Per il tribunale di Padova, è legittimo il controllo difensivo della datrice di lavoro che fa controllare da un'agenzia investigativa il dipendente che invece di lavorare fa shopping e va al bar

di Annamaria Villafrate - Il Tribunale del lavoro di Padova con decreto n. 6031/2019 (sotto allegato) rigetta il ricorso di un dipendente che ha contestato il licenziamento per giusta causa intimatogli dalla datrice. Dalle prove è emerso che il dipendente nell'orario di lavoro usciva dall'ufficio per fare spese, andare a casa o al bar, come risultante da un controllo effettuato da un addetto alla vigilanza dell'azienda. Dopo tale episodio la datrice decideva di far monitorare il dipendente per verificare il rispetto dell'orario di lavoro. Dalle prove fotografiche raccolte è emersa la condotta truffaldina del dipendente che invece di lavorare in diverse occasioni si allontanava dall'ufficio per diverso tempo per sbrigare faccende personale. Legittimo quindi il controllo difensivo messo in atto dalla datrice e conforme alla tutela della privacy prevista dalla CEDU perché finalizzato a tutelare gli interessi aziendali e perché consentito dalla legge.

Illegittimità del licenziamento

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Un dipendente si rivolge al Tribunale del lavoro per contestare l'illegittimità del licenziamento

intimato dalla società datrice per insussistenza del fatto contestato dal punto di vista giuridico e materiale, perché la condotta rientra tra quelle punibili con la sanzione conservativa. Chiede quindi la reintegrazione del posto di lavoro o la corresponsione dell'indennità sostitutiva e di quella risarcitoria prevista dall'art 18 della legge n. 300/1970 commisurata alle retribuzioni dovute dal licenziamento alla effettiva reintegra, in base all'ultima retribuzione globale corrisposta o nella diversa somma di giustizia. Il tutto oltre al versamento dei contributi INPS dovuti per legge dal licenziamento al reintegro e interessi. In via subordinata condannare la società datrice al pagamento di un'indennità risarcitoria pari a 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale o nella diversa somma dovuta. La società datrice si costituisce, chiedendo il rigetto delle richieste del lavoratore.

I controlli del datore di lavoro

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Dagli atti è emerso che la datrice ha assunto il ricorrente prima a tempo determinato e poi con contratto indeterminato con mansioni di tecnico sviluppatore in vista dell'apertura di nuovi punti vendita nelle zone di Bologna, Forlì e limitrofe.

Per lo svolgimento delle sue mansioni il lavoratore disponeva di un ufficio adiacente al punto vendita di Bologna, con ingresso indipendente, in cui lavorava solo, per cui non risultava sottoposto ad alcun controllo da parte di un superiore, anche perché costui godeva della massima fiducia della società datrice.

Come gli altri dipendenti il ricorrente doveva timbrare il badge in ingresso e in uscita dal lavoro, che si svolgeva tra le 8.00 e le 9.00 del mattino fino alle 17.30-18.30 di sera.

A un certo punto la società datrice rappresenta che provvedeva a inviare un proprio addetto all'Ufficio Sicurezza presso il punto vendita di Bologna per alcuni controlli e verifiche. In tale occasione facendo visita all'odierno ricorrente, l'addetto non lo trovava sul posto di lavoro. Da qui la decisione di effettuare attenti controlli sulle timbrature, esame da cui emergeva che il ricorrente spesso aveva inserito l'orario di lavoro manualmente e non con la timbratura del badge, come previsto.

La datrice decideva così d'incaricare un'agenzia investigativa per controllare il ricorrente. Al termine dell'indagine emergeva che il dipendente in diverse occasioni, tutte debitamente documentate anche con materiale fotografico, si assentava dal lavoro, non adempiendo quindi le mansioni previste da contratto per svolgere attività private come spese varie, colazioni e pranzi fuori con amici, rientri nella propria abitazione per eseguire o visionare lavori di ristrutturazione.

Da qui la decisione della datrice d'intimare il licenziamento per dipendente per giusta causa, stante la falsa attestazione della propria presenza in ufficio, mentre lo stesso in realtà era impegnato nello svolgimento di attività extra-lavorative.

Legittimo il ricorso a un'agenzia investigativa per controllare il dipendente

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Il nodo centrale della questione è comprendere se il ricorso della datrice a una società investigativa per controllare la condotta del dipendente è legittima o meno.

Il giudice del lavoro chiarisce subito che, l'impiego di una società investigativa per accertare fatti disciplinarmente rilevanti del dipendente è ipotesi ben diversa da quella contemplata dall'art. 4 dello Statuto dei lavoratori che contempla il ricorso a impianti audiovisivi e di altri sistemi che consentono il controllo a distanza dei dipendenti. La scelta della datrice rientra piuttosto nell'ipotesi contemplata dall'art 3 dello Statuto dei lavoratori, che prevede l'impiego di personale addetto alla vigilanza lavorativa.

Occorre chiarire a tal proposito che la giurisprudenza, per quanto riguarda il controllo messo in atto dalla datrice di lavoro, non lo vieta in senso assoluto e rigoroso. Il ricorso a investigatori privati infatti è ammesso se finalizzato ad accertare condotte penalmente rilevanti. Tali controlli sono stati qualificati infatti come "difensivi" e nel caso di specie è indubbio che il comportamento del dipendente configuri un illecito penale, consistente nel reato di truffa, stante l'ingiustizia del profitto derivante dall'attestazione contraria a realtà della propria presenza continuativa sul posto di lavoro, con conseguente danno economico del datore.

Il controllo messo in atto dalla datrice tramite agenzia è quindi da ritenersi legittimo perché finalizzato, non a controllare l'adempimento privatistico della prestazione lavorativa, ma eventuali effetti lesivi della condotta su interessi aziendali. Legittimo altresì l'utilizzo delle foto in giudizio, perché risultato non di un controllo a distanza costante, continuativo e indiscriminato e come tale non rientrante nelle previsioni dell'art 4 dello Statuto dei lavoratori.

Conformità dei controlli investigativi alla CEDU in tema di privacy

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Il Tribunale rileva come la CEDU ammette la restrizione della tutela della privacy purché essa trovi fondamento nella legge, persegua una finalità legittima e risulti necessaria a tutelare una società democratica.

Nel caso di specie il controllo era finalizzato a tutelare gli interessi aziendali e ad accertare condotte fraudolente. Finalità legittima, ai sensi dell'art 8 della CEDU a una restrizione della privacy del dipendente, anche perché effettuata non in virtù di una iniziativa arbitraria, ma frutto di una condotta incongruente del lavoratore.

Il Tribunale rileva come il controllo messo in atto fosse l'unico possibile e il meno invasivo, stante l'assenza di controlli da parte di personale con qualifica superiore sul posto. Da qui anche la scelta aziendale, non criticabile, di non procedere alla immediata contestazione disciplinare, preferendo prima compiere ulteriori attività di osservazione e accertamento.

Irrilevante infine che la società non abbia comunicato preventivamente il possibile compimento di un controllo a mezzo agenzia investigativa.

Leggi anche:

- Lecito assoldare l'investigatore per spiare il dipendente

- Cassazione: lecito l'utilizzo di investigatori privati per verificare illeciti del dipendente

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