Nonostante molte ordinanze sindacali vietino di alimentare cani e gatti in libertà, cosa rischia in concreto chi dà da mangiare ai randagi?

di Lucia Izzo - Sfamare gli animali randagi è un comportamento lecito? L'argomento, da sempre oggetto di dibattito, è tornato alla ribalta nelle ultime settimane, complice l'ordinanza emanata dal Sindaco di Cocullo (AQ), Sandro Chiocchio, in merito alla somministrazione di alimenti a gatti randagi.

Divieto di dar da mangiare ai randagi: il caso de L'Aquila

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In particolare, il primo cittadino ha sancito il divieto di dar da mangiare ai gatti randagi in centro storico, pena una multa da 25 a 250 euro. Pronte le reazioni delle associazioni animaliste: per Walter Caporale, già Capogruppo regionale dei Verdi per due Legislature, attualmente Presidente di Animalisti Italiani Onlus, il provvedimento sarebbe "in contrasto con la normativa nazionale e regionale sulla prevenzione del randagismo e sulla tutela degli animali di affezione".

Caporale ha aggiunto che "imporre il digiuno è illegittimo, se non crudele", anche secondo copiosa giurisprudenza, e che il divieto di sfamare gli animali rientri "nella categoria del maltrattamento e quindi perseguibile penalmente".

Il sindaco, invece, si è difeso affermando che "L'ordinanza non è né contro i gatti, né contro i cittadini che danno loro cibo" in quanto "le strade oggetto di ordinanza sono quelle in cui non è presente alcuna area verde dove i gatti possano espletare i propri bisogni fisiologici e, essendo continuamente ingozzati di cibo fino allo stare male, producono escrementi che rendono impraticabili le stesse strade, minando la salute pubblica". Il primo cittadino ha soggiunto che il borgo è molto piccolo e circondato dal verde e i gatti possono "essere nutriti anche a poche decine di metri di distanza dalle strade principali".

A seguito delle polemiche e delle proteste che hanno seguito l'ordinanza, Chiocchio si è comunque reso disponibile a incontrare le associazioni e i movimenti animalisti per discutere "la tematica del randagismo in un confronto sereno, onesto e costruttivo per giungere alla soluzione del problema".

Sfamare i randagi: cosa dice la legge

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La possibilità di dar da mangiare ai randagi è stata spesso oggetto di valutazione da parte della giurisprudenza, poiché sono molti i Comuni in cui sono fioccate ordinanze contro coloro che dispensavano cibo a cani e gatti di strada.

D'altronde, non è raro che i primi a lamentarsi siano i cittadini stessi, che sovente non guardano di buon occhio coloro che si occupano di sfamare i randagi, ritenuti colpevoli di creare disagi e problemi igienico-sanitari. Ma il problema assume una portata diversa quando è l'autorità a sanzionare, con multe anche assai rilevanti, chi si prende cura degli animali in libertà dando loro da mangiare o da bere.

In realtà, le incertezze derivano dal fatto che la legge sul punto non è esplicita, non prevedendo espressamente la liceità o meno di tale comportamento. Il testo di riferimento è la L. 281/1991, ovvero la Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo.

All'art. 1, il provvedimento prende una chiara posizione sulla tutela degli animali da affezione, stabilendo che questa debba essere promossa e disciplinata dallo Stato il quale condanna altresì gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti e il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l'ambiente.

La legge n. 281, inoltre, prevede che il Sindaco sia la massima autorità sanitaria, il padrone di tutti cani randagi sul territorio il quale risponde dell'incolumità pubblica. In particolare, i servizi veterinari delle unità sanitarie locali si occupano del controllo della popolazione dei cani e dei gatti mediante la limitazione delle nascite.

Oltre al menzionato controllo della riproduzione, la legge quadro prevede altre misure per tutelare gli animali da affezione, tra cui lo sviluppo dell'anagrafe canina, l'educazione del rapporto uomo-animale e dei proprietari di animali e la previsione di sanzioni amministrative e penali contro atti illeciti nei confronti degli animali.

È lecito dar da mangiare ai randagi? Il punto della giurisprudenza

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Prendendo le mosse proprio dalle legge n. 281/1991, la giurisprudenza si è spesso occupata della tematica. Ad esempio, nel recente provvedimento n. 958/2018, il TAR Campania ha accolto il ricorso di un'associazione contro l'ordinanza emessa da un Comune beneventano che vietava ai cittadini di alimentare i cani randagi nelle aree pubbliche.

Il Tribunale Amministrativo ha annullato l'ordinanza evidenziando come la mancata somministrazione di cibo in luoghi pubblici mettesse a rischio l'incolumità dei randagi che sarebbero potuti morire di inedia.

Inoltre, ha soggiunto il TAR, "l'interesse pubblico perseguito con il divieto di alimentazione non può identificarsi nel divieto di alimentazione di cani randagi o animali di affezione, bensì viceversa nell'esigenza di evitare il verificarsi di situazioni nocive o pericolose dal punto di vista igienico sanitario, le quali possono essere messe in pericolo dall'abbandono di rifiuti su suolo pubblico, avanzi di cibo o contenitori".

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In sostanza, il TAR ha ritenuto del tutto lecita la somministrazione di cibo in favore di cani randagi o animali da affezione vaganti in genere, purchè il deposito di cibo avvenga attraverso l'uso di appositi contenitori e a condizione che gli stessi vengano successivamente rimossi a cura degli stessi cittadini che hanno somministrato il cibo.

Tale successivo adempimento, d'altronde, costituisce un loro preciso obbligo, oltre che conforme al comune senso civico, la cui violazione risulta già proseguibile integrando la fattispecie di abbandono di rifiuti su suolo pubblico.

Ma il giudice campano non è stato l'unico a mostrarsi pietoso verso randagi: anche il TAR Puglia (sent. n. 525/2012), accogliendo il ricorso promosso da alcune associazioni zoofile locali contro un'ordinanza comunale, ha ritenuto che il divieto sindacale di offrire alimenti agli animali randagi apparisse in contrasto con la legge quadro nazionale n. 281/91, dettata a prevenzione del randagismo e a tutela degli animali d'affezione.

Nel caso esaminato era stata una relazione ASL a suggerire di bloccare la distribuzione del cibo in ambito urbano, avendo rilevato "un aumento dell'imbrattamento del suolo pubblico con conseguente aumentato rischio di trasmissione di infestioni da ecto ed endo parassiti alla popolazione".

Per i giudici, tuttavia, non solo l'ASL non ha fornito alcuna prova o studio comprovante l'affermazione sopra riportata, ma tra l'altro spetta proprio all'ASL stessa programmare le limitazioni e il controllo delle nascite attraverso la profilassi non solo degli animali "domestici" ma anche e soprattutto degli animali randagi.

Randagi: è maltrattamento il divieto di alimentazione

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Sulla stessa scia la decisione del TAR Calabria, sent. 1135/2015, che ha rilevato come, dalla cornice normativa di riferimento, emerga una "chiara predeterminazione legislativa favorevole all'adozione di misure diverse, da quelle del divieto di alimentazione generalizzato" per prevenire il fenomeno del randagismo, costituite in particolare dal "controllo delle nascite" mediante la sterilizzazione.

Pertanto, il TAR ha ritenuto di annullare la disposizione del regolamento comunale che prevedeva il divieto generalizzato e rivolto a tutti i cittadini di alimentare i cani randagi posto quanto stabilito dal leglsatore che ha vietato forme di maltrattamento degli animali a cui il Tribunale ritiene riconducibile il divieto di alimentazione.

Per i giudici amministrativi, l'amministrazione comunale è tenuta a esercitare i poteri regolatori in materia, limitati stante le previsioni del legislatore, bilanciando la tutela della salute pubblica e dell'igiene (cui è finalizzata la prevenzione del randagismo) con l'esigenza di protezione degli animali d'affezione, quali componenti del complessivo habitat naturale, in cui si inserisce la convivenza tra uomo e animale.

Cassazione: chi dà da mangiare ai randagi ne diventa responsabile

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A destare particolare scalpore e molte polemiche tra le associazioni animaliste è stata la sentenza n. 17145/2017 con cui la Corte di Cassazione ha ritenuto che colui che dà da mangiare a un randagio, anche se in maniera occasionale, ne diventa responsabile ed è tenuto a pagare i danni se l'animale morde un passante.


La vicenda originava dall'attacco a un passante da parte di due cani, usciti dalla recinzione di una villetta, il cui proprietario si era difeso dall'accusa di lesioni colpose per omessa custodia di aninali ritenendo che i non fossero suoi, ma randagi a cui aveva dato di tanto in tanto da mangiare.


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Per i giudici, l'insorgere della posizione di garanzia relativa alla custodia di un animale "prescinde dalla nozione di appartenenza" e sorge ogni qualvolta sussista una relazione anche di semplice detenzione tra l'animale e una data persona.


Nel caso in esame, a prescindere dall'appartenenza degli animali all'imputato, "si era inequivocabilmente costituito una relazione di detenzione tra lo stesso e i due cani che frequentavano il cortile delimitato della sua abitazione, trovando ivi ricovero e cibo e rispetto ai quali il ricorrente si era volontariamente assunto la custodia".



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