Legittimo, per la Cassazione, il massimo provvedimento emesso nei confronti di un lavoratore, anche se aveva rimosso il post

Post diffamatorio su FB: la storia

[Torna su]

La vicenda trae origine dal licenziamento di un dipendente al quale il datore di lavoro ha contestato la pubblicazione, sul social network Facebook, di affermazioni diffamatorie nei confronti dei vertici aziendali, ai quali sono state attribuiti comportamenti disonorevoli ed infamanti. Il post, infatti, ha qualificato in modo offensivo e dispregiativo l'azienda, ledendo l'immagine della stessa. Il licenziamento è stato confermato dalle sentenze di primo grado e di appello, ed il recesso del rapporto di lavoro considerato proporzionato alla gravità della condotta, indubbiamente idonea ad incrinare il rapporto fiduciario. Avverso tale pronuncia il lavoratore è ricorso per Cassazione.

La tesi difensiva

[Torna su]

I legali del dipendente licenziato hanno contestato l'utilizzo, come prova dell'avvenuta pubblicazione, di uno screenshot della pagina FB del lavoratore, sulla quale questi aveva pubblicato il post incriminato.

Secondo i legali, la riproduzione in forma cartacea è priva di garanzia di corrispondenza con l'originale.

Inoltre, sempre secondo gli avvocati del ricorrente, il post sarebbe stato rimosso dopo poco e reso visibile solo alla cerchia di contatti del lavoratore, il quale non può essere ritenuto responsabile dell'inoltro dello screenshot tra altri utenti tramite messaggio privato, avvenuto successivamente alla rimozione del post.

La Cassazione conferma il licenziamento per giusta causa

[Torna su]

Con l'ordinanza numero 12142 del 6 maggio 2024 (sotto allegata), la Suprema Corte ha confermato il licenziamento del ricorrente.

Secondo i Giudici, infatti, il convincimento del giudice di merito è stato tratto non tanto dallo screenshot, ma dalla deposizione di due testi che hanno confermato di aver letto quel post riportandone il suo contenuto. Vale la pena aggiungere che l'acquisizione mediante fotografia di scritti o documenti raffiguranti persone o cose è del tutto consentita, salvo che se ne dimostri la manipolazione.

La rimozione del post, inoltre, non è azione sufficiente a riparare alla condotta. "In tema di licenziamento disciplinare, costituisce giusta causa di recesso, in quanto idonea a ledere il vincolo fiduciario nel rapporto lavorativo, la diffusione su Facebook di un commento offensivo nei confronti della società datrice di lavoro, integrando tale condotta gli estremi della diffamazione, per la attitudine del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del messaggio tra un gruppo indeterminato di persone" (cfr. Cass. 27/4/2018, n. 10280).

Nonostante il post fosse visibile ai soli "amici" del suo autore, "il rapporto interpersonale, proprio per il mezzo utilizzato, assume un profilo allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione, venendosi a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica". La potenzialità offensiva della propalazione di notizie o di dichiarazioni proprio a mezzo dei social è stata più volte affermata dalla giurisprudenza civile e penale, che ha posto in rilievo l'idoneità del messaggio, una volta immesso sul web, ovvero su un social ad accesso circoscritto, di sfuggire al controllo del suo autore per essere veicolato e rimbalzato verso un pubblico indeterminato, tanto che l'immissione di un post denigratorio è stato più volte idoneo ad integrare gli estremi della diffamazione (cfr. Cass. 26/5/2023 n. 14836).

Circostanza diversa, e quindi non applicabile al caso di specie, è quella in cui i commenti offensivi siano scambiati in una chat privata, in quanto diretti unicamente agli iscritti ad un determinato gruppo e non ad una moltitudine indistinta di persone. In tal caso essi sono da considerarsi corrispondenza privata, chiusa ed inviolabile, e quindi inidonei a realizzare una condotta diffamatoria tale da giustificare il licenziamento per giusta causa (cfr. Cass. 10/9/2018 n. 21695).

Andrea Pedicone

Consulente investigativo ed in materia di protezione dei dati personali

Auditor/Lead Auditor Qualificato UNI CEI EN ISO/IEC 27001:2017

Sistemi di Gestione per la Sicurezza delle Informazioni

Scarica pdf Cass. n. 12142/2024

Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: