Secondo la giurisprudenza la semplice diffida non è un atto idoneo ad interrompere il termine per usucapire

Avv. Daniele Paolanti - L'usucapione è un modo di acquisto della proprietà che consente ad un soggetto che abbia esercitato il possesso in modo pieno, pacifico ed ininterrotto su di un bene di poterne divenire proprietario se il possesso perdura per tutta la decorrenza dei termini indicati dalla legge che per i beni immobili, ai sensi dell'art. 1158 c.c., è vent'anni ("La proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni"). Il possesso valido ai fini dell'usucapione è quello pieno, pacifico ed ininterrotto, il che ci induce a ritenere che esistano delle circostanze idonee ad interrompere i termini.

La diffida

La giurisprudenza ha ritenuto che la semplice diffida non sia sufficiente ad interrompere i termini. È infatti necessario che venga promosso un atto di rivendica in via giudiziale o la privazione del possesso per oltre un anno (fermo restando che se entro un anno dallo spoglio il proprietario non è stato reintegrato anche nel possesso l'interruzione si considera non avvenuta). Sono altresì atti idonei ad interrompere la decorrenza dell'usucapione

il riconoscimento espresso operato dal possessore del diritto del proprietario e la notifica dell'atto di citazione con cui il proprietario richieda la materiale consegna di tutti i beni immobili. La semplice diffida è inidonea dal momento che la Suprema Corte ha rilevato che gli atti di diffida e di messa in mora sono idonei ad interrompere la prescrizione dei diritti di obbligazione (vedi sul punto art. 2943 e ss. c.c.), ma non anche il termine utile per usucapire, "potendosi esercitare il relativo possesso anche in aperto e dichiarato contrasto con la volontà del titolare del diritto reale, cosicché è consentito attribuire efficacia interruttiva del possesso solo ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa, oppure ad atti giudiziali diretti ad ottenere "ope iudicis" la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapente, come la notifica dell'atto di citazione con il quale venga richiesta la materiale consegna di tutti i beni immobili in ordine ai quali si vanti un diritto dominicale, conformemente alle pronunce di questa Corte menzionate nella stessa sentenza impugnata, nel solco di un orientamento consolidato, ribadito anche più recentemente" (Cassazione civile, sez. II, 06/05/2014, n. 9682). Ancora, sempre la giurisprudenza di legittimità, ha invece ammesso che "mentre può legittimamente ritenersi atto interruttivo del termine della prescrizione acquisitiva la notifica dell'atto di citazione con il quale venga richiesta la materiale consegna dei beni immobili dei quali si vanti un diritto dominicale, non valgono invece ad interrompere il termine utile per usucapire nè gli atti di diffida nè quelli di messa in mora (pur essendo tali atti idonei ad interrompere la prescrizione dei diritti di obbligazione), in quanto il possesso si può esercitare anche in aperto contrasto con la volontà del titolare del corrispondente diritto reale".

Conclusioni

L'orientamento è pressoché consolidato. La diffida o messa in mora non è sufficiente ad interrompere i termini di usucapione. Tuttavia detto orientamento pone dei dubbi in capo all'interprete il quale ben potrebbe chiedersi: se il possesso rilevante ai fini dell'usucapione è quello pieno, pacifico ed ininterrotto, perché una contestazione semplice non vale quale atto diretto ad interrompere il termine? Non è la stessa sintomo della carenza del requisito di pacificità del possesso? Secondo la Suprema Corte no, perché può esercitarsi il possesso anche in aperto contrasto con la volontà del titolare del diritto reale.

Daniele PaolantiDaniele Paolanti - profilo e articoli
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Vincitore del concorso di ammissione al Dottorato di Ricerca svolge attività di assistenza alla didattica.

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