La Corte di Cassazione traccia le regole di applicabilità delle presunzioni semplici nell'accertamento induttivo

di Avv. Vincenzo Rizza - Si è già avuto modo di affrontare il tema delle presunzioni in materia di accertamento di maggiori redditi esaminando una recente decisione della Suprema Corte che ha confermato l'orientamento secondo cui, pur alla presenza di scritture contabili formalmente corrette, è possibile accertare un maggior reddito sulla base di presunzioni (leggi: "Professionisti: solo se la contabilità è complessivamente inattendibile è possibile l'accertamento induttivo del reddito") [1]. 

La sentenza della Cassazione ribadisce posizioni espresse più volte, recentemente anche nella decisione n. 9732/2015  della quale ci occupiamo, vertente su identica questione e riguardante l'accertamento nei confronti di un'agenzia immobiliare [2]. 

L'orientamento trae spunto da un principio contenuto nel codice civile il quale, all'art. 2729, prevede l'utilizzabilità delle c.d. "presunzioni semplici" precisando però che, contrariamente a quanto accade per le presunzioni legali, la valutazione discrezionale delle stesse da parte del giudice deve farsi alla luce del criterio - utilizzato anche nel diritto penale in tema di indizi -  della gravità, precisione e concordanza. 

Le presunzioni di cui si discute riversano il loro significato sul tema dell'onere della prova. 

E' l'amministrazione finanziaria che deve provare la non congruità delle scritture contabili regolari, rispetto ad altri elementi che le disattendono in punto di fatto; nel caso esaminato lo scorso maggio i "fatti" posti a fondamento della contestazione di un maggior reddito, sono esattamente indicati con riferimento ad inserzioni pubblicitarie, block notes, etc., esaminati nell'ambito dell'accertamento nei confronti della società immobiliare.  

Diversamente accade con le cosiddette presunzioni legali come, per esempio, gli studi di settore: essi operano presunzioni legali che lasciano al contribuente l'onere di dimostrare il contrario [3]. 

In materia tributaria, per tornare all'oggetto della decisione, l'Amministrazione finanziaria non può rettificare il reddito del contribuente sulla base dell'id quod plerumque accidit, avendo invece l'onere, a fronte dell'asserita inattendibilità di scritture contabili formalmente corrette, di indicare quali circostanze contrastino con i risultati della gestione ufficiale, specificando il quadro probatorio di supporto in grado di dare corpo alle presunzioni poste a base dell'accertamento. 

Il caso sottoposto all'esame della Corte Suprema è quello di una società immobiliare per la quale, a fronte di redditi formalmente esigui e di una contabilità regolare, sono stati accertati elementi di fatto in palese contrasto: alto numero di inserzioni promozionali su internet per gli immobili da vendere, agende dense di numerosi appuntamenti, block notes pieni di appunti. Tutti elementi in contrasto con il limitatissimo numero di incarichi ufficialmente ricevuti e risultanti ai fini fiscali. 

Questi gli elementi di fatto "gravi, precisi e concordanti" che hanno indotto l'amministrazione finanziaria alla rettifica dei redditi dichiarati dalla società e, a cascata, dai suoi soci. Gli stessi elementi che hanno indotto i giudici di merito a rigettare il ricorso proposto nei primi due gradi dagli interessati e confermato dalla Sezione Tributaria della Cassazione. 

Risalendo ai concetti del diritto civile riguardanti il peso delle presunzioni, la caratteristica di quelle definite  "semplici" è che esse consentono la prova contraria: nel caso in esame, il maggior reddito (fatto ignoto) presunto da inserzioni pubblicitarie, agende, etc, (fatti noti) lascia al contribuente l'onere di dimostrare l'inesistenza del nesso causale tra le presunzioni operate dall'Amministrazione finanziaria e l'accertamento del maggior reddito. 

Appare molto interessante, in questo contesto, l'uso delle informazioni in rete quale indizio utile all'avvaloramento delle presunzioni: le inserzioni on line diventano, pertanto, elementi indiziari che, uniti agli altri, giustificano l'accertamento induttivo. Un ulteriore aspetto dell'evoluzione del diritto conseguente all'uso sempre più intensivo della comunicazione telematica e di internet

Nella decisione in esame la Corte, ritenendo che il ragionamento dei Giudici di merito è esente da vizi logici ha  confermato la decisione della Commissione Tributaria di secondo grado, rigettando i ricorsi della società e dei singoli soci: ricorsi che, a parere della Cassazione, sono suscettibili di trattazione congiunta (riunione) e non danno luogo a una ipotesi di litisconsorzio necessario tra la società ed i singoli soci. 

L'aspetto che nel ragionamento della Corte suscita qualche perplessità concerne, tuttavia, il rigetto del ricorso incidentale proposto dall'amministrazione finanziaria con riguardo all'abbattimento, operato dai giudici di merito e confermato dal Collegio, dei  ricavi presunti: abbattimento che, apoditticamente, viene stabilito nel 30% di quanto presuntivamente accertato. 

La motivazione, alquanto sibillina, rinvia "ad alcune doglianze espresse dalla parte contribuente" tra le quali la forte concorrenza nel settore. Ulteriormente poco convincente è  il riferimento "all'inevitabile opinabilità dei risultati che si possono ottenere con la ricostruzione induttiva dei ricavi e, quindi, con la metodologia accertativa utilizzata dall'ufficio". 

Una motivazione che lascia il campo a forti critiche poiché non sembra delineare un ragionamento logico ineccepibile, rinviando semplicemente a considerazioni di ordine generale nell'ambito delle quali la stessa Corte dà atto di una forte opinabilità dei risultati. 

Come dire: "Così è, se vi pare", per utilizzare la metafora pirandelliana.  Ognuno può dare una propria interpretazione della realtà stante l'impossibilità di conoscere la verità assoluta.

Per fortuna, più che il diritto, soccorre il "buon senso": e deve riconoscersi che, nel caso in specie, ne hanno fatto buon uso sia i giudici di merito, che quelli di legittimità.

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[1] Nota a sent. Cass. Trib. 16597/2015;

[2] Cass. Trib. 13/5/2015 n. 9732.

[3] Cassazione civile sez. trib. 15 luglio 2015 n. 14787  

Avv. Vincenzo Rizza del Foro di Ragusa.

studiolegalerizza@gmail.com


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