Nota di commento a una sentenza della sezione lavoro della Corte di Appello di Roma
dalla rubrica Law in Action di Paolo Storani - La Corte di Appello di Roma, Sez. Lavoro, con la sentenza depositata il 29 gennaio 2013, n. 377, fissa alcuni basilari principi in tema di impugnazione: "l'art. 434, 1° comma, c.p.c., come sostituito dall'art. 54, comma I lett. c-bis D.l. 22/6/2012, n. 83, convertito in legge 7/8/2012, n. 134, dispone: il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità: 1) l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.
La nuova disposizione, a parere di questa Corte territoriale, impone precisi oneri di forma dell'appello in quanto non si è limitata a codificare i più rigorosi orientamenti del S.C. (Cass., 24 novembre 2005, n. 24834; 28 luglio 2004, n. 14251) in punto di specificità dei motivi di appello, imposti dal vecchio testo dell'art. 434 c.p.c.
Nella nuova disposizione, infatti, non v'è più traccia dei motivi specifici, ma si prevede che l'appello, da proporsi come prima dell'intervento riformatore con ricorso contenente le indicazioni prescritte dall'art. 414, deve essere, a pena di inammissibilità, motivato.
Il che significa, a giudizio di questa Corte territoriale, che esso deve essere redatto nel modo più organico e strutturato rispetto al passato, quasi come una sentenza
: occorre infatti indicare esattamente al giudice quali parti del provvedimento impugnato si intendono sottoporre a riesame e per tali parti quali modifiche si richiedono rispetto a quanto formato oggetto della ricostruzione del fatto compiuta dal primo giudice". Ma leggiamo nella sua integralità l'illuminante pronuncia non senza aver ricordato che le due pronunce richiamate dalla Corte territoriale della Capitale affermano i seguenti principi: Cass., Sez. III, 28 luglio 2004, n. 14251: " L'inosservanza dell'onere di specificazione dei motivi, imposto dall'art. 342 c.p.c., integra una nullità che determina l'inammissibilità dell'impugnazione, con conseguente effetto del passaggio in giudicato della sentenza impugnata. (Principio affermato dalla S.C. in fattispecie relativa ad azione risarcitoria da sinistro stradale nella quale l'appellante compagnia assicuratrice si era limitata alla generica affermazione della mancanza di prova della responsabilità del conducente, senza investire il compendio probatorio utilizzato dal giudice di primo grado con specifici motivi di impugnazione)"; Cass., Sez. I, 24 novembre 2005, n. 24834 - "Il requisito della specificità dei motivi d'appello, fissato a pena d'inammissibilità dall'art. 342 c.p.c., esige la formulazione di censure che siano attinenti alla "ratio" della sentenza impugnata e contengano notazioni in fatto e in diritto potenzialmente in grado di infirmarla, senza che si richieda lo specifico richiamo delle norme applicabili (spettando al giudice d'individuarle), e senza che rilevi, al fine dell'ammissibilità dell'appello, l'indagine in ordine alla dimostrazione, alla consistenza e alla decisività delle allegazioni dell'appellante, trattandosi di questioni influenti in sede di esame del fondamento del gravame". Ma ora lasciamo davvero la parola alla Corte di Appello di Roma.

Corte di appello di Roma - Sezione Lavoro - Sentenza 15-29 gennaio 2013 n. 377 Fatto e motivi Pronunziando sul ricorso proposto da XXXX nei confronti di XXX ricorso volto alla condanna di quest'ultima al pagamento della somma di e 12.853,69 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali a titolo di differenze retributive, così ha statuito il Tribunale di Velletri, in funzione di giudice del lavoro: ...disattesa ogni diversa istanza, eccezione e deduzione, definitivamente pronunciando, condanna la XXX in persona del legale rappresenta, pro tempore al pagamento della somma di e 12.853,69, oltre rivalutazione monetaria sulla base degli indici I.S.T.A.T. annuali ed interessi legali, calcolati sulla somma anno per anno rivalutata, dalla maturazione al saldo, condanna la convenuta al rimborso delle spese di lite, da liquidarsi in favore del procuratore antistatario del ricorrente, che liquida in e 2.100,00 oltre iva e cpa come per legge. Con atto depositato il 24/9/2012 XXX ha proposto appello avverso detta sentenza, per chiedere che, in sua riforma, si dichiari che nulla è dovuto da essa appellante al XXX a titolo di differenze retributive; in via subordinata ha domandato che si ridetermini la somma dovuta tenendo conto delle censure sopra evidenziate; ha domandato che l'appellato sia condannato alla refusione delle spese dei due gradi del giudizio. Si è costituito in giudizio XXX, il quale ha contestato la fondatezza dell'appello e ne ha domandato il rigetto. Alla udienza odierna la causa è stata discussa e decisa con pubblica lettura del dispositivo. Il giudice di prime cure è pervenuto alla statuizione impugnata sulla scorta delle argomentazioni motivazionali che seguono: - era pacifico che il livello attribuito dalla società al XXX era quello che emergeva dalle buste paga; - era infondata la prospettazione difensiva della società secondo cui non spettava la somma di e 2.498,19 rivendicata a titolo di differenze retributive sul rilievo che per il periodo 1/4/2004-17/3/2006 il conteggio era stato elaborato con riferimento al V livello e non con riferimento al IV e tanto perché l'esame della tavola riassuntiva dei minimi tabellari per i livelli II, III e IV evidenziava che i conteggi erano stati correttamente sviluppati con applicazione dei minimi tariffari previsti in relazione ai diversi livelli nei quali il XXX era stato inquadrato nel corso del rapporto di lavoro (il giudice ha richiamato a fini esemplificativi la retribuzione rivendicata per i mesi di gennaio e febbraio 2005 per evidenziare che era stato fatto corretto riferimento ai minimi tabellari previsti per il IV livello); - le ore di lavoro indicate nei conteggi e, segnatamente, quelle risultanti dai prospetti paga di maggio 1992, dicembre 1993, aprile 1996, gennaio e settembre 1998, dicembre 2003, mensilità alle quali erano riferite le contestazioni formulate dalla società, erano conformi all'orario di lavoro osservato dal XXX nei termini quantitativi riferiti dai testi escussi (il giudice di Prime cure ha richiamato le deposizioni rese dai testi XXX) che avevano confermato quanto sul punto allegato dal ricorrente; - i conteggi esponevano per la più gran parte orari di lavoro inferiori alle 173 ore mensili mentre nel mese di ottobre 2003 il numero di ore lavorate (184) risultava conforme al dato esposto nella corrispondente busta paga; - le voci esposte nei conteggi relativamente a festività, straordinario, ferie e trasferte risultavano corrisposte nelle buste paga ma quantificate con riferimento a minimi tabellari diversi da quelli relativi all'effettivo livello nel quale il XXX era stato inquadrato nel corso del rapporto di lavoro; - quanto ai permessi e riduzione di orario di lavoro di cui all'art. 5 della parte generale del CCNL di categoria, dalla prova testimoniale era stata smentita la tesi difensiva della società, secondo cui i permessi annui retribuiti di 15 minuti al giorno erano fruiti, secondo prassi aziendale, all'inizio ovvero alla fine della giornata di lavoro: i testi XXX avevano avvalorato che l'orario di lavoro era pari ad 8 ore al giorno e non avevano confermato l'esistenza dell'uso aziendale allegato dalla società; le brevi pause di cui avevano parlato i testi. c.d. pausa caffè, non erano sussumbili entro la prospettata prassi aziendale rimasta senza alcun riscontro probatorio; spettavano dunque le differenze correlate a detti permessi. L'atto di appello (pagg. II e III) riporta le premesse in fatto che si leggono nella memoria di costituzione nel giudizio di primo grado (pagg. II, III e IV); lo svolgimento del processo di primo grado è descritto nella pag. IV. Nell'atto di appello sono riproposte le contestazioni formulate nei confronti dei conteggi allegati al ricorso di primo grado; l'appellante, riproponendo le eccezioni di insussistenza del diritto dell'appellato a percepire differenze retributive - erroneità e genericità dei conteggi allegati al ricorso di primo grado, deduce che la statuizione del giudice di prime cure in ordine alla correttezza di detti conteggi è destituita di fondamento, al pari della statuizione con la quale il giudice di prime cure ha affermato la correttezza dei conteggi in relazione al numero di ore mensili lavorate e al pari della statuizione con la quale il giudice ha accertato il diritto al ricalcolo delle voci retributive festività, straordinario, ferie e trasferte; l'appellante sostiene che il giudice non avrebbe tenuto conto del fatto che per gennaio e febbraio 2005 il minimo retributivo indicato come parametro di riferimento era di e 1.297,56 che era proprio del V livello e non del quarto; che, se i conteggi allegati al ricorso avessero tenuto conto dell'orario contrattuale di 40 ore settimanali avrebbero dovuto riportare sempre come numero complessivo di ore lavorate 173 e non il numero variabile riportato nei conteggi numero corrispondente alle ore indicate nelle buste paga, cifra, questa, anche inferiore a 173; che le voci festività, straordinario, ferie e trasferte erano state computate con riguardo al V livello e non con riguardo all'inquadramento effettivamente spettante al XXX . Nella prospettiva dell'appellante il giudice non aveva considerato che il ricorrente non aveva contestato quanto allegato nella memoria di contestazione nel giudizio di primo grado e che i testi escussi avevano confermato la fruizione di 15 minuti di permesso all'inizio o alla fine della giornata di lavoro e comunque durante la giornata di lavoro. L'art. 434 1° comma c.p.c, come sostituito dall'art. 54. comma I lett. c-bis D.l. 22/6/2012 n. 83, convertito in legge 7/8/2012 n. 134 dispone: il ricorso deve contenere le indicazioni prescritte dall'art. 414. L'appello deve essere motivato. La motivazione dell'appello deve contenere, a pena di inammissibilità: 1) l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. La nuova disposizione, a parere di questa Corte territoriale, impone precisi oneri di forma dell'appello in quanto non si è limitata a codificare i più rigorosi orientamenti del S.C. (Cass., 24 novembre 2005, n. 24834 n. 110; 28 luglio 2004, n. 14251, Cass., 24 novembre 2005, n. 24834; 28 luglio 2004, n. 14251) in punto di specificità dei motivi di appello, imposti dal vecchio testo dell'art. 434 cpc. Nella nuova disposizione infatti, non v'è più traccia dei motivi specifici, ma si prevede che l'appello, da proporsi come prima dell'intervento riformatore con ricorso contenente le indicazioni prescritte dall'art. 414, deve essere, a pena di inammissibilità, motivato. Il che significa, a giudizio di questa Corte territoriale, che esso deve essere redatto in modo più organico e strutturato rispetto al passato, quasi come una sentenza: occorre infatti indicare esattamente al giudice quali parti del provvedimento impugnato si intendono sottoporre a riesame e per tali parti quali modifiche si richiedono rispetto a quanto formato oggetto della ricostruzione del fatto compiuta dal primo giudice. Con la conseguenza che non solo non basterà riferirsi alle sole statuizioni del dispositivo, dovendo tenersi conto anche delle parti di motivazione che non si condividono e su cui si sono basate le decisioni del primo giudice, ma occorrerà anche, per le singole statuizioni e per le singole parti di motivazione oggetto di doglianza, articolare le modifiche che il giudice di appello deve apportare, con attenta e precisa ricostruzione di tutte le conclusioni, anche di quelle formulate in via subordinata. In conclusione a giudizio di questa Corte territoriale l'appello per superare il vaglio di ammissibilità di cui all'art. 434 c.p.c. deve indicare espressamente le parti del provvedimento che vuole impugnare (profilo volitivo); per parti vanno intesi non solo i capi della decisione ma anche tutti i singoli segmenti (o se si vuole, "sottocapi") che la compongono quando assumano un rilievo autonomo (o di causalità) rispetto alla decisione; deve suggerire le modifiche che dovrebbero essere apportate al provvedimento con riguardo alla ricostruzione del fatto (profilo argomentativi); il rapporto di causa ad effetto fra la violazione di legge che è denuniata e l'esito della lite (profilo di causalità). L'opzione interpretativa sopra esposta è l'unica che, a parere di questa Corte territoriale, garantisce che nel giudizio di gravame sia assicurata la garanzia costituzionale di cui all'art. 111 Costituzione, nei segmenti intimamente correlati del giusto processo e della durata ragionevole, anche con riguardo alla disposizione contenuta nell'art. 436-bis c.p.c. È infatti, assai più probabile che il giudice di appello riesca a pervenire in tempi ragionevoli alla definizione del processo quanto più i motivi si conformeranno in misura convincente allo stilema dell'art. 434 c.p.c. È evidente, inoltre, che quanto più gli appelli saranno sviluppati nel rigoroso rispetto dell'art. 434 c.p.c. tanto meno discrezionale sarà la valutazione di cui all'art. 436-bis c.p.c. e tanto più giusto sarà nel concreto il processo di appello. L'appello in esame, per essere stato depositato il 24/9/2012 soggiace alla disciplina di cui all'art. 434 c.p.c. nel testo vigente a far data dall'11/9/2012. Esso è costruito in maniera difforme rispetto alla previsione contenuta nell'art. 434 c.p.c. in quanto l'appellante, pur avendo indicato le singole statuizioni che non condivide, ha omesso di indicare le modifiche proposte con riferimento a ciascuna parte della sentenza. L'indicazione delle singole modifiche proposte era necessaria avuto riguardo alla esaustività e completezza della decisione impugnata, che si è confrontata in maniera analitica con le singole voci o capi di domanda, con i dettagliati conteggi allegati al ricorso introduttivo del giudizio e con le singole contestazioni formulate dalla parte convenuta.
Dalla analiticità e specificità delle singole statuizioni della sentenza impugnata, correlate ai conteggi allegati al ricorso introduttivo del giudizio, conseguiva per l'appellante un dovere di conformazione alle previsioni della nuova disposizione rigoroso e puntuale; in particolare l'assolvimento dei precetti contenuti nell'art. 434 c.p.c. avrebbe dovuto estrinsecarsi nella produzione di prospetti contabili alternativi rispetto a quelli allegati al ricorso di primo grado e posti a base della decisione impugnata; avrebbe dovuto estrinsecarsi in una proposta di modifica della statuizione che ha escluso alle cd pause caffè rilievo e significanza ai sensi dell'art. 5 del CCNL applicato al rapporto dedotto in giudizio; avrebbe dovuto individuare il testo di una nuova pronuncia volta a modificare le argomentazioni del giudice di prime cure in ordine alla inesistenza della prassi aziendale dedotta dalla società, quanto al regime di fruizione dei permessi ex art. 5 CCNL citato.
Tanto più che nelle conclusioni formulate nell'atto di appello è domandata, in via subordinata, la rideterminazione delle somme spettanti all'appellato, rideterminazione alla quale il giudice di appello non può e non deve per comando di legge pervenire in quanto non risultano indicate in relazione alle singole doglianze i corrispondenti valori monetari delle diverse voci retributive differenziali.
L'art. 434 c.p.c. nuovo testo conferma il principio affermato dal S.C. per cui il difetto che assiste l'impugnazione, impedendo l'esame nel merito del gravame, va trattato con la dichiarazione di inammissibilità e non di nullità: con la conseguenza che la condotta processuale dell'appellato non servirà in alcun modo a "recuperare" l'appello in quanto il vizio impedisce direttamente al giudice di comprendere per quale motivo la sentenza dovrebbe essere riformata e in quali precisi termini debba essere motivata.
Avuto riguardo alla novità della questione le spese sono compensate.
P.Q.M.
Dichiara l'inammissibilità dell'appello".
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