Per la Cassazione è corretta la ripartizione della reversibilità effettuata, tra ex e nuovo partner, in base alla durata dei rispettivi rapporti con alcuni correttivi equitativi

Ripartizione pensione di reversibilità

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L'attribuzione delle quote della pensione di reversibilità ex art. 9 della L. n. 898/1970, a favore dell'ex coniuge divorziato e del coniuge già convivente e superstite, va effettuata sulla base del criterio primario della durata dei rispettivi rapporti, a cui si aggiungono ulteriori elementi che andranno ponderati. Tale principio non viene scalfito da quanto previsto dalla Legge Cirinnà, poiché questa ha riconosciuto una tutela minima per il solo caso di bisogno del convivente di fatto.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, prima sezione civile, nell'ordinanza n. 11520/2020 (sotto allegata) respingendo il ricorso della seconda partner a cui la Corte d'Appello aveva assegnato il 20% della pensione di reversibilità erogata dall'INPS, mentre alla ex moglie era spettato l'80% del trattamento.

Per i giudici di merito, la netta prevalenza nei confronti della prima moglie appariva giustificata dal raffronto tra la durata delle due convivenze: quella con la prima moglie, lunga 36 anni e nel corso della quale erano nati 4 figli, contro i 16 della seconda relazione in assenza di prole. Per la Cassazione è corretta l'adozione da parte del giudice di merito, in via principale, del criterio della durata dei rispettivi matrimoni, temperato da criteri correttivi di carattere equitativo.

Il criterio della durata dei rispettivi matrimoni

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La giurisprudenza di legittimità, infatti, è ferma nel ritenere che, in tema di attribuzione delle quote della pensione di reversibilità ex art. 9 della L. n. 898/1970, a favore dell'ex coniuge divorziato e del coniuge già convivente e superstite, la ripartizione del trattamento economico va effettuata, oltre che sulla base del criterio primario della durata dei rispettivi matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi come l'entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge, le condizioni economiche dei due e la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali.

Ciò in forza del principio solidaristico secondo cui il meccanismo divisionale non è strumento di perequazione economica fra le posizioni degli aventi diritto, ma è preordinato alla continuazione della funzione di sostegno economico, assolta a favore dell'ex coniuge e del coniuge convivente, durante la vita del dante causa, rispettivamente con il pagamento dell'assegno di divorzio e con la condivisione dei rispettivi beni economici da parte dei coniugi conviventi (cfr. Cass. 16093/2012).

Famiglia di fatto e famiglia fondata sul matrimonio

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La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 491/2000 ha sottolineato che la diversità tra famiglia di fatto e famiglia fondata sul matrimonio rappresenta un punto fermo di tutta la giurisprudenza costituzionale in materia "ed è basata sull'ovvia constatazione che la prima è un rapporto di fatto, privo dei caratteri di stabilità e certezza e della reciprocità e corrispettività dei diritti e dei doveri che nascono soltanto dal matrimonio e sono propri della seconda".

Una ricostruzione che la Cassazione ritenga vada confermata anche in base a quanto previsto dalla Legge Cirinnà (L. n. 76/2016). Il legislatore, infatti, ha previsto l'applicabilità, per le unioni civili, di tutta una serie di norme di cui alla L. n. 898/1970 (compreso l'art. 9), nei limiti della compatibilità. Per le convivenze di fatto, invece, ricorrendo lo stato di bisogno, si è prevista l'applicabilità della disciplina in tema di alimenti.

Ciò, secondo il giudice di legittimità, confermerebbe che l'esistenza di diverse forme espressive dell'interesse dell'individuo a realizzare la propria personalità nelle formazioni sociali non comporta affatto una loro assoluta equiparazione, che finirebbe per negare la stessa ragion d'essere della distinzione.

Trattamento di reversibilità al convivente more uxorio

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Come si legge in sentenza, la distinta considerazione costituzionale della convivenza more uxorio e del rapporto coniugale, affermata dalla costante giurisprudenza della Consulta, non esclude affatto la comparabilità delle discipline riguardanti aspetti particolari dell'una e dell'altro che possano presentare analogie, ai fini del controllo di ragionevolezza a norma dell'invocato art. 3 della Costituzione.

Tuttavia, pur considerando la scelta del legislatore di riconoscere nel 2016 una tutela minima per il solo caso di bisogno del convivente di fatto, per la Cassazione resta il rilievo che, anche dal punto di vista delle conseguenze patrimoniali (e della conseguente correlazione con il diritto previdenziale), le situazioni restano distinte.

Peraltro, come rilevato dalla Consulta stessa (sent. n. 461/2000) la riferibilità dell'art. 2 Cost. "anche alle convivenze di fatto, purché caratterizzate da un grado accertato di stabilità" non comporta un necessario riconoscimento, al convivente, del trattamento pensionistico di reversibilità che non appartiene certo ai diritti inviolabili dell'uomo.

Scarica pdf Cassazione Civile ordinanza n. 11520/2020

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