Basta la detenzione anche solo materiale non essendo necessaria un rapporto di proprietà per far sorgere la posizione di garanzia relativa alla custodia

di Marina Crisafi - Se dai da mangiare a un randagio, paghi i danni se lui morde. È questo quanto si evince dalla recentissima sentenza n. 17145/2017 della quarta sezione penale della Cassazione (qui sotto allegata).

La vicenda aveva per protagonista un passante improvvisamente attaccato da due cani usciti dalla recinzione di una villetta. Ad essere accusato di lesioni colpose è il proprietario per omessa custodia degli animali.

L'uomo però si rivolge al Palazzaccio lamentando che i cani non erano di sua proprietà e conseguentemente chiedeva l'esclusione di ogni profilo di responsabilità, trattandosi di cani randagi (come attestato anche dalla polizia municipale), senza microchip, che si erano introdotti del tutto fortuitamente nella sua casa.

Ma per gli Ermellini l'uomo ha torto.

In materia di lesioni colpose, premettono innanzitutto, è costante l'insegnamento della Cassazione secondo il quale "la posizione di garanzia assunta dal detentore di un cane impone l'obbligo di controllare e di custodire l'animale adottando ogni cautela per evitare e prevenire le possibili aggressioni a terzi anche all'interno dell'abitazione (sez. IV 16.12.2011 n.18814), laddove la pericolosità del genere animale non è limitata esclusivamente ad animali feroci ma può sussistere anche in relazione ad animali domestici o di compagnia quali il cane, di regola mansueto così da obbligare il proprietario ad adottare tutte le cautele necessarie a prevenire le prevedibili reazioni dell'animale (sez. IV, 10.1.2012 n. 6393)".

Inoltre, l'insorgere della posizione di garanzia relativa alla custodia di un animale "prescinde dalla nozione di appartenenza, di talché risulta irrilevante il dato della registrazione del cane all'anagrafe canina ovvero dalla apposizione di un micro chip di identificazione, atteso che l'obbligo di custodia sorge ogni qualvolta sussista una relazione anche di semplice detenzione tra l'animale e una data persona, in quanto l'art. 672 cod. pen. collega il dovere di non lasciare libero l'animale o di custodirlo con le debite cautele al suo possesso, da intendere come detenzione anche solo materiale e di fatto, non essendo necessario un rapporto di proprietà in senso civilistico".

Nel caso di specie, in maniera del tutto coerente alle emergenze processuali, i giudici di merito hanno dato atto che i cani erano fuoriusciti dal cancello dell'abitazione dell'uomo (da questi aperto), che lo stesso era solito accudire i due cani, dando loro da mangiare sebbene in maniera occasionale; che, inoltre, aveva rassicurato il passante sulla "indole docile e non mordace degli animali".

Per cui, alla stregua di tali circostanze il giudice di appello inferiva, con ragionamento logico e privo di incongruenze, concludono da piazza Cavour, che, a prescindere dall'appartenenza degli animali all'imputato, "si era inequivocabilmente costituito una relazione di detenzione tra - lo stesso - e i due cani che frequentavano il cortile delimitato della sua abitazione, trovando ivi ricovero e cibo e rispetto ai quali il ricorrente si era volontariamente assunto la custodia". Da qui il rigetto del ricorso.

Cassazione, sentenza n. 17145/2017

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