Nella ricorrenza dell'8 marzo un approfondimento per ripensare l'assicurazione infortuni delle casalinghe

di Pasquale Acconcia - La ricorrenza dell'8 marzo può essere l'occasione per ripensare l'assicurazione infortuni delle casalinghe a partire da scelte efficaci per recuperare certezza di entrate e centralità delle prestazioni per l'integrità e validità fisica e professionale. Con questa prospettiva di seguito si forniscono spunti per la riforma da inquadrare nel più generale processo di riconsiderazione del "lavoro" in tutte le sue manifestazioni, superando steccati ormai fittizi fra le varie forme di attività professionali e lavorative.


La tutela attuale e la disaffezione crescente

L' 8 marzo, ricorrenza di un episodio ormai dimenticato nel ginepraio di mimose e dolcetti, offre da tempo l'occasione per dibattiti e riflessioni sulla condizione femminile, sul lavoro femminile inteso come lavoro salariato a fronte di quello prestato per la conduzione della vita familiare spesso letto solo come impegno da "conciliare" con il lavoro vero con sporadici segnali - qua e là una sentenza - volti a recuperare una dimensione professionale per detta conduzione. In questo secondo filone si è collocata l'introduzione dell'assicurazione infortuni per "le casalinghe" (usiamo convenzionalmente il termine) accolta con grande interesse anche mediatico; Nel tempo, peraltro, l'attenzione per il tema è via via scemata (salvo il revival di rito per l'8 marzo) in parallelo con la progressiva riduzione del numero di soggetti che anno dopo anno rinnovano l'iscrizione che dà titolo alle prestazioni assicurative.

E' un problema di disaffezione, in un clima di diffuso scetticismo già a livello di mass media i quali, piuttosto che promuovere un'evoluzione senz'altro possibile, hanno spesso insistito sul confronto con analoghe forme di assicurazione privata, parlando addirittura dcel premio come di uni odioso balzello. Disaffezione per i contenuti della tutela (ci torneremo) ed anche per le modalità di pagamento del premio a fronte di un obbligo assicurativo arricchito da sanzioni simboliche sicché vane sono le campagne pubblicitarie.

Ricordo, in premessa, che l'assicurazione copre le persone di età compresa dai 18 ai 65 anni che si occupino della cura della casa e dei suoi abitanti (sempre con la perimetrazione dell'ambiente domestico: fino all'"uscio"). I due limiti destano perplessità poiché:

· se si condivide la necessità di equiparare le attività "casalinghe" al lavoro, dovrebbe essere irrilevante il limite dei 18 anni a partire dal quale i giovani possano legittimamente occuparsi di una casa: anche non a tempo pieno, non essendo prevista la totalità dell'impegno;

· il limite a 65 anni - anche se pensionati - con il chiaro riferimento alla pensione sociale non è coerente col fatto che requisito è il non essere assicurato e non il non essere pensionato;

· con questa scelta si valorizza il bisogno monetario piuttosto che quello del recupero della capacità di lavoro e vita, attribuendo connotati assistenziali a un sistema che, pure, vorrebbe essere assicurativo tanto che le prestazioni non sono "automatiche".

Il "modo" significativo" dell'impegno, d'altra parte, è identificato con un requisito negativo e cioè il non essere titolare di una posizione assicurativa, mentre il premio - di ben 12,5 euro l'anno e non dovuto in presenza di reddito personale e familiare inferiore a una certa soglia) - è a carico dell'assicurato ed il pagamento è presupposto del diritto alle prestazioni: una rendita equiparata a quella per i lavoratori iscritti all'INAIL (calcolata nel sistema ante decreto 38/2000) per invalidità di grado a partire dal 26% e una rendita ai superstiti. .Quest'ultima, per inciso, è un addendo successivo ed una stranezza: quando si tratta di pagare il premio l'interessata (perché delle casalinghe in senso stretto si discute in fondo) deve provvedere; se muore, però, marito e figli subiscono una perdita con diritto a una rendita.

Nel complesso, comunque, il quadro appare più che soddisfacente a fronte della esiguità del premio; non lo è, però, per motivare le iscrizioni, come già accaduto del resto, in altri campi (è il caso del canone RAI), caratterizzati da scarsa "affezione" contributiva; più grave, nel caso nostro perché la disaffezione si estende alla stessa tutela

Per garantire gettito adeguato e tutele migliori per gli interessati, quindi, si potrebbe studiare una soluzione che superi la necessità di un'iniziativa degli interessati, analoga a quella per detto canone; una soluzione tecnicamente fattibile e capace di ampliare l'area degli assicurati utilizzando il principio di automaticità dell'assicurazione generale INAIL, con un significativo miglioramento della gamma di prestazioni.

Certezza delle entrate a fronte dell'automaticità del diritto alle prestazioni

Di seguito proviamo a ipotizzare alcuni esempi del modo in cui recuperare certezza e dimensioni del gettito contributivo senza aumento dell'ammontare del premio, restando ovviamente responsabilità di politici e amministratori la scelta delle modalità, anche articolate, con le quali realizzare il risultato voluto, se voluto.

Il punto di partenza del ragionamento dovrebbe essere il riconoscimento del fatto che la famiglia è un'azienda complessa alla quale è preposto un soggetto - solo per convenzione la casalinga - che ne garantisce il buon funzionamento, se non la stessa sopravvivenza come "società di persone" piuttosto che come mura domestiche. Questa situazione trova una prima eco nel sistema dell'Assegno per Nucleo Familiare che per una vasta area di soggetti (quelli identificabili, soprattutto, con la classica casalinga) consentirebbe per quanto qui interessa di individuare il soggetto da assicurare e il responsabile della contribuzione (il titolare, rispetto al dirigente, dell'" azienda"). Rimarrebbero fuori, in questo modo:

- A) le persone che, pur "casalinghe/i" per la legge, non sono a carico di soggetti aventi diritto all' ANF per estraneità al sistema o per reddito;

- B) i componenti (aventi i requisiti di "caper l'iscrizione) di nuclei familiari non aventi diritto a ANF (lavoratori autonomi o in generale partite IVA, per i quali potrebbero essere utilizzati i canali di specifica imposizione fiscale;

- C) i titolari di trattamenti pensionistici - per la propria iscrizione - da identificare quali addetti a lavori casalinghi con dichiarazione da rilasciare una tantum all'INPS.

Non rimarrebbero fuori giovani a carico dei genitori per le varie situazioni, familiari comunque a carico di uno dei soggetti prima indicati, mentre nel caso di nucleo familiare unipersonale varrebbero le opportunità prima richiamate ferma restando, in ogni caso:

· la cerniera complessiva per tutte le carenze (o, al limite, quale opzione principale) rappresentata dall'utilizzo del sistema fiscale ove la vivenza a carico è plasticamente resa nella dichiarazione annuale dei redditi;

· la modalità di diretta iscrizione oggi prevista come unico canale, senza escludere, una volta chiarito che il premio va pagato, tutta la gamma di potenziali interventi del mercato dei consumi (promozioni di acquisto, premi fedeltà ecc.).

La diretta iscrizione, comunque, è da mantenere in vita per offrire al legislatore e agli interessati poi, la possibilità di prevedere/utilizzare - come vedremo poi - la tutela almeno in forma volontaria per la situazione "ordinaria" di soggetto titolare di posizione assicurativa che si occupi comunque della gestione della casa. Le posizioni, cioè, di "casalinga" part time" la cui tutela riteniamo doverosa al pari di quella prevista per tutti coloro che svolgano professionalmente più attività economicamente rilevanti.

Per i soggetti esenti per reddito, infine, considerato che già oggi l'equivalente del mancato premio è a carico dello Stato si potrebbe utilizzare la Gestione per conto dello Stato con l'aggiunta di un contributo di solidarietà a carico del Bilancio statale rapportato a stime degli aventi titolo all'assicurazione "gratuita".

Risolvere il problema della "riscossione" con certezza di gettito, chiave di volta per un sistema di prestazioni orientato alla "restitutio ad integrum" dell'infortunato

Il meccanismo è solo apparentemente complesso; il ricorso all'IRPEF e all'ANF supererebbe gran parte dei problemi, soprattutto se accompagnato dal rendere automatica l'iscrizione per coloro che già oggi sono esenti. Si tratta, ovviamente, di un meccanismo solo esemplificativo, come già anticipato, di scelte politiche che se impegnate nella stessa direzione, potrebbero utilizzare tutte le opportunità che oggi la condivisione di informazioni e archivi (già è in atto e non occorre pensare a un'altra banca dati, come spesso si progetta di fare) presenti nel sistema Paese e della P.A. in particolare.

In questo modo - e cioè, partendo dalla certezza di un chiaro parametro di riferimento riguardante entità e modalità di contribuzione e di conoscenza non solo statistica della platea delle persone assicurate - si potrebbe poi affrontare il tema delle prestazioni da rimodellare (forti anche del maggior gettito a premio invariato) a fronte dell'effettiva situazione di rischio e bisogno.

Un sistema, così, da rimodellare nei termini di seguito ipotizzati rispetto alle due varie componenti: dall'area dei soggetti assicurati fino, a risalire, alla coniugazione dell'intervento pubblicistico con le dinamiche del mercato assicurativo.

Gli assicurati. Il limite di 65 anni appare incongruo, come si è detto, rispetto alle speranze di vita della popolazione e alla rischiosità crescente con l'età proprio per le attività di conduzione della "casa" familiare, Proprio su questo terreno, peraltro, si gioca la partita più complessa poiché il limite posto appare coerente con l'impegno dei proponenti di garantire un reddito adeguato per i casi di più grave menomazione, in una visione assistenziale, di sostentamento della persona che dopo i 65 anni non dovrebbe più fare i "servizi" e non subirebbe un grave danno economico, potendo contare sulla pensione Ago o sociale.

Ben diversa dovrebbe essere la soluzione qualora si intendesse valorizzare, come noi riteniamo essenziale, l'intento di recuperare il più possibile lo stato di salute posseduta dall'assicurato per soddisfare - in un mix con modifiche sul versante dell'oggetto e delle prestazioni - un bisogno effettivo e permanente al di là dell'età.

L'oggetto della tutela. E' uno dei punti sui quali occorrerebbe una chiara presa di posizione politica prima ancora che giuridica per chiarire se si vuole continuare a tutelare le "casalinghe" come supplenti/alternative di colf - è questa la situazione attuale con indennizzo per gli infortuni occorsi comunque nel perimetro della abitazione, per pulizie o assistenza - ovvero prendere atto che si tratta di una funzione manageriale con proiezione sull'attività di cura della famiglia per estendere la tutela anche ad eventi occorsi al di fuori dell'anzidetto perimetro nello svolgimento di attività funzionali a detta cura.

Le prestazioni "temporanee" e non monetarie. Oggi non sono nemmeno considerate a fronte della rendita per invalidità dal 26% e alla rendita a superstiti con riferimento specifico, nel primo caso, all'impianto del Testo unico n.1124 senza alcun rilievo del decreto 38/2000. E' chiaramente una riforma a metà che, da un lato, riconosce la professionalità del danno e, quindi, dell'indennizzo, dall'altro, nega rilevanza alla componente sempre più significativa dell'intervento assicurativo e, cioè, alle prestazioni "temporanee" sotto forma di indennità giornaliera e, soprattutto, sotto forma di tutela sanitaria privilegiata e specifica fino ai momenti di riabilitazione che costituiscono ormai l'asse portante dell'intervento dell'INAIL rispetto agli infortuni professionali in senso stretto.

Questo discorso porta lontano, anzi vicino con un rientro della tutela specifica nel sistema generale dell'assicurazione che, grazie alle riforme legislative degli ultimi anni e, soprattutto, alla politica gestionale e di servizio portata avanti dall'Istituto, ha recuperato appieno (senza che ve ne sia compiuta consapevolezza) lo spirito e le finalità di un'assicurazione che resta tale senza esaurirsi nella mera distribuzione di indennizzi monetari.

Occorre, cioè, prendere atto della evoluzione generale assumendola nella tutela per le casalinghe, ribaltando l'impostazione iniziale di accentuata specificità, con scelte che considerino i momenti di effettiva priorità degli interventi le conseguenze lesive dell'evento: con prestazioni, ripeto, che si snodino lungo la durata della invalidità temporanea: in termini di sostegno economico e, soprattutto, di servizi e prestazioni sanitarie e riabilitative identiche a quelle dell'assicurazione generale volte a ridurre tendenzialmente a 0 i postumi dell'infortunio. Tutto quello, insomma, che sostenga la "casalinga" con la garanzia di quanto serva per il tempestivo recupero di salute e abilità - per "tornare in pista" - nonché un congruo sostegno economico lungo l'arco della invalidità temporanea definita dal T.U. 1124.

Le rendite e la saldatura fra percorsi di prevenzione e "assicurazione"

Anche per le invalidità permanenti l'obiettivo dovrebbe essere quello di una progressiva riconduzione nel sistema generale verificando la fattibilità di una equiparazione (anche progressiva) al sistema del T.U. 1124 modificato dal decreto 38 del 2000 con rendita che a partire dal medesimo grado previsto per la generalità dei lavoratori ristori danno biologico e danno patrimoniale, escludendo inizialmente la liquidazione in capitale da ponderare poi in termini di compatibilità finanziaria sempre avendo d'occhio la priorità di attenzione privilegiata per le prestazioni di recupero della salute e validità della persona.

Sarebbe possibile, così, concentrare la massima attenzione per la condizione "temporanea" all'indomani dell'infortunio con la sua proiezione in termini di rieducazione e riabilitazione:

- sarebbero soddisfatte esigenze primarie di recupero della integrità fisica e validità "professionale" (forse proprio l'attuale disattenzione potrebbe essere la causa della disaffezione);

- si lascerebbe spazio e opportunità a valutazioni autonome dei singoli circa l'adeguatezza dell'indennizzo;

- si potrebbe affrontare per completa equiparazione, il tema delle modalità di tutela delle malattie professionali, magari a partire da una lista specifica.

L'equiparazione, soprattutto, restituirebbe senso al disegno della legge del 1999 con un'assicurazione non più giustapposta all'impianto generale, poi negletto, ma componente del circuito assicurazione- prevenzione rientrante nell'alveo delle responsabilità e iniziative ÌNAIL.

La chiusura del cerchio con equiparazione del lavoro familiare al lavoro "a corrispettivo" nella nuova logistica della "casa"

In questo modo si agevolerebbe la piena identificazione del lavoro casalingo con quello "a corrispettivo" dal quale il primo finisce per differenziarsi solo per la mancanza di una retribuzione. Del resto, già la stessa Corte costituzionale è stata esplicita in tal senso, equiparando (sentenza 28/1995) pienamente ai sensi dell'articolo 35 il lavoro familiare a quello a corrispettivo.

Si tratta di una differenza nemmeno significativa, oltretutto, a fronte della rilevanza giuridica del lavoro nell'azienda familiare (ove non è essenziale la retribuzione in senso stretto) e senza considerare che, in definitiva, per le "casalinghe" coniugate il codice civile riconosce pur sempre un diritto all'"assistenza" - non solo affettivo - che assume piena rilevanza e azionabilità al momento della separazione senza addebito.

In ogni caso, fuori luogo sarebbe la riproposizione - a fronte dei suggerimenti fin qui sviluppati - delle difficoltà di tener separati i momenti di vita personale, familiare e ludica" dal lavoro casalingo che, per inciso, è un requisito di presunzione assoluta: di là dalle definizioni sociologiche non incide il reddito non lavorativo della "casalinga" e nemmeno la disponibilità di collaborazioni domestiche anche a tempo pieno e plurime. E' evidente, così la contraddizione fra la volontà di delimitare l'area dei soggetti protetti e la necessità, poi, di far riferimento a un requisito - non assicurato AGO - che colloca la tutela in un limbo, fra disconoscimento della valenza giuridica dell'equiparazione al lavoro tutelato e l'esclusione di qualsiasi connotato assistenziale dell'intervento riformatore per l'assenza di requisiti reddituali.

Sarebbe fuori luogo, d'altra parte, riproporre sul piano generale antiche obiezioni tecnico applicative poiché per quanto riguarda promiscuità/contiguità delle diverse attività già abbiamo richiamato, infatti, la ricchezza di tipologie di lavoro a casa e da casa che si consolidano o si vanno affermando fino all'approvazione, nella Legge di stabilità per il 2016 del comma 204 dell'art. 1 riguardante il lavoro flessibile, poi disciplinato - accanto alla previsione di una sorta di Jobs Act -come Lavoro Agile dal successivo disegno di legge per la disciplina specifica dell'istituto (Sul tema, leggi:  Nuovo statuto del lavoro autonomo: cosa cambia per avvocati e professionisti"). 

Si tratta, in ogni caso, di uno spunto appena affiorante nel senso che si punta a valorizzare le tutele del lavoratore autonomo accostandole - in una lettura più generale del lavoro "non in fabbrica" - al lavoro agile per un migliore radicamento del lavoratore agile al tessuto produttivo dell'azienda. Un'evoluzione, in questo senso rispetto a esperienze di telelavoro e dello stesso lavoro a domicilio con l'obiettivo di garantire pienezza di tutele e prospettive occupazionali meglio aderenti alle necessità e aspirazioni delle persone.

In tutte queste situazioni resta comunque presente l'opzione del lavorar da casa in condizioni di promiscuità con occupazioni casalinghe, professionali e non ed è qui l'aggancio con il nostro tema.

E' intuitivo, infatti, come tutto ciò possa contribuire a rendere più agevole muoversi nel mercato del lavoro anche a chi voglia o debba coniugarlo con impegni familiari; un ulteriore tassello, se letto in prospettiva sistematica, di un mosaico che si va componendo a fronte del Jobs Act e le sue deleghe, compresa quella per la conciliazione lavoro/famiglia.

Non sono già mancate critiche e perplessità circa l'impianto del disegno di legge per il lavoro agile; fra l'altro, perché non porterebbe la trasformazione alle sue estreme e naturali conseguenze di rivoluzione dell'intero "sistema lavoro". Certamente non aiuta la tumultuosità, per così dire, degli smottamenti del sistema generale indotti da leggi delega di portata così ampia come quella del/dei Jobs Act con la doverosa ambizione di disciplinare tutti gli aspetti di una questione.

Le perplessità di per sé possono condividersi e credo siano ben presenti le difficoltà di attuazione delle scelte politiche, come nel caso pur modesto del canone RAI; non va dimenticato, però, che le riforme procedono spesso per strappi successivi e che le implicazioni delle trasformazioni in atto sono talmente varie e dirompenti che potrebbe esser vano attendere che siano tutte sviscerate prima di muoversi mentre; nel frattempo, .il mercato del lavoro farebbe comunque da se.

Per quanto qui interessa, poi, certamente la concretizzazione delle novità per la nuova disciplina del lavoro agile favorirebbe il percorso prima ipotizzato per le casalinghe poiché già sul piano metodologico dimostrerebbe come sia possibile, in presenza di una decisa volontà politica, superare difficoltà connesse con la contiguità fra momenti di lavoro agile, lavoro casalingo non rilevante a fini AGO, attività personali e familiari.

Una traiettoria, intravista, di riconoscimento del lavoro" femminile" tout court

Siamo in presenza, insomma, di un confuso ma deciso movimento verso l'obiettivo di una compiuta e organica saldatura fra vari filoni di intervento volti a conciliare impegno familiare, lavoro retribuito, elasticità della prestazione professionale e dei modi di ricompensarla, ed agevolarla nello stesso tempo.

Pur rispetto a un quadro confuso, e altrettanto intuitivo - è annotazione finale - come da tutto ciò esca rafforzata la necessità di prevedere, come si è detto, una tutela infortunistica per le casalinghe "part time" quantomeno a partire da forme volontarie che superino i rischi di un ennesimo - e ritardante - confronto social-politico sul tema.

I tempi cambiano velocemente, è sempre più normale che una persona sia occupata in più attività professionali nell'arco della giornata, tutte da tutelare: fra vari lavori tradizionali, fra varie modalità di prestazione di uno stesso lavoro, con un continuo riciclo fra lavoro a corrispettivo e lavoro casalingo. Non a caso si susseguono i Jobs Act per un progressivo avvicinamento al risultato finale di un nuovo sistema. Lo impongono mutamenti nei costumi sociali, le criticità occupazionali che fanno da motore, a loro volta, alla evoluzione della stessa nozione di lavoro. Ed è un sommovimento ormai avviato anche se tutto ciò rischia di essere vanificato o ritardato proprio " sulla porta di casa" per ostacoli oggettivi ma soprattutto per vincoli culturali che agiscono in una duplice proiezione:

- disconoscendo che donne "salariate" abbiano contemporaneamente un'attività parimenti professionale in casa che però allo stato non è tutelata per gli infortuni. E magari, la stessa persona è indennizzata se si fa male svolgendo in casa attività "salariata" in modo agile o quant'altro;

- negando, come contraltare, alle "casalinghe" il diritto a una costruzione nel tempo di una posizione assicurativa pensionistica che possa garantire - integrandosi con iniziative di mercato - un trattamento per età adeguato, con meccanismi da inventare, ma possibili, in termini previdenziali; agevolati, ritengo, dal tramonto del sistema retributivo a vantaggio di quello contributivo che meglio si presta a detto scopo.

La realtà è che si tratta di questioni che toccano nel profondo le radici culturali della società in cui viviamo, ricca di contraddizioni per quanto riguarda la condizione femminile con bufere ideologiche sempre dietro l'angolo. Solo per questo, limitando il discorso al tema dell'assicurazione infortuni, ritengo che la volontarietà dell'assicurazione delle casalinghe part time sia un modo semplice per: - garantire la tutela delle interessate senza suscitare le ire di quanti ritengono 12,50 euro un odioso balzello; - preparare il terreno per le più incisive riforme generali prima richiamate.

Nello stesso tempo, l'individuazione di un livello congruo sufficiente delle rendite quale complemento del primario impegno per la "restitutio ad integrum" del punto 3, offrirebbe, come si è accennato, un sicuro punto di riferimento per lo sviluppo di forme integrative di assicurazione infortuni, battistrada, a sua volta, del consolidarsi in prospettiva di un sistema mix di previdenza contributiva pubblica e strumenti di mercato.

Non è in ogni caso la conclusione del percorso riformatore che richiede ben altra prospettiva generale di lettura, volta a superare la costante di tutte le riforme settoriali, pur ampie: eliminata una stortura, un'ingiustizia spesso ci si deve render conto subito del fatto che se ne è creata - o lasciata dietro - un'altra che, è solo un accenno, riguarda la posizione di familiari che restino privi di garanzia per i rischi che l'ambiente casalingo di per sé produce rispetto a tutti coloro che lo frequentano. Una delle tante sfasature del sistema di welfare del '900 che troppo spesso si è tentati di risolvere affidando allo "Stato" (dov'è lo Stato, è il mantra di sempre) il compito di tappare i buchi di tutela, farsi carico di situazioni che sfuggono alla individuazione di responsabilità esterne al soggetto di volta in volta danneggiato; anche nel caso, a volte, di coincidenza delle posizioni di danneggiato e responsabile del danno.


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