Spetta al dipendente provare che il lavoro straordinario oltre i limiti di legge è imposto dal datore di lavoro e non da una sua scelta libera personale

di Lucia Izzo - Non è risarcibile il danno lamentato dal lavoratore a causa dell'eccessivo carico di lavoro e dal cumulo di mansioni se non è dimostrato che l'imposizione è provocata dal datore di lavoro.

Se manca la prova dell'imposizione datoriale, è il lavoratore che decide di farsi carico autonomamente di oneri spettanti ad altri e di cui altri avevano la responsabilità, trattandosi di una sua esclusiva scelta di ordine morale che interrompe il nesso di causalità tra fatto causativo e danno.

La Corte di Cassazione, sezione lavoro, ha così statuito nella sentenza 17438/2015 (qui allegata) avverso il ricorso di una lavoratrice dipendente di un Consorzio di Bonifica.

La ricorrente aveva richiesto il risarcimento del danno biologico sofferto a causa del troppo lavoro a cui era stata sottoposta, invocando il disposto dell'art. 2087 c.c. per cui l'imprenditore deve adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei dipendenti.

Gli Ermellini accolgono l'apparato argomentativo sviluppato in primo grado e confermato in appello, con cui si era verificato che nessun lavoro straordinario oltre i limiti di legge era stato imposto alla donna da parte del Consorzio, né tantomeno erano mai stati pretesi determinati risultati da raggiungere.

Risulta evidente che ogni sforzo insostenibile compiuto dalla dipendente circa le proprie mansioni, è frutto di una libera autodeterminazione priva di coercizione esterna in quanto non vi è prova alcuna circa una pretesa datoriale al raggiungimento di risultati produttivi ragionevolmente incompatibili con lo svolgimento di una normale attività lavorativa.

Per consolidata giurisprudenza, il dovere di prevenzione imposto al dato di lavoro dall'art. 2087 c.c., non può determinare un obbligo assoluto a suo carico di rispettare ogni cautela possibile e innominata diretta ad evitare un qualsiasi danno, così da ritenere la sua responsabilità ogni volta che un danno si sia comunque verificato. Occorre che l'evento sia pur sempre riferibile a sua colpa, per violazione di obblighi di comportamento imposti da norme di fonte legale o suggeriti dalla tecnica, ma concretamente individuati (ex plurimis: Cass., n. 15082/2014; Cass., n.n 10510/2004).

Circa la ripartizione degli oneri probatori, in un'azione di responsabilità avente natura contrattuale, incombe sul lavoratore che lamenti di avere subito un danno alla salute a causa dell'attività lavorativa svolta, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro e il nesso causale tra questi due elementi.

Grava, invece, sul datore di lavoro, una volta che il lavoratore abbia provato le suddette circostanze, l'onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno, così che non possa essergli addebitabile l'inadempimento dell'obbligo di sicurezza previsto dalla norma.

La Corte rigetta, dunque, il ricorso e compensa le spese di lite.

Cass., sez. Lavoro, sentenza 17438/2015

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