa dei diritti dei più deboli; l'incoraggiare il ricorso ai tribunali e il riporre fiducia in essi; la compensazione per atti o pratiche non perseguibili penalmente o non puniti sufficientemente dalla legge.

Il caso Rookes v. Barnard del 1964

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Con il tempo, si sono manifestati dubbi sulla validità giuridica dei punitive damages nel sistema legale inglese, ritenendo che tale figura, sospesa tra diritto civile e penale, potesse generare confusione e mettere a rischio le garanzie processuali dei cittadini. L'assegnazione di danni punitivi, soprattutto se di entità elevata, veniva vista come un arricchimento indebito senza una giustificazione logico-giuridica. Le corti hanno di conseguenza tentato di limitarne l'applicazione, stabilendo l'ammissibilità solo in specifici casi, quali comportamenti oppressivi da parte di funzionari governativi o previsti dalla legge. La giurisprudenza ha altresì cercato di trovare un equilibrio tra le diverse opinioni dottrinali. Da un lato, si è riconosciuto il valore e l'utilità soprattutto per il loro effetto deterrente; dall'altro, i giudici hanno stabilito che la loro applicazione doveva essere limitata e soggetta a precise condizioni, come affermato nel caso Rookes v. Barnard del 1964, dove furono delineate solo tre situazioni in cui tali danni potevano essere concessi, differenziandosi nettamente dal modello statunitense: quando vi è un comportamento oppressivo, arbitrario o incostituzionale da parte di funzionari governativi; quando il comportamento del responsabile è calcolato per ottenere un profitto che supera notevolmente il risarcimento dovuto al danneggiato; quando sono espressamente autorizzati da legge.

Il caso Rookes v. Barnard ne ha circoscritto l'applicazione alle tre suddette categorie, delineate da Lord Devlin, giudice del caso, limitandoli ai torts extracontrattuali, tale restrizione basandosi sul principio che la funzione punitiva-deterrente dovrebbe essere prerogativa esclusiva del diritto penale. Tuttavia, per evitarne l'abrogazione, introdussero requisiti più stringenti per il loro riconoscimento, come l'action test, che richiedeva la dimostrazione che il tort fosse stato sanzionato prima del 1964. Tale requisito è stato in seguito rivisto nel caso Kuddus v. Chief of Leicester Constabulary del 2001, dove si è stabilito che l'attore non deve dimostrare la sanzione del tort prima del 1964, ma solo che il tort rientra nelle categorie individuate da Rookes v. Barnard. I danni punitivi, limitati ai torts extracontrattuali, sono tuttavia applicabili a una vasta gamma di torts intenzionali e comportamenti lesivi dei diritti civili, al fine di proteggere interessi importanti della personalità umana e dissuadere comportamenti illeciti simili. Molti altri aspetti e casi potrebbero essere esaminati in dettaglio; ci si è limitati ad una sintetica disamina, sottesa alla vastità e alla complessità dell'argomento. Il tema è infatti complesso e sotteso a diverse opinioni giuridiche, ove la sua natura controversa e le implicazioni legali e sociali che comporta rendono inevitabile un costante aggiornamento e dibattito.[7]

Conclusioni

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Sebbene molti giuristi anglosassoni abbiano accettato le categorie stabilite da Lord Devlin quali presupposti per l'assegnazione dei danni punitivi, non tutte le giurisdizioni del common law hanno condiviso questa posizione. Alcuni paesi del Commonwealth hanno addirittura espresso l'intenzione di respingere il caso Rookes v. Barnard, sostenendo che l'uniformità tra le giurisdizioni del common law non dovrebbe essere considerata un obiettivo primario. Questo indica che non tutti i sistemi legali appartenenti alla tradizione del common law sono necessariamente vincolati ai precedenti, e possono invece determinarsi autonomamente in taluni casi. Oggi, i danni punitivi sono disponibili in una vasta gamma di azioni, e le assegnazioni sono aumentate in frequenza e dimensioni, con arena principale gli Stati Uniti. Nonostante la controversia sulla loro appropriatezza, sono ampiamente disponibili in cinque paesi di common law: Inghilterra, Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti e Canada, nonostante si riscontri una mancanza di consenso sui fattori utilizzati per determinarne l'importo. Alcune giurisdizioni forniscono poche o nessuna indicazione al giudice o alla giuria che stabilisce l'ammontare del risarcimento, altre forniscono un elenco dettagliato di fattori. Nonostante tutti i Paesi abbiano adottato misure per limitare i danni punitivi eccessivamente elevati, tali misure variano notevolmente da Paese a Paese, così come gli standard per determinare cosa costituisce un risarcimento eccessivo. Di conseguenza, la legge e la pratica rimangono specifiche del Paese e non sono state armonizzate dalla globalizzazione. I Paesi differiscono sui fini che i danni punitivi perseguono, sulle azioni in cui possono essere concessi, sui fattori considerati nella determinazione dell'importo del risarcimento e su cosa costituisca un risarcimento eccessivo.

I danni punitivi hanno una lunga storia e rappresentano uno strumento flessibile che attraversa sia il diritto civile che quello penale, contribuendo agli obiettivi di entrambi. Sollevano una serie di obiezioni, sia sostanziali che procedurali, alcune più serie di altre ma tutte implicanti importanti questioni di equità nell'applicazione della dottrina. Tuttavia, la maggior parte dei problemi più gravi legati ai danni punitivi sembra avere soluzioni praticabili, e i problemi rimanenti sembrano essere in gran parte superati dai benefici che una corretta applicazione può apportare in una società libera rispetto alla legge penale. È essenziale definirne con attenzione la dottrina e fornire garanzie per prevenirne l'abuso. Tuttavia, nei casi di violazioni evidenti della legge, hanno il potenziale per migliorare le libertà private, promuovere l'uguaglianza, facilitare l'amministrazione della giustizia tra le parti private e favorire il benessere pubblico nel complesso.

Dott.ssa Luisa Claudia Tessore

Note bibliografiche

[1] Gotanda, J.Y. (2003) Punitive Damages: A Comparative Analysis. Villanova University Charles Widger School of Law Working Paper Series

[2] Eisenberg, T. et al. (2002) Juries, Judges and Punitive Damages: An Empirical Study. 87 CORNELL L. REV. 743

[3] Shlueter, L.L. & Redden, K.R. (2000) Punitive damages. Fourth edition, vol. I, ed. New York Lexis, p. 7.

[4] Brand, R.A. (2009) Punitive Damages and the Recognition of Judgments. Cambridge University Press:

[5] Fay v. Parker, 53 N.H. 342, 382 (1872) (criticizing and setting aside jury's punitive damages award in assault and battery action).

[6] Luther v. Shaw, 147 N.W. 17, 20 (Wis. 1914) (allowing punitive damages in action for breach of promise to marry).

[7] Taliadoros J. (2016) The Roots of Punitive Damages at Common Law: A Longer History. 64 Clev. St. L. Rev. 251


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