La Cassazione ribadisce l'incompetenza del tribunale di residenza del minore, anche se la decisione lo riguarda

di Marina Crisafi - A decidere sul divorzio è il giudice dell'ultima residenza dei coniugi o in alternativa del luogo dove risiede o ha domicilio il coniuge convenuto, mentre non conta la residenza del minore, sebbene interessato dai provvedimenti accessori. A stabilirlo è la sesta sezione civile della Cassazione con l'ordinanza n. 24099/2015 pubblicata oggi (qui sotto allegata), rigettando il ricorso proposto da un'ex moglie avverso la dichiarazione di incompetenza del giudice di merito sulla domanda di divorzio dalla stessa proposta.

La donna, infatti, proponeva domanda al tribunale di Firenze, città di residenza del figlio minore della coppia, ma il giudice fiorentino, accogliendo l'eccezione sollevata dall'ex marito, dichiarava la propria incompetenza territoriale in favore del tribunale di Prato, luogo di residenza dell'uomo, ex art. 4 della l. n. 898/1970 che radica la competenza sulla domanda di divorzio nel luogo di residenza del convenuto.

La donna non ci sta e invoca l'intervento della Cassazione, lamentando la violazione da parte del tribunale del dovere di interpretare l'art. 4 della legge sul divorzio, conformemente alla normativa europea (e in particolare al quinto, dodicesimo e trentatreesimo "considerando" nonché art. 12 del regolamento Ce del consiglio n. 2201/2003 del 27 novembre 2003) secondo la quale, alla norma va attribuito il significato secondo cui "qualora vi siano figli minori, il foro territorialmente competente è quello della residenza del minore, alla stregua del principio generale di salvaguardia del preminente interesse del minore posto dagli strumenti internazionali e comunitari e recepito nell'ordinamento nazionale dall'art. 709-ter c.p.c., introdotto con la l. n. 54/2006, e dalla consolidata giurisprudenza, che attribuisce al giudice del luogo di abituale residenza del minore l'adozione dei provvedimenti di cui agli artt. 330 e 333 c.p.c.".

Tutte le censure, per gli Ermellini sono infondate.

A mente dell'art. 4, comma 1, della legge 898/70, "la domanda per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio si propone al tribunale del luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio".

Non sono consentite pertanto interpretazioni alternative ed anzi per la S.C. sarebbe "manifestamente arbitrario far leva sulla giurisprudenza che radica davanti al giudice (per l'esattezza il tribunale per i minorenni ai sensi dell'art. 38 disp. att. c.c.) del luogo di residenza del minore la competenza all'adozione dei provvedimenti de potestate di cui agli artt. 330 e 333 c.c.".

Tali provvedimenti infatti ha proseguito la corte, "sono cosa del tutto diversa dalla decisione sulla domanda di divorzio dei genitori e anche dai provvedimenti accessori che il giudice deve assumere in ordine alla prole". E la competenza del tribunale del luogo di residenza del minore è prevista soltanto per i procedimenti di cui all'art. 710 c.p.c. relativi "alla modificazione dei provvedimenti riguardanti i coniugi e la prole conseguenti alla separazione, procedimenti questi del tutto diversi da quello di divorzio e nei quali l'interesse della parte convenuta non è centrale alla stessa maniera che in quello".

Né può inoltre valorizzarsi "oltre misura - ha concluso la Corte - il principio di tutela del preminente interesse del minore, che, per come declinato nell'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e nello stesso art. 3 della Convenzione Onu sui diritti del fanciullo del 1989, attiene al contenuto della decisione da assumere, piuttosto che al riparto di competenza".

Per cui, ricorso rigettato e confermata la competenza del tribunale di residenza dell'ex marito.

Cassazione, ordinanza n. 24099/2015

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