Per il Tribunale di Milano è un atto di violenza idoneo a calpestare la dignità della donna e a far scattare la misura di protezione ex art. 342-bis

di Lucia Izzo - In materia di atti aggressivi violenti, anche un solo schiaffo rivolto dal marito alla moglie costituisce un atto di violenza idoneo a far scattare la misura di protezione ex art. 342-bis del codice civile. Lo ha stabilito il Tribunale di Milano, sezione IX civile, nell'ordinanza del 30 giugno 2016 (est. Buffone, scaricabile nel testo integrale su Ilcaso.it

Nella causa sottoposta alla sua attenzione, il Tribunale meneghino ha fatto applicazione dell'art. 342-bis c.c. a norma del quale "Quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all'articolo 342-ter". 

Come stabilito dalla Corte Costituzionale, sentenza n. 220/2015, richiamata nel provvedimento, in presenza della "causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente" il giudice, su istanza di parte, può ordinare la cessazione della condotta pregiudizievole e disporre l'allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente che se ne è reso responsabile, prescrivendogli, altresì, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall'istante. La Consulta ha chiarito che misure penali e misure civili concorrono senza necessariamente escludersi


La condotta del coniuge idonea ad attivare il meccanismo di protezione, deve essere tale da determinare un vulnus alla dignità dell'individuo e va apprezzata sia a livello "qualitativo" che quantitativo: nel primo caso, quanto alle concrete modalità idonee a rappresentare, per il futuro, un "grave pericolo"; quanto al secondo caso, quanto all'entità della condotta nel tempo, alla sua efficacia offensiva, alla sua dimensione psicologica.


Nel caso di specie la ricorrente ha descritto un marito incline ad atteggiamenti violenti, sia fisicamente che psicologicamente, senza cura del fatto che i figli potessero assistere agli agiti aggressivi; viene descritta peraltro una condotta protratta nel tempo e, dunque, abituale


Ciò è dimostrato da vari elementi indiziari dotati, però, di particolare efficacia dimostrativa, come il certificato ospedaliero in cui è appurato un trauma al volto determinato da aggressione perpetrata "dal marito ubriaco": in quella occasione, la moglie ha raccontato agli operatori sanitari di essere stata aggredita al volto dal coniuge, con schiaffi; di essere stata quindi inseguita dal marito con un coltello. Altro elemento di prova è la denuncia del 2016, rivolta alla Questura di Milano.


Il giudice precisa che, in materia di atti aggressivi violenti, anche un solo schiaffo rivolto dal marito alla moglie costituisce un atto di violenza, non potendo l'Ordinamento consentire mai e in nessuna misura che la dignità della donna sia calpestata dall'arbitrio altrui, non essendo il matrimonio il luogo in cui i diritti inalienabili delle persona possono essere sottomessi in ragione di logiche culturali o sociali.


In particolare deve escludersi, precisa il Tribunale, che una determinata consuetudine o determinati costumi culturali possano condurre ad accettare delle pratiche violente al fine di rispettare l'altrui patrimonio culturale o sociale: la Costituzione italiana funge da "filtro" rispetto alle abitudini culturali che vogliano far ingresso nel Paese, nel senso di non tollerare e soprattutto ammettere quelle che violino i diritti fondamentali, come tutelati a livello costituzionale. L'integrazione culturale presuppone l'esaltazione dei diritti e non la loro rinuncia. Per tali ragioni, il fattore culturale non ha alcuna valenza scriminante.


Il provvedimento ordina quindi all'uomo di allontanarsi dalla casa familiare di cessare immediatamente ogni condotta violenta o molestia ai danni della moglie, prescrivendo allo stesso di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla donna e in particolare la casa familiare. In caso fosse necessario l'allontanamento coattivo, il Tribunale delega il compito alla Polizia locale, ponendo anche a carico del padre l'obbligo di corrispondere alla donna un contributo mensile per il mantenimento indiretto della prole. 



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