Focus normativo e novità previste dalla legge di Stabilità 2016


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Prof. Luigino Sergio - Viviamo in un periodo difficile dal punto di vista socio-economico, nonostante gli sforzi che indubbiamente il Governo ed il Parlamento stanno compiendo, per tirarci fuori dalle secche nelle quali si trova incagliata l'economia del nostro Paese.

Il Ministero dell'Economia e delle Finanze, nel Documento Programmatico di Bilancio 2016, evidenzia come l'economia italiana sia in ripresa, a seguito della crescita del PIL reale per il 2015 che passa dallo 0,7% allo 0,9%; mentre quella per il 2016 dall'1,4%, all'1,06%, anche se il livello del PIL reale si trova al di sotto del suo trend pre-crisi di venti punti percentuali, nonostante un aumento nel 2015 superiore alle previsioni.

Negli anni 2015-2019, secondo lo scenario programmatico del Governo, il rapporto debito/PIL è previsto che raggiunga il livello massimo del 132,8 per cento nel 2015, per poi gradualmente diminuire, in linea con la regola europea, fino a raggiungere nel 2019 un valore pari al 119,8 per cento del PIL.

Il quadro socio-economico-politico impone, di conseguenza, un ripensamento strutturale della p.a., che va orientata alla cultura del risultato e meno a quella dell'adempimento, in uno con politiche di revisione della spesa (spending review), dirette a migliorare l'efficienza e l'efficacia della macchina pubblica nella gestione delle risorse economiche, attraverso la sistematica analisi e valutazione delle strutture organizzative, delle procedure di decisione e attuazione, dei singoli atti all'interno dei programmi, dei risultati.

Il Governo ed il Parlamento anche per livellare la quantità della spesa pubblica e qualificarla dal punto di vista della sua efficacia, hanno elaborato una serie di strumenti e di strategie di politica economica, con il fine di determinare una migliore allocazione delle risorse a disposizione.

La nuova legge di contabilità (L. 31 dicembre 2009, n. 196, Legge di contabilità e finanza pubblica, in G.U. n. 303 del 31 dicembre 2009 - Suppl. Ordinario n. 245) ha avviato in via sperimentale il programma di analisi e valutazione della spesa, che è divenuto permanente con la legge finanziaria per il 2008 (L. 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, Legge finanziaria 2008, in G.U. n. 300 del 28-12-2007 - Suppl. Ordinario n. 285), la quale ne ha disposto la prosecuzione e l'aggiornamento, con riferimento alle missioni e ai programmi in cui si articola il bilancio dello Stato.

Al centro dell'attenzione è posta l'attività sistematica di analisi della programmazione e della gestione delle risorse finanziarie e dei risultati conseguiti dai programmi di spesa; la disciplina dei fabbisogni e dei costi standard, sancita sul piano normativo, con rifermento agli enti territoriali, dalla legge delega, n. 42/2009 di attuazione del federalismo fiscale che realizza, appunto, il superamento del criterio della spesa storica; la riduzione della spesa per acquisto di beni e servizi; la revisione dei programmi di spesa; il ridimensionamento delle strutture dirigenziali esistenti; la riduzione, anche mediante accorpamento degli enti strumentali e vigilati e delle società pubbliche; la ricognizione degli immobili pubblici in uso alle pubbliche amministrazioni al fine di possibili dismissioni; la riduzione della spesa per locazioni; l'eliminazione di spese di rappresentanza e per convegni.

Da quanto detto è possibile desumere che il comparto degli enti locali, peraltro da tempo sotto osservazione, poteva (e doveva) offrire occasioni di ripensamento del proprio modo di essere e produrre nuovi modelli organizzativi, basati sulla semplificazione e razionalizzazione delle modalità di erogazione dei servizi al cittadino-utente e su azioni che avrebbero potuto condurre ad un abbassamento della pressione tributaria.

Un efficace strumento per determinare un migliore modello organizzativo è dato dall'Unione di comuni (oltre che dalla Convenzione tra comuni), prevista dall'ordinamento giuridico degli enti locali; strumento che però stenta a decollare a livello generale, nonostante sia previsto dalla legge a partire dal lontano 1990 e sia adeguatamente incentivato con risorse finanziarie statali e regionali che evidentemente da sole non sono sufficienti ad assegnare a tale mezzo di governance territoriale la giusta rilevanza.

Uno dei punti di debolezza è rappresentato, anche ed in particolare, dal continuo rinvio della tempistica dell'obbligo di espletare le funzioni fondamentali comunali in forma associata, anche a causa delle continue pressioni dell'ANCI, che a tutela dei Comuni, poco inclini ai cambiamenti organizzativi, chiede continue proroghe che spostano in avanti il dies a quo del nuovo modello organizzativo, basato soprattutto sull'Unione di comuni; ovvero della nociva proroga dell'avvio delle funzioni comunali fondamentali in forma associata.

La Convenzione tra comuni e l'Unione di comuni

Il punto di partenza di questa riflessione sulle forme associative comunali è dato dal d.l. 31 maggio 2010, n. 78 (in Suppl. ordinario n. 114 alla Gazz. Uff., 31 maggio 2010, n. 125) - Decreto convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122 - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, il quale dopo aver premesso all'art. 14, comma 26, che l'esercizio delle funzioni fondamentali dei Comuni è obbligatorio per l'ente titolare, dispone al comma 28 che: «i Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero fino a 3.000 abitanti se appartengono o sono appartenuti a Comunità montane, esclusi i Comuni il cui territorio coincide integralmente con quello di una o di più isole e il Comune di Campione d'Italia, esercitano obbligatoriamente in forma associata, mediante Unione di comuni o Convenzione, le funzioni fondamentali dei Comuni di cui al comma 27, ad esclusione della lettera l). Se l'esercizio di tali funzioni è legato alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, i Comuni le esercitano obbligatoriamente in forma associata secondo le modalità stabilite dal presente articolo, fermo restando che tali funzioni comprendono la realizzazione e la gestione di infrastrutture tecnologiche, rete dati, fonia, apparati, di banche dati, di applicativi software, l'approvvigionamento di licenze per il software, la formazione informatica e la consulenza nel settore dell'informatica».

Successivamente al d.l. n. 78/2010, la più recente normativa concernente le Unioni di comuni è data

dall'art. 20, comma 2-quater, d.l. n. 98/2011 (convertito in legge 111/2011); dall'art. 16, commi 22 e 24, dal d.l. n. 138/2011 (convertito in legge 148/2011); dall'art. 19, del d.l. n. 95/2012 (convertito in legge 135/2012); dalla L. n. 56/2014.

In linea di larga massima la gestione delle funzioni comunali fondamentali tramite due delle forme associative, Convenzioni tra comuni e Unione di comuni, previste rispettivamente dagli artt. 30 e 32 del TUEL (d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali a norma dell'articolo 31 della legge 3 agosto 1999, n. 265, in G.U. n. 227 del 28 settembre 2000, S.O. n. 162/L) comporta, o meglio potrebbe implicare, economie di scala, divisione del lavoro, specializzazione delle risorse umane impiegate, miglioramento delle prestazioni e dei servizi erogati agli utenti, diffusione delle migliori pratiche operative, aumento del peso politico dei Comuni operanti tramite Unione.

La Convenzione è lo strumento potestativo previsto dall'ordinamento (art. 30 TUEL), preordinato allo svolgimento in modo coordinato di funzioni e servizi determinati da parte degli enti locali.

Prima del funzionamento del nuovo sistema contabile, di cui al d.lgs. 23 Giugno 2011 n. 118, Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio2009, n. 42, l'art. 165, comma 5 del TUEL prevedeva che la struttura del bilancio Province, Comuni, Città metropolitane ed Unioni di comuni, per la parte spesa fosse ordinata gradualmente in titoli, funzioni, servizi ed interventi, in relazione, rispettivamente, ai principali aggregati economici, alle funzioni degli enti, ai singoli uffici che gestiscono un complesso di attività ed alla natura economica dei fattori produttivi nell'ambito di ciascun servizio e fosse leggibile anche per programmi dei quali doveva essere fatta analitica illustrazione in apposito quadro di sintesi del bilancio e nella relazione previsionale e programmatica.

Ciò detto, le funzioni ed i servizi altro non erano che differenti livelli analitici della rappresentazione della spesa degli enti locali, leggibile anche per programmi, dei quali è fatta analitica illustrazione in apposito quadro di sintesi del bilancio e nella relazione previsionale e programmatica.

Con il termine «funzioni» s'intendono tutti i compiti e le attività proprie del Comune o a esso delegate; mentre con quello di «servizi» si fa riferimento ai servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività, rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali, così come previsto dall'art. 112 TUEL.

Il significato di funzioni e servizi può essere tratto anche da un parere reso dalla Corte dei Conti, Sezione di Controllo per il Piemonte, la quale, anche se con riferimento ai Consorzi, precisa che l'attività di un ente locale «[…] costituisce una funzione quando si esplica mediante atti amministrativi o comportamenti configuranti espressione del potere autoritativo della p.a. orientato per legge alla cura degli interessi pubblici e a fronte del quale sussistono situazioni giuridiche di mera soggezione o d'interesse legittimo. Laddove invece l'attività […] realizzi la mera erogazione di un servizio alla collettività, in attuazione di precetti costituzionali riguardanti a diritti soggettivi assoluti, si tratterà per più […] di servizi».

La distinzione tra funzioni e servizi si può oggi ritenere affievolita, perché il concetto di servizio pubblico oggi comprende pure attività, tese a realizzare finalità sociali prive di contenuti economico-produttivi strictu sensu.

La nuova struttura della spesa, dopo il d.lgs. n. 10 agosto 2014, n. 126 (in S. O. n. 73 alla Gazz. Uff., 28 agosto 2014, n. 199) - Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, recante disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42, prevede una classificazione che privilegia l'aspetto funzionale rispetto a quello economico.

Il comma 4 del novellato art. 165 del TUEL, dispone che le previsioni di spesa del bilancio siano classificate (secondo le modalità indicate all'articolo 14 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 e successive modifiche) in:

a) missioni, che rappresentano le funzioni principali e gli obiettivi strategici perseguiti dagli enti locali, utilizzando risorse finanziarie, umane e strumentali ad esse destinate;

b) programmi, che rappresentano gli aggregati omogenei di attività volte a perseguire gli obiettivi definiti nell'ambito delle missioni e sono raccordati alla relativa codificazione COFOG di secondo livello (Gruppi), secondo le corrispondenze individuate nel glossario, di cui al comma 3-ter dell'articolo 14, che costituisce parte integrante dell'allegato n. 14.

I programmi a loro volto sono ripartiti in titoli;

macroaggregati; capitoli; articoli.

Di conseguenza, si può dire che la Convenzione tra comuni, che con il "vecchio" art. 30 del TUEL era lo strumento preordinato allo svolgimento in modo coordinato di funzioni e servizi determinati da parte degli enti locali, oggi è il mezzo con il quale il Comune può svolgere in modo coordinato, Missioni (ex funzioni) e Programmi (ex servizi); (vedi AA. VV., Manuale di contabilità armonizzata, a cura di CAVALLINI I., Milano, IPSOA, 2014, p. 38).

La Convenzione è anche lo strumento con il quale si può gestire a tempo determinato anche uno specifico servizio o per la realizzare un'opera; in tale caso, lo Stato o la Regione, nelle materie di propria competenza, possono prevedere forme di Convenzione obbligatoria fra enti locali, previa statuizione di un disciplinare-tipo.

La Convenzione ex art. 30 TUEL che deve stabilire i fini, la durata, le forme di consultazione degli enti contraenti, i loro rapporti finanziari ed i reciproci obblighi e garanzie, può prevedere anche la costituzione di uffici comuni, che operano con personale distaccato dagli enti partecipanti, ai quali affidare l'esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all'accordo, ovvero la delega di funzioni da parte degli enti partecipanti all'accordo a favore di uno di essi, che opera in luogo e per conto degli enti deleganti.

Le Convenzioni hanno durata almeno triennale, ai sensi dell'art. 14, comma 31-bis del d.l. n. 78/2010 e si stipulano con un accordo approvato da parte dei Consigli dei Comuni interessati, i quali stabiliscono fini, durata, forme di consultazione dei soggetti contraenti, nonché i rapporti finanziari e i reciproci obblighi e garanzie.

Al termine del triennio, i Comuni associati in Convenzione dovranno dimostrare, secondo modalità stabilite con decreto del Ministro dell'interno dell'11 settembre 2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 25 ottobre 2013, n. 251 che vi sia stato un risparmio complessivo di spesa corrente degli enti convenzionati di almeno il 5% rispetto alle spese sostenute nell'esercizio finanziario precedente alla gestione associativa; mentre l'efficacia della Convenzione dovrà essere attestata attraverso il raggiungimento di un migliore livello dei servizi nella gestione in Convenzione rispetto all'esercizio finanziario precedente per almeno parte delle attività previste dalla legge.

La L. n. 56/2014 (cd. legge Delrio) emana ulteriori disposizioni concernenti le forme associative, tramite le quali i Comuni hanno l'obbligo di esercitare le loro funzioni fondamentali ovvero Unioni di comuni o Convenzioni ex art. 30 TUEL, prevedendo che «[…] il limite demografico minimo delle Unioni e delle Convenzioni […] è fissato in 10.000 abitanti, ovvero in 3.000 abitanti se i Comuni appartengono o sono appartenuti a Comunità montane, fermo restando che, in tal caso, le Unioni devono essere formate da almeno tre Comuni, e salvi il diverso limite demografico ed eventuali deroghe in ragione di particolari condizioni territoriali, individuati dalla Regione. Il limite non si applica alle Unioni di comuni già costituite […]».

Pertanto, a differenza di quanto era previsto prima della L. n. 56/2014, anche per le Convenzioni tra Comuni è stato posto il limite dei 10.000 abitanti, per poter esercitare in forma associata le funzioni fondamentali comunali.

L'Unione di comuni è disciplinata dall'art. 32 del TUEL, più volte modificato nel tempo a partire dalla L. n. 142/1990, che disciplinava tale forma associativa nell'art. 26, il quale prevedeva che in previsione di una loro fusione, due o più Comuni contermini, appartenenti alla stessa Provincia, ciascuno con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, potevano costituire un'Unione per l'esercizio di una pluralità di funzioni o di servizi; mentre poteva anche far parte della stessa, non più di un Comune con popolazione fra i 5.000 e i 10.000 abitanti.

La Legge n. 142/1990 stabiliva un termine entro il quale l'obiettivo della fusione doveva necessariamente realizzarsi, pena, in caso di assenza di contributi regionali, lo scioglimento dell'Unione (art. 26, comma 6); ferma restando la possibilità di trasformarla in Consorzio polifunzionale e disponeva che entro dieci anni dalla costituzione dell'Unione di comuni doveva procedersi alla fusione, a norma dell'articolo 11, con la previsione dello scioglimento dell'Unione qualora non si sia pervenuto alla fusione.

La costituzione dell'Unione di comuni, preordinata alla successiva fusione dei Comuni ad essa aderenti fu l'elemento che, con ogni probabilità, impedì la piena riuscita del tentativo di pieno sviluppo e diffusione della forma associativa unionale, fino alla legge Napolitano-Vigneri (L. n. 265/1999) che apportò significative modificazioni all'assetto originario dell'art. 26 della L. n. 142/1990.

La suddetta legge Napolitano-Vigneri (L. n. 265/1999) stabilì che l'Unione avesse potestà regolamentare per la disciplina della propria organizzazione, per lo svolgimento delle funzioni ad essa affidate e per i rapporti anche finanziari con i Comuni; favorì le fusioni; eliminò l'obbligo che le Unioni una volta costituite dovessero portare i Comuni a esse aderenti alla successiva fusione; delegò il Governo ad adottare un Testo Unico di coordinamento delle disposizioni legislative vigenti in materia di ordinamento dei Comuni e delle Province e delle loro forme associative; eliminò alcuni importanti limiti previsti dalla L. n. 142/1990.

Le nuove norme in materia di Unioni di comuni erano contenute nell'art. 6, comma 5, della legge n. 265/1999, con cui si sostituiva integralmente l'art. 26 della L. n. 142/1990 e si provvedeva ad inserire al suo interno il nuovo art. 26-bis, il quale prevedeva che «[…] al fine di favorire il processo di riorganizzazione sovracomunale dei servizi, delle funzioni e delle strutture, le Regioni provvedono a disciplinare, con proprie leggi, nell'ambito del programma territoriale di cui all'articolo 11, comma 2, le forme di incentivazione dell'esercizio associato delle funzioni da parte dei Comuni, con l'eventuale previsione nel proprio bilancio di un apposito fondo. A tale fine […] promuovono le Unioni di comuni, senza alcun vincolo alla successiva fusione, prevedendo comunque ulteriori benefìci da corrispondere alle Unioni che autonomamente deliberino, su conforme proposta dei Consigli comunali interessati, di procedere alla fusione […]».

Di conseguenza, il nuovo art. 26 della L. n. 142/1990, così come modificato dalla L. n. 265/1999, non riportava più in apertura l'espressione «in previsione di una loro fusione», che aveva rappresentato un forte ostacolo alla diffusione dell'Unione di comuni, la quale andava costituita con Comuni «di norma» contermini, prevedendo, così, la possibilità che i Comuni che prendono parte ad una Unione non debbano necessariamente essere confinanti tra loro; fatto che impedisce, qualora manchi la contiguità territoriale, solo la successiva fusione, nel caso si dovesse deliberarla.

Con la L. n. 265/1999 venivano meno, altresì, le soglie demografiche necessarie alla costituzione dell'Unione, la quale doveva svolgere «funzioni» (pluralità di funzioni) di competenza dei Comuni, anche se si può dire che le Unioni di comuni potevano espletare anche i servizi che i singoli Comuni sono tenuti ad erogare ai cittadini.

La legge Napolitano-Vigneri, n. 265/1999, stabiliva che l'Unione di comuni è un «ente locale», costituito da due o più Comuni; fatto che consentiva ad essa di essere titolare dell'autonomia normativa, amministrativa e finanziaria che hanno gli enti locali esistenti sul territorio del nostro Paese.

Occorre precisare che la L. n. 265/1999, all'art. 31, commi 1 e 2 aveva disposto che «[…] il Governo della Repubblica è delegato ad adottare, con decreto legislativo, un Testo Unico nel quale sono riunite e coordinate le disposizioni legislative vigenti in materia di ordinamento dei Comuni e delle Province e loro forme associative […]».

L'atteso Testo Unico fu emanato dal Governo con il d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, con l'intento di raccogliere in un ordinato prodotto giuridico la frastagliata e spesso disorganica disciplina degli enti locali, conferendo a essa anche quell'omogeneità necessaria a dare maggiore certezza giuridica a quanti, operatori e non, avessero avuto il bisogno di entrare in relazione con gli enti locali, cui il Testo Unico del 2000 si riferiva.

Il vigente TUEL, disciplina l'Unione di comuni all'art. 32, più volte modificato. A seguito dell'approvazione della L. n. 56/2014 è disposto che l'Unione di comuni è l'ente locale costituito da due o più Comuni, contermini, ma solo di norma, finalizzato all'esercizio associato di funzioni e servizi. Ove costituita in prevalenza da Comuni montani, essa assume la denominazione di Unione di comuni montani e può esercitare anche le specifiche competenze di tutela e di promozione della montagna attribuite in attuazione dell'articolo 44, comma 2, della Costituzione e delle leggi in favore dei territori montani.

Ogni Comune può far parte di una sola Unione di comuni; mentre è possibile che le Unioni di comuni possano stipulare apposite Convenzioni tra loro o con singoli Comuni.

Pur essendo la disposizione di cui sopra assai chiara dal punto di vista letterale e della ratio, accade che alcuni Comuni, anche se hanno provveduto a trasferire all'Unione, con l'approvazione dello Statuto dell'ente associativo, tutte le funzioni fondamentali comunali, si convenzionino tra loro per espletare le medesime funzioni e servizi (già trasferiti all'Unione), attraverso la forma associativa prevista dall'art. 30 del TUEL.

In merito la Corte Conti - Sez. Contr. Puglia - con il parere 28 febbraio 2013, n. 36, è dell'avviso che qualora il Comune interessato dal parere partecipi ad un'Unione che, secondo quanto previsto dalle norme statutarie approvate da tutti i Comuni che ne fanno parte, ha per oggetto, tra l'altro, l'esercizio in forma associata delle funzioni che si vorrebbe svolgere attraverso successiva Convenzione, questo fatto «[…] determina l'impossibilità per il Comune di continuare ad esercitarle in forma singola ovvero per mezzo di Convenzioni ex art. 30 TUEL[…] conclusivamente, la permanenza di un ente all'interno di un'Unione di comuni non consente allo stesso l'esercizio in forma singola o in Convezione delle funzioni già "conferite" all'Unione […]».

L'Unione di comuni ha propri organi (Presidente, Giunta e Consiglio) che sono formati da amministratori in carica dei Comuni associati e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ai quali non possono essere attribuite retribuzioni, gettoni e indennità o emolumenti in qualsiasi forma percepiti.

Il Presidente è scelto tra i sindaci dei Comuni associati e la Giunta tra i componenti dell'esecutivo dei Comuni associati; mentre il Consiglio è composto da un numero di consiglieri definito nello statuto, eletti dai singoli consigli dei Comuni associati tra i propri componenti, garantendo la rappresentanza delle minoranze e assicurando la rappresentanza di ogni Comune.

Prima dell'emanazione della L. n. 56/2014, l'art. 32, comma 5, del TUEL prevedeva che «[…] il numero dei componenti degli organi non può comunque eccedere i limiti previsti per i Comuni di dimensioni pari alla popolazione complessiva dell'ente […]», pur dovendo garantire «[…] la rappresentanza delle minoranze […]».

Poteva accadere (e accadeva) che in numerose Unioni, non si riusciva a coniugare il rispetto della non eccedenza dei limiti numerici dei consiglieri, assieme a quello della rappresentanza delle minoranze.

In tali casi soccorreva (a volte non sempre senza polemiche da parte delle forze politiche presenti in consiglio) la circolare n. 10/2000 del Ministero dell'interno che pur riferendosi alle Comunità montane, riteneva prevalente e preminente la garanzia delle minoranze rispetto anche al superamento del numero massimo dei consiglieri; vale a dire che il limite quantitativo fissato dall'art. 37 TUEL non operava nella sola ipotesi in cui per l'entità demografica dei Comuni che costituiscono la Comunità montana venisse pregiudicata l'attuazione del principio della partecipazione delle minoranze in seno all'organo rappresentativo delle Comunità montane.

Tale indirizzo ermeneutico è confermato anche dal Consiglio di Stato (parere n. 1506/2003, sez. I, 29 gennaio 2003) che stabilisce la primazia della garanzia delle minoranze, con la conseguenza di ritenere non applicabile al Consiglio il limite quantitativo fissato dall'art. 37 TUEL nei soli casi in cui, per l'entità demografica dell'ente, verrebbe ad essere pregiudicata l'attuazione di tale principio.

Successivamente, il Ministero dell'interno, con parere espresso il 7 agosto 2008, ha ritenuto che la circolare n. 10/2000, riferita alle Comunità montane «[…] è applicabile anche alle Unioni di comuni, attesa la parziale identità di disciplina prevista per entrambe […]».

Sulla questione era intervenuta anche la prefettura di Salerno, con circolare Area II, Raccordo con gli enti locali e consultazioni elettorali, prot. n. 591/2007/Area, 29 marzo 2007, ad oggetto: Composizione numerica del Consiglio Generale delle Comunità montane, evidenziando che «[…] il richiamato art. 32, comma 5, fissa un principio di carattere generale applicabile nei confronti delle Unioni di comuni, statuendo che ad esse si applichino, in quanto compatibili, i principi previsti per l'ordinamento dei Comuni ed, in particolare, le norme in materia di composizione degli organi dei Comuni. Precisa, poi, lo stesso art. 32, che il numero dei componenti degli organi non può comunque eccedere i limiti previsti per i Comuni di dimensioni pari alla popolazione complessiva dell'ente.

Detto principio va armonizzato con quello contenuto nell'art. 27 del citato decreto legislativo di garanzia della rappresentanza delle minoranze in seno agli organi in questione.

Quest'ultimo principio poiché ha carattere prevalente e preminente in materia di composizione degli organi dei Comuni, determina che il limite fissato dall'art. 37, comma 1, non è applicabile nella sola ipotesi in cui per l'entità demografica dei Comuni che costituiscono le Comunità montane verrebbe pregiudicata l'attuazione del principio della partecipazione delle minoranze in seno all'organo rappresentativo della Comunità montana […]».

L'Unione si conferma ente locale dotato di potestà statutaria e regolamentare e ad essa si applicano, in quanto compatibili, i princìpi previsti per l'ordinamento dei Comuni, con particolare riguardo allo status degli amministratori, all'ordinamento finanziario e contabile, al personale e all'organizzazione.

All'Unione sono conferite dai Comuni partecipanti le risorse umane e strumentali necessarie all'esercizio delle funzioni loro attribuite, ma per ciò che attiene le risorse umane «[…] la spesa sostenuta per il personale dell'Unione non può comportare, in sede di prima applicazione, il superamento della somma delle spese di personale sostenute precedentemente dai singoli Comuni partecipanti […]»; con la specificazione che «[…] a regime, attraverso specifiche misure di razionalizzazione organizzativa e una rigorosa programmazione dei fabbisogni, devono essere assicurati progressivi risparmi di spesa in materia di personale […]».

Relativamente al personale, la L. n. 56/2014, all'art. 1, comma 114, precisa che «[…] in caso di trasferimento di personale dal Comune all'Unione di comuni, le risorse già quantificate sulla base degli accordi decentrati e destinate nel precedente anno dal Comune a finanziare istituti contrattuali collettivi ulteriori rispetto al trattamento economico fondamentale, confluiscono nelle corrispondenti risorse dell'Unione […]».

L'art. 32, comma 5-bis, del TUEL prevede che «[…] previa apposita Convenzione, i Sindaci dei Comuni facenti parte dell'Unione possono delegare le funzioni di ufficiale dello stato civile e di anagrafe a personale idoneo dell'Unione stessa, o dei singoli comuni associati […]»; mentre il comma 5-ter dispone che «[…] il Presidente dell'Unione di comuni si avvale del segretario di un Comune facente parte dell'Unione, senza che ciò comporti l'erogazione di ulteriori indennità e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Sono fatti salvi gli incarichi per le funzioni di segretario già affidati ai dipendenti delle Unioni o dei Comuni […]».

Si inserisce così nell'ordinamento delle Unioni di comuni l'obbligatoria figura del segretario comunale, a differenza delle disposizioni ante legem n. 56/2014, che non prevedevano la necessaria presenza all'interno delle Unioni di comuni della figura de segretario comunale; l'ingresso obbligatorio della figura del segretario comunale, appare comunque in controtendenza con quanto sta facendo il Governo Renzi, orientato all'abolizione di tale figura nell'ordinamento degli enti locali.

Alle Unioni competono gli introiti derivanti dalle tasse, dalle tariffe e dai contributi sui servizi ad esse affidati.

L'atto costitutivo e lo statuto dell'Unione sono approvati dai Consigli dei Comuni partecipanti con le procedure e con la maggioranza richieste per le modifiche statutarie. Lo statuto individua le funzioni svolte dall'Unione e le corrispondenti risorse; mentre gli statuti delle Unioni sono inviati al Ministero dell'interno per le finalità di cui all'articolo 6, commi 5 e 6 e debbono rispettare i principi di organizzazione e di funzionamento e le soglie demografiche minime eventualmente disposti con legge regionale e assicurare la coerenza con gli ambiti territoriali dalle medesime previsti.

La legge Delrio, n. 56/2014, all'art. 1, comma 112, dispone che, qualora i Comuni appartenenti all'Unione conferiscano all'Unione medesima la funzione della protezione civile, all'Unione spettano l'approvazione e l'aggiornamento dei piani di emergenza di cui all'articolo 15, commi 3-bis e 3-ter, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, nonché le connesse attività di prevenzione e approvvigionamento, mentre i sindaci dei Comuni restano titolari delle funzioni di cui all'articolo 15, comma 3, della predetta legge n. 225 del 1992; mentre all'art. 1, comma 113, prevede che le disposizioni di cui all'articolo 57, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale, e di cui all'articolo 5, comma 1, della legge 7 marzo 1986, n. 65, relative all'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria nell'ambito territoriale di appartenenza del personale della polizia municipale, si intendono riferite, in caso di esercizio associato delle funzioni di polizia municipale mediante Unione di comuni, al territorio dei Comuni in cui l'Unione esercita le funzioni stesse.

Infine, in caso di trasferimento di personale dal Comune all'Unione di comuni, le risorse già quantificate sulla base degli accordi decentrati e destinate nel precedente anno dal Comune a finanziare istituti contrattuali collettivi ulteriori rispetto al trattamento economico fondamentale, confluiscono nelle corrispondenti risorse dell'Unione; mentre le disposizioni normative previste per i Piccoli Comuni si applicano alle Unioni composte da Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti.

L'art. 1, comma 104, della L. n. 56/2014, abroga il modello di Unione "Speciale", previsto dall'art. 16 della legge n. 148/2011, per i piccoli Comuni fino a 1.000 abitanti, per l'esercizio associato di tutte le funzioni amministrative e dei servizi pubblici, la programmazione economica e finanziaria, la gestione contabile, la titolarità della potestà impositiva e di quella patrimoniale; Unione "speciale" che sarebbe, inoltre, stata assoggettata al Patto di Stabilità a partire dal 2014.

Per l'anno 2014, il fondo nazionale per la gestione associata di servizi e funzioni comunali, a favore di Unioni e fusioni risulta composto dai seguenti finanziamenti:

- 1.549.370 euro stanziati ex art. 1, comma 164 della legge finanziaria n. 662 del 1996 per le Unioni e le fusioni di Comuni;

- 10.329.138 euro stanziati ex art. 53, comma 10, L. n. 388/2000 per Unioni e Comunità montane;

- 30 milioni di euro, destinati (ex comma 730, art. 1, legge n. 147/2013) per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016 ad incrementare il contributo spettante alle Unioni di Comuni ai sensi dell'articolo 53, comma 10, della legge 23 dicembre 2000, n. 388;

- 30 milioni di euro, destinati (ex comma 730, art. 1, legge n. 147/2013) per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016, ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ai Comuni istituiti a seguito di fusione.

La L. 28 dicembre 2015, n. 208, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016) (15G00222) (G.U. Serie Generale n. 302 del 30 dicembre 2015 - Suppl. Ordinario n. 70), modificando il comma 380-ter, lett. a), della L. n. 228/2012, prevede all'art. 1, comma 17, lett. a) che a decorrere dall'anno 2016 la dotazione del Fondo di solidarietà comunale è incrementata di 3.767,45 milioni di euro»; e alla lett. b) che «al fine di incentivare il processo di riordino e semplificazione degli enti territoriali, una quota del Fondo di solidarietà comunale, non inferiore a 30 milioni di euro, a decorrere dall'anno 2014, è destinata ad incrementare il contributo spettante alle Unioni di comuni, ai sensi dell'articolo 53, comma 10, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 e successive modificazioni, e una quota non inferiore a 30 milioni di euro è destinata, ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 e successive modificazioni, ai Comuni istituiti a seguito di fusione».

Il TUEL, all'articolo 33, disciplina l'esercizio associato di funzioni e servizi da parte dei Comuni, prevedendo che le Regioni, al fine di favorire l'esercizio associato delle funzioni dei Comuni di minore dimensione demografica, individuano livelli ottimali di esercizio delle stesse, concordandoli nelle sedi concertative di cui all'art. 4; vale a dire che nell'ambito della propria autonomia legislativa, esse prevedono strumenti e procedure di raccordo e concertazione, anche permanenti, che diano luogo a forme di cooperazione strutturali e funzionali, al fine di consentire la collaborazione e l'azione coordinata fra regioni ed enti locali nell'ambito delle rispettive competenze.

Nell'ambito della previsione regionale, i Comuni esercitano le funzioni in forma associata, individuando autonomamente i soggetti, le forme e le metodologie, entro il termine temporale indicato dalla legislazione regionale, con l'avvertenza che decorso inutilmente il termine di cui sopra, la Regione esercita il potere sostitutivo nelle forme stabilite dalla legge stessa.

Inoltre, le Regioni predispongono, concordandolo con i Comuni nelle apposite sedi concertative, un programma di individuazione degli ambiti per la gestione associata sovracomunale di funzioni e servizi, realizzato anche attraverso le Unioni, che può prevedere, altresì, la modifica di circoscrizioni comunali e i criteri per la corresponsione di contributi e incentivi alla progressiva unificazione. Il programma è aggiornato ogni tre anni, tenendo anche conto delle Unioni di comuni regolarmente costituite.

Al fine di favorire il processo di riorganizzazione sovracomunale dei servizi, delle funzioni e delle strutture, le Regioni provvedono a disciplinare, con proprie leggi, le forme di incentivazione dell'esercizio associato delle funzioni da parte dei Comuni, con l'eventuale previsione nel proprio bilancio di un apposito fondo.

A tal fine, le Regioni si attengono ai seguenti princìpi fondamentali:

a) nella disciplina delle incentivazioni:

1) favoriscono il massimo grado di integrazione tra i Comuni, graduando la corresponsione dei benefici in relazione al livello di unificazione, rilevato mediante specifici indicatori con riferimento alla tipologia ed alle caratteristiche delle funzioni e dei servizi associati trasferiti in modo tale da erogare il massimo dei contributi nelle ipotesi di massima integrazione;

2) prevedono in ogni caso una maggiorazione dei contributi nelle ipotesi di fusione e di unione, rispetto alle altre forme di gestione sovracomunale;

b) promuovono le Unioni di comuni, senza alcun vincolo alla successiva fusione, prevedendo comunque ulteriori benefici da corrispondere alle Unioni che autonomamente deliberino, su conforme proposta dei Consigli comunali interessati, di procedere alla fusione.

Le risorse finanziarie, dunque, sono messe a disposizione dallo Stato e dalle Regioni.

Le risorse finanziarie statali venivano ripartite ai soggetti associati aventi diritto, dapprima ai sensi del Regolamento del Ministero dell'interno, d.m. 1 settembre 2000, n. 318, Regolamento concernente i criteri di riparto dei fondi erariali destinati al finanziamento delle procedure di fusione tra i Comuni e l'esercizio associato di funzioni comunali (in G.U. 3 novembre 2000, n. 257) e successivamente, in base al Decreto del ministero dell'interno 1 ottobre 2004 n.289 (in Gazz. Uff., 2 dicembre, n. 283) - Modifiche ed integrazioni al decreto del Ministro dell'interno 1 febbraio 2000, n. 318, concernente la ripartizione dei contributi spettanti ai Comuni, derivanti da procedure di fusione, alle Unioni di comuni ed alle Comunità montane, svolgenti l'esercizio associato di funzioni comunali, il quale dispone che alle Unioni di comuni è attribuito un contributo in base:

a) alla popolazione dell'Unione dei comuni;

b) al numero di Comuni facenti parte dell'Unione;

c) ai servizi esercitati in forma associata.

Alle risorse finanziarie statali si aggiungono quelle stanziate dalle Regioni, in base a criteri stabiliti dalla specifica legislazione di ogni Regione; fatto salvo il paradosso della Regione Puglia, ultima Regione in Italia ad aver legiferato in tema di forme associative.

In tale Regione, la legge regionale 1 agosto 2014, n. 34, "Disciplina dell'esercizio associato delle funzioni comunali" (in Bollettino Ufficiale della Regione Puglia ‐ n. 105 del 04‐08‐2014), all'art. 4 ribadisce l'obbligo dei Comuni con popolazione fino a 5 mila abitanti, ovvero fino a 3 mila abitanti se già appartenenti alle soppresse comunità montane, con esclusione del Comune di Isole Tremiti, il cui territorio coincide integralmente con quello delle omonime isole, «[…] a esercitare in forma associata, mediante Unione di comuni o Convenzione, tutte le funzioni fondamentali, come individuate dall'articolo 19 del d.l. n. 95/2012, con esclusione di anagrafe e stato civile […]; mentre all'art. 11, prevede che «nella ripartizione delle risorse disponibili, la Giunta regionale tiene conto, nell'ordine, dei seguenti criteri di preferenza:

a) fusioni di comuni;

b) unioni di comuni;

c) convenzioni;

d) ampliamento territoriale rispetto alle dimensioni ottimali delle forme associative previste nel piano di riordino territoriale;

e) eventuali funzioni trasferite in aggiunta a quelle fondamentali;

f) numero di funzioni e servizi comunali con esercizio in forma associata;

g) numero di comuni che partecipano a ognuna delle forme associative previste;

h) appartenenza dei comuni alle aree interne».

L'art. 19, Norma finanziaria, prevede che: «1. Agli oneri finanziari correnti derivanti dall'attuazione della presente legge regionale si provvede, per gli esercizi finanziari a partire dal 2015, con previsioni a valere sulle leggi di bilancio annuali e pluriennali, mediante aumento di euro 500 mila, in termini di competenza e cassa, della dotazione finanziaria della U.P.B. 08.02.01, e contestuale diminuzione della dotazione finanziaria della U.P.B. 08.01.01 di pari importo e istituzione del nuovo capitolo di spesa del bilancio autonomo denominato "Contributi ai comuni per l'esercizio associato di compiti e funzioni", con lo stanziamento di euro 800 mila, di cui euro 300 mila rivenienti da minori spese della stessa U.P.B. di competenza».

Ebbene, nonostante quanto detto sopra, la Regione Puglia, non ha stanziato un solo euro, a valere sulla L.r. n. 31/2014 ovvero a beneficio dell'esercizio associato delle funzioni comunali, né sul bilancio di previsione 2015, né sulla bozza di bilancio di previsione 2016, peraltro, in corso di approvazione; sembrerebbe, quella della Regione Puglia, la prima legge emanata "ioci causa", vale a dire per scherzo.

Le funzioni comunali fondamentali

Le funzioni fondamentali comunali di cui sopra, ai sensi del d.l. n. 78/2010, art. 14, comma 27, così come modificato dalla legge di stabilità 2014 (n. 147/2013, art. 1, comma 530) sono:

a) organizzazione generale dell'amministrazione, gestione finanziaria e contabile e controllo;

b) organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale, ivi compresi i servizi di trasporto pubblico comunale;

c) catasto, ad eccezione delle funzioni mantenute allo Stato dalla normativa vigente;

d) la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonché la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale;

e) attività, in ambito comunale, di pianificazione di protezione civile e di coordinamento dei primi soccorsi;

f) l'organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi;

g) progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali ed erogazione delle relative prestazioni ai cittadini, secondo quanto previsto dall'articolo 118, quarto comma, della Costituzione;

h) edilizia scolastica per la parte non attribuita alla competenza delle province, organizzazione e gestione dei servizi scolastici;

i) polizia municipale e polizia amministrativa locale;

l) tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e compiti in materia di servizi anagrafici nonché in materia di servizi elettorali, nell'esercizio delle funzioni di competenza statale;

l-bis) i servizi in materia statistica.

La legge Delrio (n. 56/2014), all'art. 1, comma 110, dispone, inoltre, che «[…] le seguenti attività possono essere svolte dalle Unioni di comuni in forma associata anche per i Comuni che le costituiscono, con le seguenti modalità:

a) le funzioni di responsabile anticorruzione sono svolte da un funzionario nominato dal presidente dell'Unione tra i funzionari dell'Unione e dei Comuni che la compongono;

b) le funzioni di responsabile per la trasparenza sono svolte da un funzionario nominato dal presidente dell'Unione tra i funzionari dell'Unione e dei Comuni che la compongono;

c) le funzioni dell'organo di revisione, per le Unioni formate da Comuni che complessivamente non superano 10.000 abitanti, sono svolte da un unico revisore e, per le Unioni che superano tale limite, da un collegio di revisori;

d) le funzioni di competenza dell'organo di valutazione e di controllo di gestione sono attribuite dal presidente dell'Unione, sulla base di apposito regolamento approvato dall'Unione stessa […]».

Un'altra importante funzione assegnata al Presidente dell'Unione di comuni riguarda la possibilità d'impartire direttive, di vigilare sull'espletamento del servizio e di adottare i provvedimenti previsti dalle leggi e dai regolamenti concernenti la polizia locale.

Lo svolgimento effettivo in forma associata tramite Unioni di comuni o Convenzione tra Comuni è soggetto ad un ben precisa tempistica, vanificata da continue proroghe, stabilite dall'art. 29, commi 11 e 11-bis, d.l. n. 216/2011 (convertito in legge 14/2012) e dall'art. 1, comma 530, della legge 147/2013 (legge di stabilità 2014) e dall'art. 1, comma 107, della legge 56/2014.

Occorre ribadire che il d.l. n. 78/2010, all'art. 14, comma 31-ter, prevedeva che: «i Comuni interessati assicurano l'attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo [ovvero della tempistica]

a) entro il 1 gennaio 2013 con riguardo ad almeno tre delle funzioni fondamentali di cui al comma 28;

b) entro il 30 settembre 2014, con riguardo ad ulteriori tre delle funzioni fondamentali di cui al comma 27;

b-bis) entro il 31 dicembre 2014, con riguardo alle restanti funzioni fondamentali di cui al comma 27».

La mancanza di previsioni sanzionatore per i Comuni inadempienti è stata colmata in sede di conversione del d.l. n. 95/2012 (articolo 19, comma 1) che ha aggiunto all'art. 14 del d.l. n. 78/2010, il comma 31-quater, il quale prevede che: «in caso di decorso dei termini di cui al comma 31-ter, il Prefetto assegna agli enti inadempienti un termine perentorio entro il quale provvedere. Decorso inutilmente detto termine, trova applicazione l'articolo 8 della legge n. 5 giugno 2003, n. 131 ovvero il potere sostitutivo esercitato da un Commissario ad acta.

Il d.l. 31 dicembre 2014 n. 192 (in G.U., 31 dicembre 2014, n. 302) - Decreto convertito, con modificazioni, dalla Legge 27 febbraio 2015, n. 11 - Proroga di termini previsti da disposizioni legislative, (Milleproroghe 2015), all'art. 4, comma 6-bis, ha previsto che: «i termini di cui all'articolo 14, comma 31-ter, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, sono prorogati al 31 dicembre 2015».

Il d.l. 30 dicembre 2015, n. 210, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative, in G.U. n.302 del 30 dicembre 2015, all'art. 1, Proroga di termini in materia di pubbliche amministrazioni, ha previsto che il termine ultimo perché i Comuni fino a 5 mila abitanti o 3 mila per gli enti che appartenevano a Comunità montane, possano espletare obbligatoriamente in forma associata le funzioni comunali fondamentali individuate dall'art. 14, comma 28, del d.l. n. 78/2010 tramite Convenzioni o Unioni di comuni, è differito dal 31 dicembre 2015, al 31 dicembre 2016.

Per i Comuni aventi l'obbligo della gestione associata rimane, comunque, valida la previsione che annunciava l'obbligo, entro il 30 settembre 2014, di dar corso alla gestione associata di almeno 6 funzioni fondamentali poiché il termine di cui alla lett. b) del comma 31-ter dell'art. 14 del d.l. n. 78/2010 non è stato affatto prorogato.

Le risorse umane della Convenzione e dell'Unione di comuni

Le due forme associative, rispettivamente previste dall'art. 30 TUEL (Convenzione) e dall'art. 32 TUEL (Unioni di comuni), non possono prescindere, riguardo al loro funzionamento, dalla presenza di risorse umane che debbono essere messe a loro disposizione; risorse umane che sono da individuare, innanzitutto, nel personale dipendente dai Comuni che danno vita alle forme associative, finalizzate all'espletamento delle funzioni comunali fondamentali.

Una premessa appare necessaria in merito e a prescindere dalla forma associativa utilizzata: il dipendente comunale che svolge la propria prestazione lavorativa all'interno di una funzione o di un servizio oggetto d'associazione, non può esimersi dallo svolgimento del proprio lavoro nell'ambito della Convenzione o dell'Unione di comuni, senza bisogno che vi siano sostanziali assensi preventivi da parte del prestatore di lavoro, da chiedere e da ottenere.

Ciò detto, ne consegue che qualora l'ente dovesse decidere di associare una funzione, tutti i dipendenti sono tenuti a seguirla, fatta salva la procedura di dichiarazione di eccedenza, prevista e disciplinata dall'articolo 33, del d.lgs. 30 marzo 2011, n. 165, il quale, al comma 1, prevede che: «le pubbliche amministrazioni che hanno situazioni di soprannumero o rilevino comunque eccedenze di personale, in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria, anche in sede di ricognizione annuale prevista dall'articolo 6, comma 1, terzo e quarto periodo, sono tenute ad osservare le procedure previste dal presente articolo dandone immediata comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica»; vale a dire gestione delle eccedenze di personale attraverso il passaggio diretto ad altre amministrazioni al di fuori del territorio regionale; collocamento in disponibilità del personale che non sia possibile impiegare diversamente nell'ambito della medesima amministrazione e che non possa essere ricollocato presso altre amministrazioni nell'ambito regionale, ovvero che non abbia preso servizio presso la diversa amministrazione secondo gli accordi di mobilità.

Nel caso delle Convenzioni, ex art. 30 del TUEL, qualora per la gestione dello strumento convenzionale si preveda «anche la costituzione di uffici comuni», tali uffici operano con «personale distaccato dagli enti partecipanti», ai quali affidare l'esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all'accordo, ovvero la delega di funzioni da parte degli enti partecipanti all'accordo a favore di uno di essi, che opera in luogo e per conto degli enti deleganti.

La legislazione, a dire il vero, disciplina solo l'istituto del comando (e non il distacco), prevedendo, con il d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3 (in S.O. alla Gazz. Uff., 25 gennaio, n. 22) - Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, all'art. 56 che: «l'impiegato di ruolo può essere comandato a prestare servizio presso altra amministrazione statale o presso enti pubblici, esclusi quelli sottoposti alla vigilanza dell'amministrazione cui l'impiegato appartiene.

Il comando è disposto, per tempo determinato e in via eccezionale, per riconosciute esigenze di servizio o quando sia richiesta una speciale competenza […]». (Il d.p.r. n. 3/1957 non è più applicabile ai dipendenti pubblici il cui rapporto di lavoro è stato ricondotto alla fonte contrattuale e che quest'ultima non prevede alcuna organica disciplina).

Distinta dal comando è la fattispecie della utilizzazione temporanea del dipendente pubblico presso un ufficio diverso da quello che costituisce la sua sede di servizio, che a volte è denominato distacco nella giurisprudenza amministrativa.

Il distacco è un istituto in realtà ignoto alla legislazione del pubblico impiego che tuttavia nella prassi aveva ed ha ancora una certa diffusione e si distingue dal comando proprio perché l'impiegato non viene assegnato ad una pubblica amministrazione diversa da quella di appartenenza, ma - in modo temporaneo - ad un ufficio, diverso da quello nel quale è formalmente incardinato, ma comunque dell'amministrazione datrice di lavoro.

Qualora vi sia distacco, permangono in capo al datore di lavoro distaccante il potere direttivo e di determinare la cessazione del distacco stesso; mentre in caso di dipendente adibito a mansioni superiori presso il distaccatario, in capo al distaccante si verificheranno le conseguenze di cui all'art. 2103 c.c., il quale dispone che: «il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione del lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

Ogni patto contrario è nullo».

Qualche problema applicativo può ben sorgere, perché al pubblico dipendente, non è applicabile la disciplina del distacco di recente introdotta per il settore privato dalla "legge Biagi" (art. 30 del d.lgs. n. 276/2003) e questo per esplicita previsione della stessa legge che all'art.1, titolato Finalità e campo di applicazione, comma 2, prevede che: «Il presente decreto non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale».

Pe il distacco del dipendente degli enti locali occorre rifarsi alla fonte contrattuale ovvero al CCNL del personale del comparto delle Regioni e delle autonomie locali per il quadriennio normativo 2002-2005, il quale al Capo II, art. 14 dispone che:

«al fine di soddisfare la migliore realizzazione dei servizi istituzionali e di conseguire una economica gestione delle risorse, gli enti locali possono utilizzare, con il consenso dei lavoratori interessati, personale assegnato da altri enti cui si applica il presente CCNL per periodi predeterminati e per una parte del tempo di lavoro d'obbligo mediante Convenzione e previo assenso dell'ente di appartenenza. La Convenzione definisce, tra l'altro, il tempo di lavoro in assegnazione, nel rispetto del vincolo dell'orario settimanale d'obbligo, la ripartizione degli oneri finanziari e tutti gli altri aspetti utili per regolare il corretto utilizzo del lavoratore. La utilizzazione parziale, che non si configura come rapporto di lavoro a tempo parziale, è possibile anche per la gestione dei servizi in convenzione.

2. Il rapporto di lavoro del personale utilizzato a tempo parziale, ivi compresa la disciplina sulle progressioni verticali e sulle progressioni economiche orizzontali, è gestito dall'ente di provenienza, titolare del rapporto stesso, previa acquisizione dei necessari elementi di conoscenza da parte dell'ente di utilizzazione.

3. La contrattazione decentrata dell'ente che utilizzatore può prevedere forme di incentivazione economica a favore del personale assegnato a tempo parziale, secondo la disciplina dell'art. 17 del CCNL dell'1.4.1999 ed utilizzando le risorse disponibili secondo l'art. 31.

4. I lavoratori utilizzati a tempo parziale possono essere anche incaricati della responsabilità di una posizione organizzativa nell'ente di utilizzazione o nei servizi convenzionati di cui al comma 7; il relativo importo annuale, indicato nel comma 5, è riproporzionato in base al tempo di lavoro e si cumula con quello eventualmente in godimento per lo stesso titolo presso l'ente di appartenenza che subisce un corrispondente riproporzionamento.

5. Il valore complessivo, su base annua per tredici mensilità, della retribuzione di posizione per gli incarichi di cui al comma 4 può variare da un minimo di € 5.164,56 ad un massimo di € 16.000. Per la eventuale retribuzione di risultato l'importo può variare da un minimo del 10% fino ad un massimo del 30% della retribuzione di posizione in godimento. Per il relativo finanziamento trova applicazione la generale disciplina degli artt. 10 e 11 del CCNL del 31.3.1999.

6. Al personale utilizzato a tempo parziale compete, ove ne ricorrano le condizioni e con oneri a carico dell'ente utilizzatore, il rimborso delle sole spese sostenute nei limiti indicati nei commi 2 e 4 dell'art. 41 del CCNL del 14.9.2000.

7. La disciplina dei commi 3, 4, 5 e 6 trova applicazione anche nei confronti del personale utilizzato a tempo parziale per le funzioni e i servizi in convenzione ai sensi dell'art. 30 del d.lgs. n. 267 del 2000. I relativi oneri sono a carico delle risorse per la contrattazione decentrata dell'ente di appartenenza, con esclusione di quelli derivanti dalla applicazione del comma 6».

Occorre riportare un interessante parere dell'ARAN, emanato a seguito di quesito, concernente il necessario consenso del lavoratore ai fini dell'impiego nell'ambito dei servizi pubblici svolti in regime di Convenzione ex art. 30 TUEL:

«È necessario il consenso del lavoratore ai fini del suo impiego nell'ambito della gestione associata del servizio di polizia municipale organizzata sulla base di una convezione stipulata tra più enti, in presenza di una previsione in tal senso sia nella stesa convenzione che nel regolamento di gestione?

L'art. 14 del CCNL del 22 gennaio 2004 richiede il consenso del lavoratore solo con esclusivo riferimento a quella particolare forma di utilizzo del personale, a tempo parziale e di natura limitata nel tempo, prevista dal comma 1 del suddetto art. 14.

Conseguentemente, non si ritiene che il consenso del lavoratore addetto ad un determinato servizio sia necessario anche ai fini anche della decisione di un ente di convenzionare con altri enti l'esercizio del suddetto servizio, ai sensi dell'art. 30 del d.lgs. n. 267/2000. Si tratta, infatti, di una decisione di natura eminentemente politica, attinente alla stessa organizzazione fondamentale dell'ente circa le concrete modalità di esercizio delle proprie funzioni istituzionali che, in quanto tale, non può essere limitata o, comunque, essere subordinata all'interesse o alla volontà del singolo o dei diversi lavoratori eventualmente coinvolti.

Tuttavia, nel caso esposto, sulla normativa contrattuale si è sovrapposta la specifica ed autonoma regolamentazione della materia contenuta nella convenzione e regolamento, cui l'ente, in quanto parte della convezione ha accettato e che non può perciò disattendere».

Tale interpretazione deve fare confrontarsi con quanto disposto dei commi 413 e 414 dell'articolo 1 della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013), i quali dispongono rispettivamente che:

«A decorrere dal 1 gennaio 2013, i provvedimenti con i quali sono disposte le assegnazioni temporanee del personale tra amministrazioni pubbliche, di cui all'articolo 30, comma 2-sexies, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, sono adottati d'intesa tra le amministrazioni interessate, con l'assenso dell'interessato» e «a decorrere dal 1 gennaio 2013, per gli enti pubblici, il provvedimento di comando, di cui all'articolo 56, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, è adottato d'intesa tra le amministrazioni interessate, previo assenso dell'interessato».

Si fa presente che l'articolo 30, comma 2-sexies, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, prevede che: «le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti di cui all' articolo 2, comma 2, appartenenti a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento, previo assenso dell'amministrazione di appartenenza […] nell'ambito dei rapporti di lavoro di cui all'articolo 2, comma 2, i dipendenti possono essere trasferiti all'interno della stessa amministrazione o, previo accordo tra le amministrazioni interessate, in altra amministrazione, in sedi collocate nel territorio dello stesso Comune ovvero a distanza non superiore a cinquanta chilometri dalla sede cui sono adibiti. Ai fini del presente comma non si applica il terzo periodo del primo comma dell'articolo 2103 del codice civile […] previa consultazione con le confederazioni sindacali rappresentative […] possono essere fissati criteri per realizzare i processi di cui al presente comma, anche con passaggi diretti di personale tra amministrazioni senza preventivo accordo, per garantire l'esercizio delle funzioni istituzionali da parte delle amministrazioni che presentano carenze di organico. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano ai dipendenti con figli di età inferiore a tre anni, che hanno diritto al congedo parentale, e ai soggetti di cui all'articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni, con il consenso degli stessi alla prestazione della propria attività lavorativa in un'altra sede».

Ad avviso dell'ARAN, le differenze tra distacco e comando sono da ricercarsi nel diverso interesse all'utilizzo della prestazione lavorativa (del datore nel caso del distacco e dell'utilizzatore nel caso del comando) e nella conseguente diversa ripartizione degli oneri economici (a carico del datore di lavoro distaccante ed invece a carico dell'ente utilizzatore nel caso del comando, in quest'ultimo caso da rimborsare all'ente titolare del rapporto per il trattamento economico fondamentale, e da pagare direttamente per il trattamento accessorio).

Riguardo al trattamento economico accessorio (produttività collettiva, pagamento ore di straordinario, indennità di maneggio valori, reperibilità) l'ARAN, nella relazione illustrativa al CCNL 22 gennaio 2004, ha ribadito che debba essere erogato direttamente dal datore di lavoro che ne utilizza le prestazioni, secondo le regole e modalità fissate dalla propria contrattazione decentrata integrativa, sopportandone quindi i relativi oneri. Trattasi di una disposizione di difficile applicazione, poiché ci si troverebbe di fronte a due uffici del personale appartenenti a due enti diversi tenuti a liquidare, l'uno il trattamento fondamentale, l'altro il trattamento accessorio spettanti allo stesso dipendente. Sarebbe certamente molto più agevole concordare tra i due enti che la corresponsione dell'intera busta paga sia di spettanza dell'ente locale territoriale d'appartenenza, dietro comunicazione mensile dell'importo dovuto da parte del soggetto utilizzatore del dipendente e il relativo rimborso.

Con la Convenzione ex art. 30 TUEL ed il conseguente "distacco" di personale, il rapporto organico ed il rapporto funzionale dei dipendenti interessati viene disciplinato in maniera del tutto differente.

Il primo, ovvero il rapporto organico rimane in capo al Comune distaccante; il secondo, vale a dire il rapporto funzionale rimane di competenza del servizio associato.

Rientreranno, nelle competenze del servizio associato in Convenzione ex art. 30 TUEL: la disciplina compiti e mansioni del dipendente, degli ordini di servizio, dell'orario di lavoro, della sede o sedi dove prestare servizio, delle ferie, dei permessi, delle attribuzione di specifiche responsabilità, dell'autorizzazione al lavoro straordinario, della misurazione e valutazione della performance, della competenze in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro; mentre non è necessario stipulare un nuovo contratto individuale di lavoro né dare luogo alla modificazione della dotazione organica.

Per ciò che concerne il personale delle Unioni di comuni può ben applicarsi il d.lgs. n. 165/2001, art. 31, vale a dire il passaggio dei dipendenti per effetto del trasferimento d'attività (art. 34 del d.lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 19 del d.lgs. n. 80 del 1998), il quale dispone che: «fatte salve le disposizioni speciali, nel caso di trasferimento o conferimento di attività, svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti si applicano l'articolo 2112 del codice civile e si osservano le procedure di informazione e di consultazione di cui all'articolo 47, commi da 1 a 4, della legge 29 dicembre 1990, n. 428».

Il richiamo all'art. 2112 del c.c. esplicita la volontà del legislatore che è rivolta al mantenimento dei diritti del lavoratore qualora vi sia trasferimento dell'azienda (nel caso che qui ci riguarda nel caso di svolgimento delle funzioni comunali fondamentali, non più come singolo Comune ma attraverso l'Unione di comuni ex art. 32 del TUEL).

Per trasferimento d'azienda s'intende qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda. Le disposizioni dell'art. 2112 c.c. si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.

In caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano; il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento.

Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa del cessionario. L'effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello. Inoltre il trasferimento d'azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento

Il trasferimento d'azienda è regolato anche dalla L. 29 dicembre 1990, n. 428 (in S.O. alla G.U., 12 gennaio, n. 10) - Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee (Legge comunitaria per il 1990), la quale all'art. 47, dispone che: «quando si intenda effettuare, ai sensi dell'articolo 2112 del codice civile, un trasferimento d'azienda in cui sono complessivamente occupati più di quindici lavoratori, anche nel caso in cui il trasferimento riguardi una parte d'azienda, ai sensi del medesimo articolo 2112, il cedente ed il cessionario devono darne comunicazione per iscritto almeno venticinque giorni prima che sia perfezionato l'atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un'intesa vincolante tra le parti, se precedente, alle rispettive rappresentanze sindacali unitarie, ovvero alle rappresentanze sindacali aziendali costituite, a norma dell'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nelle unità produttive interessate, nonché ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento. In mancanza delle predette rappresentanze aziendali, resta fermo l'obbligo di comunicazione nei confronti dei sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi e può essere assolto dal cedente e dal cessionario per il tramite dell'associazione sindacale alla quale aderiscono o conferiscono mandato. L'informazione deve riguardare: a) la data o la data proposta del trasferimento; b) i motivi del programmato trasferimento d'azienda; c) le sue conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori; d) le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi […] su richiesta scritta delle rappresentanze sindacali o dei sindacati di categoria, comunicata entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione, il cedente e il cessionario sono tenuti ad avviare, entro sette giorni dal ricevimento della predetta richiesta, un esame congiunto con i soggetti sindacali richiedenti. La consultazione si intende esaurita qualora, decorsi dieci giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo; il mancato rispetto, da parte del cedente o del cessionario, degli obblighi previsti dai commi 1 e 2 costituisce condotta antisindacale ai sensi dell'articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300.

Nel caso di trasferimento d'azienda sono dunque necessari due passaggi, previsti dall'art. 47 della L. n. 428/1990: informazione e comunicazione.

L'informazione è disposta anche dall'art. 7 del CCNL 1 aprile 1999, ai sensi del quale gli enti locali territoriali devono informare tempestivamente e periodicamente i soggetti sindacali riguardo gli atti di valenza generale che riguardano il rapporto di lavoro e l'organizzazione degli uffici, anche con riferimento agli atti di carattere finanziario, purché attinenti all'organizzazione ed al rapporto di lavoro.

Tale istituto contrattuale prevede la tenuta di specifici incontri tra le parti, nei casi di iniziative concernenti la riorganizzazione dei servizi, le innovazioni tecnologiche, le dismissioni ed esternalizzazioni.

L'informazione deve essere preventiva, quando riguarda materie che il contratto affida alla contrattazione decentrata o alla concertazione. Solo a seguito di una compiuta informazione, infatti, i soggetti sindacali possono assumere le iniziative per richiedere l'avvio delle procedure di confronto.

L'informazione è prevista anche dal d.lgs. n. 165/2001, art. 6, comma 1; informazione che deve essere previamente attivata da parte della p.a. per l'organizzazione e la disciplina degli uffici, nonché per la consistenza e la variazione delle dotazioni organiche; nel caso di individuazione di esuberi o d'avvio di processi di mobilità, con la modalità prevista dall'art. 33 del testo unico del pubblico impiego.

Se l'informazione preventiva non viene data, quali sono le possibili conseguenze?

Ad avviso dell'Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni (ARAN), parere RAL 728 (in https://www.aranagenzia.it), «[…] occorre ricordare che anche la violazione del più leggero dei modelli relazionali previsti (l'informazione) può essere oggetto di ricorso da parte delle OO.SS. al particolare strumento previsto dall'art.28 della legge n. 300/1970 per la repressione della condotta antisindacale.

Inoltre, trattandosi di modelli relazionali da rispettare in via preventiva rispetto alla concreta adozione dell'atto o del provvedimento per i quali sono previsti (informazione preventiva, concertazione), in sede di giudizio, il magistrato, oltre a dichiarare l'antisindacalità del comportamento dell'ente, potrebbe anche ordinare la rimozione degli effetti di tale comportamento, invalidando gli atti eventualmente adottati dal datore di lavoro pubblico senza il rispetto del vincolo relazionale prescritto».

Con riguarda alla comunicazione, alcuni si sono posti l'interrogativo se sia ancora vigente questo obbligo, visto che il CCNL non ha disciplinato il modello relazionale della consultazione; ed inoltre se sì, quale sia la procedura da seguire; e ancora, se sia possibile escludere dalla consultazione la RSU, visto che il d.lgs. n. 165/2001 fa esclusivo riferimento alle organizzazioni sindacali rappresentative?

A tali domande dà una risposta l'ARAN, con l'orientamento applicativo RAL 729, il quale così recita: «L'obbligo di consultare le OO.SS. prima di definire, in base alla verifica degli effettivi fabbisogni, la consistenza e le variazioni della dotazione organica è ancora vigente; si tratta di un obbligo espressamente previsto dall'art. 6 del d.lgs. n. 165/2001 e dall'art. 7, comma 4, del CCNL dell'1.4.1999, secondo il quale "la consultazione è altresì effettuata nelle materie in cui essa è prevista dal d.lgs. n. 29/93" (rinvio che oggi deve intendersi riferito al d.lgs. n.165/2001).

Gli enti hanno, inoltre, gli obblighi di informazione espressamente indicati nell'art. 7 del CCNL 1.4.1999 (tra i quali rientra anche la programmazione dei fabbisogni).

In generale, escludiamo che quando sia prevista la consultazione sia possibile escludere dalla stessa la RSU; infatti, anche se l'art. 6 del d.lgs. n. 165/2001 parla di organizzazioni sindacali rappresentative è pur vero che esso rinvia all'art. 9 dello stesso decreto e quindi alla disciplina dei rapporti sindacali e degli istituti della partecipazione definita nei contratti collettivi; il CCNL dell'1.4.1999 considera sempre sullo stesso piano le OO.SS. rappresentative e la RSU (è così per la contrattazione integrativa, per la concertazione e per l'informazione; è così nelle previsioni generali sui soggetti sindacali dell'art. 9 del citato CCNL); pertanto, sembrerebbe strano escludere la RSU dalla sola consultazione.

Quanto alla procedura da seguire, in assenza di precise indicazioni siamo del parere che nei casi in cui la legge o il CCNL prevedono la consultazione delle organizzazioni sindacali l'ente, previa adeguata informazione, debba limitarsi ad acquisire, senza particolari formalità, il parere dei soggetti sindacali indicati nell'art.10, comma 2 del CCNL dell'1.4.1999 (analogamente a quanto avveniva in vigenza del CCNL del 6.7.1995); (in https://www.aranagenzia.it)».

Secondo la Cassazione civile, Sez. Lav., 21 ottobre 2015, n. 21430, «in tema di trasferimento d'azienda, gli obblighi di comunicazione previsti dalla legge n. 428 del 1990, art. 47, primo comma, nella formulazione della norma anteriore alla modifiche apportate dal d.lgs. n. 18 del 2001, vanno assolti, ove siano presenti rappresentanze sindacali costituite a norma dell'art. 19 legge n. 300 del 1970, nei confronti delle medesime e delle relative associazioni di categoria, mentre, ove non siano presenti rappresentanze sindacali nelle unità produttive interessate dal trasferimento, nei confronti delle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. A seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 18 del 2001, sono destinatari della comunicazione di cui al primo comma dell'art. 47 legge n. 428 del 1990 le Rsu, le Rsa costituite ai sensi dell'art. 19 legge n. 300 del 1970 nelle unità produttive interessate dal trasferimento e i sindacati di categoria che hanno stipulato (o partecipanti alle trattative di) un contatto collettivo "normativo" applicato nelle medesime unità produttive; in mancanza delle predette rappresentanze sindacali, l'obbligo di comunicazione deve essere assolto nei confronti dei sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi». (Massima tratta da De Jure.it).

Un altro istituto contrattuale importante (che lo si riporta anche al fine di rimarcare la differenza con l'informazione e la comunicazione) è dato dalla concertazione.

La concertazione è prevista dal contratto collettivo nazionale del personale del comparto delle Regioni e delle autonomie locali per il quadriennio normativo 2002-2005, all'art. 6 (che sostituisce Il testo dell'art. 8 del CCNL dell'1 aprile 1999) il quale prevede che: «1. Ciascuno dei soggetti di cui all'art. 10, comma 2, ricevuta l'informazione, ai sensi dell'art. 7, può attivare, entro i successivi 10 giorni, la concertazione mediante richiesta scritta. In caso di urgenza, il termine è fissato in cinque giorni. Decorso il termine stabilito, l'ente si attiva autonomamente nelle materie oggetto di concertazione. La procedura di concertazione, nelle materie ad essa riservate non può essere sostituita da altri modelli di relazioni sindacali.

2. La concertazione si effettua per le materie previste dall'art. 16, comma 2, del CCNL del 31.3.1999 e per le seguenti materie:

a) articolazione dell'orario di servizio;

b) calendari delle attività delle istituzioni scolastiche e degli asili nido;

c) criteri per il passaggio dei dipendenti per effetto di trasferimento di attività o di disposizioni legislative comportanti trasferimenti di funzioni e di personale;

d) andamento dei processi occupazionali;

e) criteri generali per la mobilità interna.

3. La concertazione si svolge in appositi incontri, che iniziano entro il quarto giorno dalla data di ricezione della richiesta; durante la concertazione le parti si adeguano, nei loro comportamenti, ai princìpi di responsabilità, correttezza e trasparenza.

4. La concertazione si conclude nel termine massimo di trenta giorni dalla data della relativa richiesta. Dell'esito della stessa è redatto specifico verbale dal quale risultino le posizioni delle parti.

5. La parte datoriale è rappresentata al tavolo di concertazione dal soggetto o dai soggetti, espressamente designati dall'organo di governo degli enti, individuati secondo i rispettivi ordinamenti».

Occorre precisare che le procedure di concertazione tra gli enti e le rappresentanze sindacali devono, così come previsto dall'art. 16, comma 2 del CCNL del 31 marzo 1999, disciplinano le seguenti materie:

a) svolgimento delle selezioni per i passaggi tra qualifiche;

b) valutazione delle posizioni organizzative e relativa graduazione delle funzioni;

c) conferimento degli incarichi relativi alle posizioni organizzative e relativa valutazione periodica;

d) metodologia permanente di valutazione di cui all'art. 6;

e) individuazione delle risorse aggiuntive per il finanziamento del fondo per la progressione economica interna alla qualifica di cui all'art. 5;

f) individuazione dei nuovi profili di cui all'art. 3, comma 6;

g) attuazione delle regole relative agli aggiornamenti e/o modificazioni di cui all'art. 14, comma 2.

Le procedure di concertazione di cui al presente comma, sono effettuate attraverso un confronto che deve comunque concludersi entro il termine massimo di trenta giorni dalla sua attivazione.

Ai sensi del CCNL normativo 2002 - 2005, l'art. 7 prevede che: «1. Le relazioni sindacali delle unioni di comuni sono disciplinate dal titolo secondo del CCNL dell'1.4.1999 con riferimento a tutti i modelli relazionali indicati nell'art. 3, comma 2, dello stesso CCNL. Sino alla elezione della RSU di ciascuna unione, secondo la vigente disciplina, la delegazione sindacale trattante è composta dai delegati delle RSU degli enti aderenti e dai rappresentanti territoriali delle organizzazioni sindacali firmatarie del presente contratto».

Una volta trasferito il personale dai Comuni all'Unione di comuni, quest'ultima non può, comunque, coprire gli eventuali posti dirigenziali presenti nella propria dotazione organica, poiché al momento vige il blocco delle assunzioni dei dirigenti, tanto a tempo determinato, quanto a tempo indeterminato.

La legge n. 228/2015 (Legge di stabilità 2016), all'art. 1, comma 219, prevede che nelle more dell'adozione dei decreti legislativi attuativi degli articoli 8, 11 e 17 della legge 7 agosto 2015, n. 124 ovvero della legge che emana Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (in G.U. n. 187 del 13 agosto 2015, art. 8, Riorganizzazione dell'amministrazione dello Stato; art. 11, Dirigenza pubblica; art. 17, Riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) «[…] sono resi indisponibili i posti dirigenziali di prima e seconda fascia delle amministrazioni pubbliche […] vacanti alla data del 15 ottobre 2015, tenendo comunque conto del numero dei dirigenti in servizio senza incarico o con incarico di studio e del personale dirigenziale in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o aspettativa. Gli incarichi conferiti a copertura dei posti dirigenziali di cui al primo periodo dopo la data ivi indicata e fino alla data di entrata in vigore della presente legge cessano di diritto alla medesima data di entrata in vigore, con risoluzione dei relativi contratti. Sono fatti salvi i casi per i quali, alla data del 15 ottobre 2015, sia stato avviato il procedimento per il conferimento dell'incarico […] e, comunque, gli incarichi conferiti a dirigenti assunti per concorso pubblico bandito prima della data di entrata in vigore della presente legge o da espletare a norma del comma 216, oppure in applicazione delle procedure di mobilità previste dalla legge».

La legge di stabilità 2016, all'art. 1, comma 219, prevede che è fatto divieto di assumere dirigenti a tempo determinato e a tempo indeterminato, nelle more dell'attuazione della L. 23 dicembre 2014, n. 190, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015), (G.U. n. 300 del 29 dicembre 2014 - Suppl. Ordinario n. 99), art. 1, comma 422, Riordino delle funzioni di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56; 423, Completamento procedure di mobilità del personale; 424, Ricollocazione nei ruoli di Regioni ed enti locali delle unità soprannumerarie destinatarie dei processi di mobilità; art. 425, Ricognizione dei posti da destinare alla ricollocazione del personale di cui al comma 422 del presente articolo interessato ai processi di mobilità.

La suddetta normativa, vanifica, seppure a tempo, quanto disposto dal d.lgs. n. 165/2001, Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, art. 19, comma 6, vale a dire gli incarichi a contratto.

Con riguardo agli enti locali, questi non potranno effettuare assunzioni, in base all'art. 110, comma 1, del TUEL (incarichi a termine entro la dotazione organica); ma potranno contrattualizzare i dirigenti a tempo determinato, ai sensi dell'art. 110, comma 2 del TUEL (incarichi extra dotazione organica).

La posizione dell'ANCI sul rinvio dell'obbligo delle gestioni associate

Il complesso normativo e le questioni sopra esposte riguardo le gestioni associative, avrebbero, ad avviso di chi scrive, dovuto far tenere la barra del timone a dritta, per condurre in porto l'effettivo funzionamento dei Comuni interessati tramite Unione di comuni.

La gestione associata delle funzioni è stata oggetto di dibattito da circa un trentennio; discussione che, a dire il vero, non è stata sufficiente, per cambiare il modello organizzativo dei nostri Comuni, di quelli piccoli in modo particolare.

L'ANCI, cha avrebbe dovuto guidare il processo di cambiamento (e che in grande parte lo ha fatto), supporta (si dovrebbe meglio dire sopporta), le eterne lamentazioni di sindaci e amministratori comunali che ogni anno, puntualmente, chiedono, con motivazioni diverse lo spostamento del dies a quo del completo funzionamento della forma associativa unionale per lo svolgimento delle funzioni comunali fondamentali.

Riassumiamo, in breve la posizione dell'ANCI, sul tema oggetto del presente lavoro.

29-10-2015, ANCI 2015 - Dimitri Tasso (Coordinatore nazionale ANCI Unioni di comuni, Vice sindaco di Montiglio Monferrato - (AT): "Procedure semplificate e meccanismi incentivanti per i nostri Comuni": «Dalla legge 142/1990 al 1999 le Unioni non sono decollate fino a quando non è caduto l'obbligo della fusione dopo dieci anni di Unione […] 5 anni fa il d.l. n. 78 del 2010 ha istituito l'esercizio obbligatorio delle funzioni per i Comuni di minori dimensioni demografiche oltre ad altre avventurose norme quali le famigerate unioni speciali art.16. Molti Comuni non obbligati, spaventati dalla nuova situazione si sono così defilati con gravi danni per la tenuta sui territori […] è di tutta evidenza che qualcosa non funziona nell'impianto disegnato all'epoca e poi "solo" ripreso dalla Delrio che però ha almeno avuto il merito di mandare in pensione l'art. 16 […] la vera e unica motivazione che indusse il Governo dell'epoca a trasformare un processo volontario in uno obbligatorio era la convinzione che ritenemmo allora errata e riteniamo oggi errata sul fatto che obbligare i Comuni all'esercizio associato delle funzioni comporta un risparmio. Eppure noi sappiamo che il risparmio nel breve periodo con comuni di minori dimensioni demografiche non esiste. E pensare di obbligare i Comuni a spendere per risparmiare nel breve periodo vuol dire non conoscere la realtà delle cose […] troppo facile è sostenere che le Unioni non funzionano quando si pretende che i segretari comunali e gli amministratori non percepiscano compensi neanche alternativi a quelli che enti partecipanti. Troppo facile è sostenere che le Unioni non funzionano obbligando i Comuni a mantenere doppi bilanci e mille procedure […] per tutto quanto illustrato […] riteniamo che sia prioritario sospendere la scadenza del termine del 31 dicembre per poter adeguare la normativa rispetto a quanto richiesto anche dal rapporto del Ministero […]». (Dalla relazione tenuta alla XXXII assemblea Nazionale ANCI).

06-11-2015, Ciasullo, Coordinatore ANCI Campania, "Gestioni associate ed Unioni per ambiti territoriali omogenei": «Le gestioni associate e le Unioni di Comuni vanno fatte sui territori e coi territori. E, soprattutto, partendo da ambiti omogenei, e non da criteri demografici che rischiano di tagliare fuori le comunità interessate a mettersi insieme […] il riconoscimento del ruolo dei Piccoli Comuni, arrivato sia dal presidente dell'ANCI, Piero Fassino, che dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ci conforta sulla necessità di batterci per una seria autoriforma della governance territoriale, come ben evidenziato dal Vice presidente Mattero Ricci, durante la sua audizione di martedì scorso davanti alla Commissione Affari Costituzionali della Camera».

25-11-2015, Ricci, Sindaco di Pesaro e vice presidente ANCI: "Proposta ANCI fa breccia, ma ora legge stabilità recepisca nostre richieste": «L'impianto che abbiamo reso pubblico all'Assemblea di Torino sta facendo breccia in molti esponenti di governo ed in molti parlamentari, di questo siamo molto soddisfatti. È importante però che la legge di stabilità recepisca le nostre richieste di sospendere per sei mesi i termini per le gestioni associate dei Comuni e sulle risorse per incentivare le Unioni di Comuni […] servono due tasselli, da portare assolutamente a casa con la legge di Stabilità. Da un lato la sospensione della data del 31 dicembre per l'aggregazione obbligatoria dei piccoli Comuni, perché riteniamo sia un criterio sbagliato. Abbiamo chiesto sei mesi in più per mettere i sindaci nelle condizioni di definire i loro ambiti adeguati e omogenei superando criteri che non danno efficienza ed efficacia. Dall'altro abbiamo chiesto di aumentare gli incentivi a chi si unisce e a chi si fonde con il raddoppio della dotazione del contributo annuale, proprio per favorire al massimo il percorso delle gestioni associate».

25-11-2015, Castelli, Sindaco di Cerignale e coordinatore piccoli Comuni: «[…] il nostro è quello di creare ambiti ottimali di gestione dei servizi, al cui interno si possono pensare anche politiche di sviluppo dei territori. Tuttavia, è essenziale rimuovere tutti gli ostacoli che si ritrovano nella normativa statale. Ci devono dare libertà e flessibilità per poter costruire un modello che vada bene a tutti i Comuni».

16-12-2015, Nicotra, Segretario generale Anci, ha ricordato che proprio da una «lettura intelligente e dal monitoraggio del ministero dell'interno viene evidenziato che l'empasse normativa in cui versano i piccoli Comuni dice che l'Unione obbligatoria dei servizi non funziona in molte parti del Paese. È chiaro che questa situazione blocca il processo invece di portarlo avanti, così come è chiaro che l'obbligatorietà per legge è servita a far metabolizzare la necessità di unire i Comuni per renderli più forti. Ora però facciamo scegliere ai Sindaci il come, valorizziamo la Delrio, dando un ruolo anche ai Consigli metropolitani e puntiamo verso una operazione rivoluzionaria a cui lavoriamo da tempo».

17-12-2015, Angelino Alfano, Ministro dell'interno: "Sospensione termini gestioni associate nel "Milleproroghe" e subito revisione normativa": «I piccoli Comuni da oggi hanno un'agenda propria, condivisa dall'ANCI e dal Ministero dell'interno e lavoreremo insieme ad un disegno organico di riforma». È quanto ha dichiarato il Ministro dell'Interno, Angelino Alfano, al termine dell'incontro che si è svolto ieri pomeriggio al Viminale, presenti tra gli altri, il sottosegretario di Stato, Gianpiero Bocci, il Capo di gabinetto, Luciana Lamorgese, con una delegazione dell'ANCI e dedicato alle problematiche complessive dei piccoli Comuni. Nella delegazione ANCI, guidata dal Sindaco di Catania Enzo Bianco e dal Sindaco di Pesaro Matteo Ricci (rispettivamente presidente del Consiglio nazionale e Vicepresidente), anche il Vicepresidente Roberto Pella, il delegato Piccoli Comuni Massimo Castelli, il delegato alle gestioni associate, Dimitri Tasso, il Segretario Generale ANCI Veronica Nicotra.

«Si tratta di un obiettivo ambizioso - ha sottolineato il Ministro dell'interno - che servirà a guardare al futuro. Bisogna puntare alla riorganizzazione dei Piccoli Comuni, i quali rappresentano la colonna vertebrale del nostro Paese, con un ruolo diverso ma altrettanto importante rispetto alle città. Il nostro obiettivo primario sarà delineare una riforma complessiva sotto la governance di ANCI e Viminale».

«È davvero importante l'agenda emersa dall'incontro al Viminale. Il processo di riforma in atto ha necessità di alcuni punti qualificanti» - ha detto da parte sua il Sindaco di Pesaro Matteo Ricci - «Non si può svuotare l'ente Provincia senza un rafforzamento dei Comuni, specie dove non sono previste Città metropolitane. Si tratta di rafforzare la governance dei territori, e il tema riguarda tutti i Comuni, non solo i piccoli. ANCI ha proposto al Ministero dell'Interno di spostare al 30 giugno l'obbligo di gestione associata fissato al 31 dicembre dal d.l. n. 78. In questo periodo i sindaci dovranno definire i bacini omogenei. Unioni e fusioni siano volontarie».

24-12-2015, Milleproroghe: Ricci, Sindaco di Pesaro e vice presidente ANCI: "Bene rinvio obbligo gestioni associate, ora dare il via a vera riforma". «Un risultato importante per l'ANCI e per tutti i Comuni, non solo quelli più piccoli». Così Matteo Ricci, Sindaco di Pesaro e Vicepresidente dell'Associazione dei Comuni, commenta la proroga dei termini per le gestioni associate dei piccoli Comuni, inserita nel decreto "Milleproroghe" varato dal Consiglio dei Ministri. «Ci auguriamo che la proroga al 31 dicembre 2016 possa essere il primo passo verso la definizione di bacini omogenei per la gestione associata dei servizi, a prescindere dalle dimensioni dei Comuni coinvolti e per arrivare quindi a un riassetto complessivo del governo territoriale. Siamo pronti già a partire da Gennaio a contribuire a scrivere con il Governo una legge che metta insieme i Comuni per davvero, in maniera efficace ed efficiente. I Comuni saranno protagonisti del cambiamento»

24-12-2015, Milleproroghe: Dimitri Tasso, Coordinatore nazionale ANCI Gestioni Associate e Unioni di comuni e Vice sindaco di Montiglio Monferrato: «Abbiamo dimostrato in questi anni che i Comuni possono si stare insieme ma c'è bisogno di un disegno organico e per questo motivo abbiamo proposto al Governo una riforma con la definizione di ambiti omogenei dove si preveda flessibilità e autonomia e non l'obbligo a fare tutto insieme, per questo esistono le fusioni».

Del resto il 10 luglio 2015, nel corso della XV Conferenza nazionale ANCI Piccoli Comuni e della IX Conferenza nazionale delle Unioni di comuni, era sta approvato il cd. "Manifesto di Cagliari", nel quale si reclama «più presidio del territorio, più autonomia di pensare politiche di tutela e crescita delle comunità locali, miglioramento delle condizioni per erogare servizi e garantire la qualità di vita alle popolazioni»; nel quale si legge che «i sindaci dei piccoli Comuni vogliono essere protagonisti, non conservatori ma innovatori, con dignità e autonomia finanziaria e gestionale, per assolvere pienamente alla propria responsabilità di mandato rispetto alle comunità amministrate»; e ancora che: «la gestione associata obbligatoria come attualmente disciplinata non tiene conto della reale collocazione geografica dei Comuni che in molti casi sono contigui a Comuni non assoggettati all'obbligo. Questa condizione impedisce generalmente di poter condividere tra Comuni sopra e sotto i 5.000 abitanti la finalità dell'Associazionismo […] una soluzione più funzionale e più rispettosa dell'autonomia locale dovrà prevedere - attraverso un Comitato Permanente per il Coordinamento dei Processi di Riorganizzazione Territoriale del sistema dei Comuni - una ridefinizione di ambiti adeguati e omogenei che interessino il sistema dei Comuni, ad eccezione delle Città Metropolitane, ed entro i quali realizzare processi di riorganizzazione territoriale per rafforzare la rappresentanza degli enti, la capacità progettuale, quella dell'offerta dei servizi ai cittadini ed alle imprese, prevedendo in tali ambiti la gestione associata di non meno di tre funzioni fondamentali [ed infine] in considerazione di quanto premesso, è prioritario sospendere - già nella legge di conversione del decreto legge enti locali - la scadenza del termine fissato al 31 dicembre 2015 per il completamento della gestione associata delle 10 funzioni fondamentali secondo l'impianto normativo vigente. Conseguentemente, i lavori del Comitato permanente sopra citato dovranno portare all'individuazione degli ambiti adeguati ed omogenei entro 12 mesi dall'entrata in vigore della nuova normativa».

Dello stesso tenore la posizione assunta da ANCI negli anni passati.

24-07-2014, On. Mauro Guerra, Coordinatore ANCI dei Piccoli Comuni, "Gestioni associate - Guerra, bene proroga al 30 settembre per certe funzioni": «Nel corso dell'esame in Commissione affari costituzionali della Camera dei Deputati è stato approvato un emendamento al decreto legge n. 90/2014 sulla Pubblica Amministrazione che proroga dal 30 giugno al 30 settembre 2014 il termine per l'obbligo della gestione associata di ulteriori 3 funzioni fondamentali per i Comuni fino a 5000 abitanti (3000 se montani)». È quanto sottolinea Mauro Guerra, coordinatore nazionale Anci Piccoli Comuni, secondo il quale la proroga introdotta assicura una più adeguata graduazione dei termini così da rispondere più razionalmente alle esigenze delle migliaia di piccoli Comuni».

26-11-2013, On. Mauro Guerra, Coordinatore ANCI dei Piccoli Comuni, Piccoli Comuni - ANCI, "Patto stabilità e proroga gestioni associate questioni prioritarie": «Nel corso dell'esame al Senato della legge di stabilità è stata approvata una proroga sino al 1 luglio 2014 del termine per la gestione associata obbligatoria delle funzioni comunali per i Comuni con meno di 5000 abitanti o 3000 se appartenuti o appartenenti a Comunità Montane». È quanto sottolinea Mauro Guerra, Coordinatore Nazionale ANCI Piccoli Comuni, secondo il quale «si tratta di una misura che accoglie almeno parzialmente la richiesta più volte ribadita da ANCI al Governo e per la quale sono stati presentati da ANCI emendamenti di proroga di un anno sia in Commissione Bilancio del Senato sulla legge di stabilità che su altri provvedimenti». «Nel passaggio alla Camera - aggiunge - lavoreremo per completare la proroga chiedendo che il termine finale sia graduato sino al 31 Dicembre 2014, facendo del 30 giugno prossimo una eventuale tappa intermedia relativa ad una parte delle nuove funzioni da associare obbligatoriamente; così da rispondere più razionalmente alle migliaia di Piccoli Comuni che la prossima primavera andranno al voto».

«Contestualmente - afferma ancora Guerra - andrà prorogato anche il termine di fine 2013 per la costituzione obbligatoria delle Centrali Uniche di Committenza, per il quale ANCI in passato aveva già ottenuto proprio che fosse almeno allineato alle scadenze per le gestioni associate delle funzioni fondamentali'.

«Nel passaggio alla Camera - conclude - continueremo anche l'iniziativa volta a esonerare i piccoli Comuni dalla "follia" dei vincoli del patto di stabilità, con particolare riguardo alla spesa per investimenti. E nell'immediato, ovviamente, facciamo appello al Governo affinché nel maxiemendamento alla legge di stabilità al Senato siano accolte le richieste dell'ANCI». (Notizie tratte da http://www.anci.it).

Conclusioni

Il d.lgs. n. 267/2000, TUEL, alla Parte I - Ordinamento istituzionale, Titolo II Soggetti, Capo V - Forme associative, artt. 30 - 35, disciplina all'art. 30, la Convenzione tra comuni e all'art. 32, l'Unione di comuni.

Due delle forme associative attraverso le quali il Governo ed il Parlamento hanno ritenuto di poter far svolgere le funzioni fondamentali ai Piccoli Comuni, in forma obbligatoria.

Di conseguenza, i Comuni fino a 5000 abitanti debbono organizzarsi in modo associativo, per erogare ai cittadini e alle imprese funzioni e servizi di loro competenza.

Le forma associative comunali sono previste dal nostro ordinamento da almeno un quarto di secolo (L. n. 12/1990); periodo di tempo che non è stato sufficiente a far decollare, nel nostro Paese ed in modo generalizzato, questi utili strumenti (soprattutto l'Unione di comuni).

Certamente per una serie di servizi comunali, gli amministratori hanno preferito fare ricorso alla Convenzione ex art. 30 del TUEL, strumento indubbiamente più duttile, più flessibile, rispetto all'Unione di comuni, che comporta, a sua volta, la nascita di un nuovo ente locale, senza la contestuale "scomparsa" dei Comuni aderenti all'Unione medesima.

Un mezzo, l'Unione di comuni, che chiama gli amministratori locali a confrontarsi in maniera diversa rispetto al modo tradizionale di erogazione dei servizi, ricorrendo ad nuove forme di governance; ed uno strumento, l'Unione di comuni, incentivato finanziariamente dallo Stato e dalle Regioni, proprio perché ritenuto un possibile fattore di superamento dei punti di debolezza dei Piccoli Comuni, con il quale è pensabile di determinare economie di scala a tutto vantaggio delle comunità locali di riferimento.

Le Unioni di comuni in Italia sono ben 439, associano 2.327 Comuni, per un numero complessivo di abitanti, pari a 9.875.855 (Dati raccolti ed elaborati da ANCI- Area Piccoli Comuni/Unioni di comuni e aggiornati a novembre 2015, in http://www.unioni.anci.it).

Esse, dunque, hanno un peso politico non indifferente, per il numero di Comuni che associano, e per la loro consistenza demografica.

Per la loro utilità strategica (evidentemente) la L. 28 dicembre 2015, n. 208, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016) ha raddoppiato il sostegno finanziario statale alle Unioni che passa da 30 milioni di euro a 60 milioni di euro annui; eppure, ciò nonostante, le Unioni di comuni non decollano in modo generalizzato, ma solo a macchia di leopardo.

Certamente, il loro mancato funzionamento è da ascrivere a innumerevoli cause, ma chi scrive è dell'avviso che non possano essere sottaciuti alcuni fattori, come la mancanza di volontà (e incapacità?) sostanziale da parte di molti (non tutti, è evidente) amministratori locali di cambiare registro nel modo di governare i Comuni nei quali sono stati eletti ricorrendo alle possibilità associative offerte dall'ordinamento, che potrebbero comportare pratiche di governo locale sfocianti anche nella fusione di comuni, peraltro prevista oggi dall'art. 15 del TUEL come forma giuridica non obbligatoria, a differenza di quanto disponeva l'art. 26 della L. n. 142/1990: «in previsione di una loro fusione, due o più Comuni contermini, appartenenti alla stessa Provincia, ciascuno con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, possono costituire una Unione per l'esercizio di una pluralità di funzioni o di servizi».

Certamente al deciso avvio su larga scala delle Unioni di comuni, non giova il continuo rinvio dei termini ultimi perché i Comuni lavorino in forma associata. Non fa bene la nociva proroga dell'avvio delle funzioni comunali fondamentali in forma associata, complice anche l'ANCI, che oggi auspica un nuovo quadro normativo di riferimento per le forme associative.

Rebus sic stantibus, come concludere: Arrivederci alla prossima richiesta di proroga dell'avvio delle forme associative comunali?

Prof. Luigino SERGIO

già Direttore Generale della Provincia di Lecce

e-mail: luiginosergio@yahoo.it


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