La Consulta dà il via libera al decreto legge che aveva riformulato le regole sull'indicizzazione delle pensioni

di Marina Crisafi - La perequazione attuata con il bonus Poletti è legittima. E' questo il verdetto della Consulta, attesissimo da giorni sulla costituzionalità del decreto legge 65 con cui l'esecutivo Renzi aveva riformulato le regole sull'indicizzazione delle pensioni dopo la bocciatura effettuata sempre dal giudice delle leggi dello stop imposto dal governo Monti all'adeguamento degli assegni oltre 3 volte il minimo per il periodo 2012-2013.

Perequazione pensioni: nessuna incostituzionalità

La questione sulla perequazione, ereditata dalla riforma Fornero e oggetto già di un ricorso nel 2015, ha portato al rimborso tramite il c.d. bonus Poletti. Per i ricorrenti, tuttavia, la misura era parziale e vi erano state penalizzazioni per 6 milioni di pensionati.

Da qui l'appello su cui oggi si è pronunciata la Corte Costituzionale.

Ma la Consulta si legge nella nota emanata oggi "ha respinto le censure di incostituzionalità del decreto-legge n. 65 del 2015 in tema di perequazione delle pensioni, che ha inteso 'dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015'.

La Corte, prosegue ancora la nota, "ha ritenuto che, diversamente dalle disposizioni del 'Salva Italia' annullate nel 2015 con tale sentenza la nuova e temporanea disciplina prevista dal decreto-legge n. 65 del 2015 realizzi un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica".

Pensioni: la Consulta salva i conti pubblici

La decisione del giudice delle leggi, che inevitabilmente farà sorgere infinite polemiche, è dunque per la legittimità del decreto legge 65/2015 che ha riconosciuto, sebbene in parte, quanto non pagato ai pensionati per effetto dell'indicizzazione nel biennio 2012-2013.

Il meccanismo di perequazione stabilito con il provvedimento prevedeva il 100% per assegni fino a 3 volte il minimo, il 40% per quelli tra 3 e 4, il 20% tra 4 e 5, il 10% tra il 5 e il 6 e nulla per gli importi superiori a 6 volte il minimo.

Una decisione contraria avrebbe avuto effetti notevoli sui conti pubblici, in quanto in ballo vi erano oltre 21 miliardi di euro, visto che con il decreto lo Stato ha speso in pratica 2,8 miliardi di euro contro i 24 stimati.


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