La stretta di mano che ti stritola. La barba che tarda ad imbiancarsi malgrado sia del '59 ed il tempo passa anche per quel giovanissimo magistrato che Paolo Borsellino volle a lavorare con sé. Quell'incarnato che d'estate si fa biscottato. I più dispiaciuti, nonostante i rischi di un'attività usurante all'inverosimile, saranno i suoi amati ragazzi della scorta: poliziotti con stipendi modesti, esposti a rischi gravi e misconosciuti. La mente al pericolo autobomba in ogni istante, sono talvolta vittime di disturbi psichici anche gravi. Accompagnato dagli ultimi, ...affettuosi saluti della falange macedone trasversale dispiegatasi contro di lui (Marcello Dell'Utri, Fabrizio Cicchitto, Pier Ferdinando Casini - "se dovessi essere giudicato da Antonio Ingroia avrei qualche preoccupazione in più perché i magistrati debbono essere come la moglie di Cesare; qualche preoccupazione in più ce l'avrei, a prescindere dalla mia innocenza o colpevolezza ...non è affatto imparziale": questa è nuova, quando mai il PM giudica e processa? dal '92 Ingroia non ha mai giudicato nessuno! e finanche Valentino Parlato con l'editoriale sul "Manifesto" del 19 lug 2012 "mi dichiaro corazziere" in cui gli sforzi dei magistrati alla ricerca della verità, usando gli strumenti di indagine consentiti espressamente dal Codice di Procedura Penale
, diventano "attacchi alla Presidenza della Repubblica"), Antonio INGROIA lascia la Procura di Palermo e l'Italia dopo tanti anni di ottimo lavoro. Non è una fuga bensì una svolta professionale in linea di continuità con quanto fatto in tutti questi anni. A mio sommesso avviso è bene che il Dottor Antonio Ingroia lasci per un po' di tempo il nostro Paese; il clima è troppo arroventato, la pressione su di lui, che fa vita blindata da decenni, è ai limiti dell'umana sopportazione. Non sarà il nuovo Giudice di Pace
di San Severino Marche, bensì risponderà obbedisco alla chiamata del 19 giugno 2012 dell'ONU, che ha chiesto alla nostra "Excelentisima Senora Ministra" di avvalersi della grande professionalità ed esperienza del Procuratore Aggiunto di Palermo; ed il Guardasigilli Paola Severino ha dato il consenso al collocamento fuori ruolo per un anno; all'ONU Ingroia andrà a ricoprire un ruolo prestigiosissimo nella Comision Internacional contro la Impunidad en Guatemala: avrà il compito di dirigere l'unità di investigazioni e analisi criminale contro l'impunità. E' il miglior riconoscimento alla validità dell'apprezzato (all'estero) metodo investigativo di un pool e di un Magistrato di grande spessore culturale, professionale e personale, chiamato ad esportare, come avvenne per Giovanni Falcone, il modello italiano del contrasto giudiziario alla criminalità mafiosa.
Prima di partire per il Guatemala, ove farà quartier tappa per il suo incarico sperando che dall'America Centrale si vedano le partite dell'Inter di Stramaccioni, ha rinunciato alle ferie e, in una corsa contro il tempo, cercherà di definire i procedimenti pendenti, in primo luogo quello sulla trattativa (ma perché il Corriere della Sera continua con frequenza a scrivere "presunta"?) Stato-Mafia. Pubblico qui di seguito quanto ha postato sul blog che tiene sul "Fatto Quotidiano" Benny CALASANZIO BORSELLINO: "A settembre Ingroia ha confermato che lascerà Palermo, per un anno dice. Anche se temo che quell'anno in realtà sia un modo per convincere noi e se stesso che prima o poi tornerà. In queste ore è un fiorire di gruppi sui social network per chiedere al procuratore aggiunto di rinunciare, di non lasciare Palermo, di non lasciare l'inchiesta sulla Trattativa proprio adesso, soprattutto di non lasciare solo Nino Di Matteo e gli altri sostituti. Io in questo momento non me la sento di chiedere ad Ingroia qualcosa. So bene cosa abbia dovuto subire in questi anni, da ogni parte. Attacchi violenti ed espliciti dalla politica, dal Csm, e anche da alcuni colleghi magistrati. Ultimo della collezione il "pazzo" che gli ha tributato Marcello Dell'Utri... (omissis) Non so se bisognerebbe insistere, non so se bisognerebbe chiedergli di rimanere, o piuttosto lasciare che trascorra quest'ultimo mese in tranquillità. Certo fa male, e molto. Per una volta però noi abbiamo fatto fino in fondo in nostro dovere. Non gli abbiamo mai fatto mancare, nemmeno per un solo momento, il nostro affetto e il nostro appoggio. Lo abbiamo fatto moralmente ma anche di persona. Non possiamo rimproverarci nulla, non potevamo fare di più, non potevamo fare di più. Spero soltanto che ora chi invece non ha mai fatto nulla per proteggerlo dalle bombe mediatiche, taccia. Spero che tacciano i partiti politici che gli hanno fatto più danni di Berlusconi e del Pdl, con poche eccezioni tra cui l'Idv e i piccoli partiti della sinistra. Spero che taccia il Csm, che lo ha ammonito per essersi definito "partigiano della Costituzione". Spero che taccia il procuratore nazionale antimafia Grasso, che lo ha accusato non una ma più volte di fare troppa "politica". Per ora rimarrò in silenzio ad assorbire un colpo duro e inatteso anche se temuto. Mi mancherà certamente incontrare Ingroia agli incontri, ai convegni, in tribunale. Mi mancherà il suo "e quindi, e quindi…" quando qualcuno gli raccontava qualcosa e lui cercava distrattamente di capire mentre armeggiava con il suo Ipad. Ecco, forse qualcosa possiamo chiedergliela: la promessa che quell'anno duri davvero 365 giorni". Fonte "Il Fatto Quotidiano" edizione online diretta da Peter Gomez, autore BENNY CALASANZIO BORSELLINO, li 20 luglio 2012 (accesso delle h.13:30 del 21 lug '12). Va, da ultimo, specificato che il Procuratore Nazionale Antimafia Piero Grasso ha fatto mettere a verbale che la Procura di Palermo ha rispetto il protocollo di coordinamento delle indagini già ratificato oltre un anno fa. In proposito, rimando a quanto ho scritto nel pezzo andato online in contemporanea allo scoccare dei vent'anni dalla strage di via D'Amelio: h.17 circa del 19 luglio 2012. Non è chiaro allora il perché, nel messaggio inviato al Palazzo di Giustizia di Palermo per l'anniversario dell'eccidio, il Presidente della Repubblica Napolitano si sia così espresso (fonte Repubblica del 20.7.12, pag. 6, articolo di Alessandra Ziniti; ho riscontrato il testo nella pubblicazione integrale del discorso apparsa sul Corriere della Sera, in edicola quello stesso 20.7.12, pag. 2): "...è importante scongiurare sovrapposizioni nelle indagini, difetti di collaborazione tra le autorità ad esse preposte, pubblicità improprie e generatrici di confusione". Questa frase ora riportata testualmente è preceduta da un passaggio che parte dall'esclusione di una ragion di Stato che possa giustificare ritardi e incertezze nella ricerca della verità (ma la sollevazione avanti alla Consulta del conflitto di attribuzione comporterà non una vera sospensione delle indagini, di certo una situazione di stallo per l'iter procedimentale) "specie su torbide ipotesi di trattativa tra Stato e mafia"; questo passo, come ha rilevato Fabrizio D'Esposito sul "Fatto Quotidiano" del 21.7.12, pag. 6), è ambiguo: "l'aggettivo 'torbide' si riferisce alla trattativa oppure alle inchieste dei pm?" si interroga l'articolista della testata diretta da Antonio Padellaro. Alle h.19:39 del 20 luglio 2012 dall'account remigioalba@libero.it un lettore di Studio Cataldi si chiede: "Io non sono espertissimo di leggi, ma mi permetto fare una semplice considerazione: hanno più valore le prerogative del capo dello stato o la ricerca della verità?". Caro lettore, quel che sostengo è: il Capo dello Stato in Italia non è punibile per reati propri; più di così ... Introdurre per legge o per intervento ermeneutico o creativo della Corte Costituzionale (addirittura sollevando avanti a sé quale giudice a quo questione di legittimità in via incidentale) il divieto di intercettazione anche indiretta sarebbe eccessivo perché già le conversazioni del Presidente della Repubblica non sono assoggettabili ad intercettazioni dirette e non sono utilizzabili: MAI. Rendere il Capo dello Stato immune da intercettazioni indirette sarebbe eccessivo e lesivo dei diritti di difesa degli indagati/imputati. Nel bilanciamento tra prerogative già amplissime del Presidente e diritto di difesa, deve prevalere sempre quest'ultimo. Il Prof. Massimo Villone, autore di un analitico parere sulla prima pagina del "Manifesto" del 20.7.12 (ove è intitolato "Come deciderà la Consulta" e che prosegue a pag. 4 ove il titolo muta in "l'inquilino del Colle meno tutelato di un deputato?") afferma: "Ma una garanzia costituzionale non si restringe o allarga a fisarmonica in ragione del coinvolgimento di un terzo. La garanzia c'è o non c'è". Attenzione: la garanzia è la non punibilità, mica l'esenzione assoluta da intercettazioni. La protezione costituzionale del Presidente è assicurata dalla non punibilità. Il ragionamento del Prof. Villone, che, oltre ad essere un politico di lungo corso nel Pci-Pds-Ds senza però approdare nel Pd, è un costituzionalista titolare della cattedra alla Federico II di Napoli, estende troppo le prerogative presidenziale ed è agevolmente ritorcibile: perché mai il terzo imputato deve vedere compressi i suoi diritti di difesa sol perché dall'altro capo della cornetta, casualmente per chi ha disposto l'intercettazione, spunta la voce del Presidente? Poniamo in linea puramente teorica che la conversazione sia stata concepita con l'intercettato legittimamente Nicola Mancino che esordisce domandando all'illustre interlocutore: "Ti ricordi che io feci o non feci quella tal cosa?" ed il Presidente che risponde che sì, si ricorda eccome. Non vedo come potrebbe, in uno Stato democratico (in un concetto di democrazia in parte diverso da quello di Valentino Parlato del famoso editoriale dianzi menzionato, rilevando che alcuni dei suoi stessi lettori hanno escogitato confutazioni tecnicamente ineccepibili che smontano il ragionamento dell'ex Direttore), la difesa di Mancino essere privata, oltretutto senza neppure essere interpellata (se non erro, i primi sondaggi di Napolitano per il tramite dell'Avvocato dello Stato erano nel senso della distruzione immediata cui il Procuratore Capo Messineo rispose negativamente), di un simile elemento a discolpa. Il Capo dello Stato non è al di sopra della legge o, come sostennero nell'arringa finale avanti alla Consulta nel 2009 a proposito del Lodo Alfano i difensori di Primo Ministro dell'epoca (Gaetano Pecorella e Niccolò Ghedini), "primus super partes": in democrazia non esiste una figura del genere. L'avv. Ghedini si spinse a divisare che la legge "è uguale per tutti, ma non sempre lo è la sua applicazione" (fonte consultata il 21.7.12 h.18:30 "Italiadallestero.info come ci vede la stampa estera"). L'auspicio è che il relatore della Consulta sia un processualista, non un costituzionalista puro. Sotto il profilo giuridico il difensore dell'imputato può utilizzare anche la conversazione tra il suo difeso ed il Capo dello Stato o il Papa che dir si voglia e la distruzione può e deve avvenire soltanto avanti al GIP nel contraddittorio accusa-difesa. Ogni altra interpretazione è erronea perché non rispecchia, anzi smentisce le norme del Codice di rito e costituisce un abuso del diritto, sanzionabile per il Pubblico Ministero in sede disciplinare avanti al CSM. Questa è materia esplosiva e va maneggiata con la massima cura. Siamo nei gangli vitali del processo e del diritto di difesa ed al contraddittorio. S'impone attenzione massima prima di declinare ulteriori prerogative presidenziali non catalogate. Massimo Villone, nel contributo pubblicato sul "Manifesto" il 4.7.12, si spinge ad includere, tra le norme di condotta per i magistrati paerlmitani: "ritenendo non superabile il silenzio della legge sul caso specifico, avrebbero potuto, nell'assumere decisioni sulle intercettazioni, sollevare una questione incidentale di legittimità costituzionale della disciplina legislativa vigente". Non si può condividere una simile soluzione, non contemplabile nella fase. La parola passa alla Consulta. Tocca ai PM di Palermo, che dovranno cercarsi un avvocato, proseguire l'opera di Antonio Ingroia senza più quel parafulmine: "Vivo scortato da più di vent'anni, e credo di avere un bel rapporto con i poliziotti che proteggono la mia vita, con i quali trascorro più ore della giornata che con la mia famiglia. I miei figli sono nati mentre ero sotto scorta e sono cresciuti con questi 'amici' a fianco del padre. Sono diventati amici, siamo diventati amici. In vacanza, o nel tempo libero, si organizzano accesi tornei di calcetto, ai quali partecipiamo, rigorosamente, con le nostre magliette nerazzurre" scrive nel suo libro autobiografico "Nel labirinto degli dei", edito nel 2010 per il Saggiatore. Ma, ne siamo certi, Nino Di Matteo, Lia Sava e tutti gli altri Magistrati del pool moltiplicheranno l'impegno nel ricordo di quell'intuizione di Rocco Chinnici.
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