Per la Cassazione, ha diritto all'assegno sociale il papà che rimane al verde dopo aver donato immobili alla figlia

Assegno sociale per il padre che dona immobili alla figlia

Spetta l'assegno sociale al papà rimasto senza denaro dopo aver donato due immobili di sua proprietà alla figlia. Lo ha affermato la sezione lavoro della Cassazione con la sentenza n. 7235/2023.

L'uomo ricorreva avverso la sentenza della corte d'appello di Napoli che aveva rigettato la domanda volta alla corresponsione dell'assegno sociale di cui all'art. 3 comma 6 l. 335/1995. La corte territoriale riteneva che l'istante avendo donato alla figlia i due immobili di cui era titolare, riservandosi su uno di essi il diritto di abitazione, avesse creato da solo la sopravvenuta situazione di bisogno di talché oltre a non essere provato che la beneficiaria della donazione non fosse in grado di garantirgli alcun sussidio, la condizione di impossidenza doveva considerarsi frutto di una sua scelta volontaria, come tale preclusiva dell'accesso alla provvidenza.

L'uomo adiva, quindi, il Palazzaccio, lamentando che la corte di merito aveva rigettato la sua domanda sul presupposto che lo stato di bisogno fosse conseguenza immediata e diretta della sua scelta di donare alla figlia entrambi gli immobili di cui era proprietario e che non fosse stata data prova dell'impossibilità per la figlia di garantirgli alcun sostentamento.

Per la S.C. il motivo è fondato.

Ricostruiti i fatti e il dictum dell'impugnata sentenza giova ricordare, scrivono i giudici, "che il diritto alla corresponsione dell'assegno sociale ex art. 3 comma 6, l. n 335/1995, prevede come unico requisito lo stato di bisogno effettivo del titolare, desunto dalla condizione oggettiva dell'assenza di redditi o dell'insufficienza di quelli percepiti in misura inferiore al limite massimo stabilito dalla legge, senza che assuma rilevanza che lo stato di bisogno debba essere anche incolpevole (così Cass. n. 24954/2021)".

Non vi è, continuano da piazza Cavour, "né nella lettera né nella ratio dell'art. 3, comma 6, l. n. 335/1995, alcuna indicazione circa il fatto che lo stato di bisogno debba essere anche incolpevole, rilevando al contrario nella sua mera oggettività di impossidenza di redditi al di sotto della soglia prevista dalla legge e che non consentendo il sistema di sicurezza sociale delineato dalla Costituzione di ritenere in via generale che l'intervento pubblico a favore dei bisognosi abbia carattere sussidiario, ossia che possa aver luogo solo nel caso in cui manchino obbligati al mantenimento e/o agli alimenti in grado di provvedervi, il rapporto tra prestazioni pubbliche di assistenza e obbligazioni familiari a contenuto latamente alimentare va costruito sempre in relazione alla speciale disciplina che istituisce e regola la prestazione che si considera, alla quale sola bisogna riferirsi per comprendere in che modo sulla sua corresponsione possa incidere la sussistenza di eventuali obbligati al mantenimento e/o agli alimenti, salvo ovviamente l'eventuale accertamento in concreto di condotte fraudolente che, simulando artificiosamente situazioni di bisogno, siano volte a profittare della pubblica assistenza".

Tali principi vanno ribaditi anche nel caso di specie in cui la condizione di impossidenza invece di essere conseguenza di una rinuncia all'esercizio di un diritto, derivi da una scelta volontaria avente ad oggetto la donazione di proprietà immobiliari che astrattamente avrebbero potuto essere fonte di reddito. Per cui il ricorso va accolto e cassata la sentenza impugnata.

Scarica pdf Cass. n. 7235/2023

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