La casa familiare è un concetto che viene in rilievo al momento della separazione o del divorzio dei coniugi. Alla sua assegnazione a seguito della rottura del legame coniugale è dedicato l'articolo 337-sexies c.c.

Cosa si intende per casa familiare

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La casa familiare è il luogo dove i coniugi, prima di separarsi, avevano stabilito la loro vita insieme e dove quindi vivevano, eventualmente insieme ai figli.

Non è importante che tutti i componenti della famiglia abbiano la residenza nella casa coniugale, ma ciò che conta è che lì si svolgeva la quotidiana vita domestica di marito, moglie e prole, che ivi dormivano, mangiavano, si incontravano e così via.

Cosa avviene in caso di separazione dei coniugi

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La separazione dei coniugi comporta la cessazione dell'obbligo della coabitazione, sancito dall'articolo 143 del codice civile e rientrante tra i doveri coniugali.

Di conseguenza si pone sempre il problema dell'assegnazione della casa coniugale, dovendosi determinare chi continuerà ad abitarci. La questione si fa particolarmente complessa nel caso in cui la coppia ha figli e la casa è di proprietà di uno solo dei coniugi, posto che non necessariamente sarà quest'ultimo a restare nella casa coniugale, che viene assegnata tenendo conto dell'interesse della prole (e quindi, tendenzialmente, al genitore collocatario anche se non è il proprietario).

Assegnazione della casa familiare: come avviene e presupposti

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L'articolo 337-sexies del codice civile stabilisce infatti che il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli e che semmai, considerato l'eventuale titolo di proprietà, il giudice tiene poi conto dell'assegnazione nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori.

Ciò, tradotto nella pratica, vuol dire che il principale presupposto dell'assegnazione della casa familiare è il collocamento dei figli: rimarrà nella casa, salvo eccezioni, il coniuge con il quale i figli convivono, onde evitare di creare in capo alla prole dei traumi ulteriori rispetto a quello che può derivare dalla separazione dei genitori, conseguenti all'allontanamento dal luogo in cui vivevano quando la famiglia era ancora unita.

Assegnazione casa familiare in mancanza di figli

Non a caso l'articolo 337-sexies c.c. non fa alcun cenno all'assegnazione della casa familiare in assenza di figli, così dovendosi ritenere che, se non vi è prole, la stessa spetti al coniuge non proprietario solo in casi eccezionali, come la circostanza in cui l'assegnatario sia affetto da patologie particolari.

Quando cessa il diritto all'assegnazione della casa familiare

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Il codice civile stabilisce espressamente che il diritto al godimento della casa familiare viene meno:

  • se l'assegnatario non vi abiti o cessi di abitarvi stabilmente,
  • se l'assegnatario conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.

A ciò, specie se la casa appartiene esclusivamente all'altro coniuge, si aggiunge l'ipotesi in cui non vi è più l'interesse dei figli a che la stessa rimanga assegnata al non proprietario e questi non sia titolare di un autonomo diritto a restarvi. Non a caso, nei provvedimenti di assegnazione si specifica molto spesso che gli stessi resteranno in vigore sino al raggiungimento dell'autosufficienza da parte della prole.

Assegnazione casa familiare figli maggiorenni

A tale ultimo proposito, occorre precisare che l'autosufficienza della prole non coincide necessariamente con la maggiore età. Si tratta, infatti, di un'autosufficienza economica.

L'assegnazione della casa familiare in capo al coniuge collocatario resta, quindi, anche in caso di figli maggiorenni se questi non sono indipendenti, ad esempio perché frequentano l'università.

In sostanza, il raggiungimento della maggiore età da parte dei figli non è una circostanza che, di per sé, fa sorgere in capo al genitore proprietario il diritto di rientrare nel pieno possesso della casa familiare, che andrà invece valutato volta per volta tenendo conto delle circostanze del caso concreto.

Su chi gravano le spese

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Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale comporta esclusivamente il diritto del beneficiario di continuare ad abitarvi gratuitamente, ma non anche l'esonero dalle spese connesse all'utilizzo della stessa. Di conseguenza, le spese della casa familiare gravano sull'assegnatario.

In tal senso è stata particolarmente chiara la Corte di cassazione che ha precisato che "l'assegnazione della casa coniugale esonera l'assegnatario esclusivamente dal pagamento del canone, cui altrimenti sarebbe tenuto nei confronti del proprietario esclusivo (o, in parte qua, del comproprietario) dell'immobile assegnato, sicché la gratuità dell'assegnazione dell'abitazione ad uno dei coniugi si riferisce solo all'uso dell'abitazione medesima (per la quale, appunto, non deve versarsi corrispettivo)". Essa, invece, "non si estende alle spese correlate a detto uso … le quali sono, di regola, a carico del coniuge assegnatario" (cfr., ex multis, Cass. n. 10927/2018).

Tempi per lasciare la casa coniugale

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Una volta che la casa familiare sia stata assegnata a un coniuge, l'altro deve abbandonarla.

Non esistono tempi predeterminati per legge per andarsene: salvo che gli stessi non vengano fissati nello specifico provvedimento, nel qual caso occorre attenersi a quanto ivi stabilito, la regola è quella di lasciare il tetto coniugale nel più breve tempo possibile, senza temporeggiare.

Se l'ex si ostina a vivere in casa, l'assegnatario ha un unico strumento per entrare legittimamente nel pieno possesso della casa familiare: rivolgersi al tribunale per chiedere la procedura di esecuzione forzata del provvedimento di assegnazione.

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Valeria Zeppilli

Foto: 123rf.com
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