Bollette troppo basse dell'immobile sito nel luogo di lavoro, provano che non è prima casa, il contribuente quindi deve pagare le tasse sulla plusvalenza

di Annamaria Villafrate - Per l'ordinanza n. 18936/2019 (sotto allegata) della Cassazione se l'immobile venduto prima del termine dei cinque anni previsti dall'art. 68 TUIR, ha generato costi di utenza inferiori rispetto alla dimora di proprietà in cui era fissata la residenza anagrafica, il contribuente è tenuto a pagare le imposte sulla plusvalenza.

La vicenda processuale

La Commissione tributaria regionale del Lazio accoglie l'appello dell'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della CTP di Roma che ha accolto il ricorso contro l'avviso di accertamento emesso nei confronti di V.M. in relazione alla plusvalenza derivante da cessione immobiliare ex art. 67 T.U.I.R., comma 1, lett. B) dell'immobile acquistato in data 30.10.2007 e rivenduto in data 2.12.2009 senza inserimento della plusvalenza nella dichiarazione fiscale." L'Agenzia delle Entrate ha constatato che l'immobile compravenduto non costituisce abitazione principale e assoggetta quindi a imposizione la plusvalenza.

Ricorre in Cassazione il contribuente, deducendo con il primo motivo la nullità dell'atto di accertamento perché la CTR non avrebbe preso in considerazione le prove prodotte dallo stesso da cui emerge la circostanza che utilizzava l'immobile di Milano come abitazione principale, visto che Milano era il luogo di lavoro "ai fini del superamento della presunzione derivante dalla residenza

anagrafica, sita in Roma nel periodo di tempo considerato". Con il secondo motivo invece il contribuente deduce la violazione o la falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. perché l'Amministrazione non ha dimostrato i fatti a fondamento della ripresa e perché egli ha provato che la propria residenza effettiva si trovava a Milano, nel periodo di tempo rilevante. L'Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Bollette basse provano che l'immobile non è prima casa

La Cassazione, nell'ordinanza n. 18963/2019 analizza congiuntamente i motivi del ricorso del contribuente, ritenendo entrambi inammissibili.

Gli Ermellini precisano in primis che "in relazione all'applicazione dell'art. 67 T.U.I.R., comma 1, lett. b) e dell'art. 68 T.U.I.R., "gli elementi che determinano l'esclusione della fattispecie normativa sono, da un lato, il non superamento di un certo intervallo temporale fra acquisto e vendita - requisito da intendersi nel senso che l'immobile de quo deve essere stato adibito ad abitazione principale del cedente "per la maggior parte del periodo intercorrente tra l'acquisto e la cessione" (Cass. n. 18846 del 2003) - dall'altro, la destinazione all'uso personale dell'acquirente e dei suoi familiari, secondo criteri oggettivi." (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 14270 del 13/07/2016).

Per comprendere meglio ricordiamo infatti che l'art. 67 TUIR (DPR n. 917/1986) comma 1 lettera b prevede che: " 1. Sono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell'esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, ne' in relazione alla qualità di lavoratore dipendente: (…)

b) le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione e le unita' immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l'acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari (...)" e che l'art. 68 TUIR, al comma 1 dispone che: " 1. Le plusvalenze di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo 67 sono costituite dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo."

Le presunzioni che hanno portato la CTR ad accogliere l'appello dell'Agenzia delle Entrate, nel caso di specie, risultano a tutti gli effetti gravi, precise e concordanti e come tali idonee a ribaltare l'esito del giudizio di primo grado, visto che la residenza del contribuente è rimasta a Roma, a fronte della sede di lavoro sita in Milano e perché i giudici di appello "hanno in particolare accertato in fatto l'esistenza di documentazione attestante maggiori costi sostenuti per servizi di energia elettrica, gas e telefono, per determinare che l'abitazione principale fosse in Roma." Le presunzioni prese in considerazione ai fini del decidere non sono state superate dal contribuente, ragion per cui è legittima la conclusione "secondo cui vi è stata plusvalenza da cessione dell'appartamento milanese acquistato dal contribuente da non più di cinque anni", non potendo in questa sede procedere a una rivalutazione delle prove.

Scarica pdf Cassazione ordinanza n. 18936-2019

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