Amici a 4 zampe come beni o soggetti di diritto? Nella giurisprudenza si rinvengono esempi "illuminati" ma nessuno, finanche la Cassazione, ha mai spiegato quale "cosa" sia l'animale

La riforma dell'articolo 9 della Costituzione: un punto di ripartenza

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Nonostante l'articolo 9 della Costituzione parli di tutela degli animali questi quando sono oggetto di reciproche rivendicazioni all'interno di una crisi familiare vengono trattati al pari di qualunque altro bene mobile conteso.

Nulla di sconvolgente secondo le categorie tradizionali del diritto dal momento che, per il nostro codice civile, è oggetto del diritto tutto ciò che non è umano. Il diritto, lo sappiamo, è un affare tra e per gli uomini.
Ed ecco che quando si affrontano queste vicende sorge, dovrebbe sorgere, una preventiva e preliminare domanda.

Le rivendicazioni hanno come oggetto diritti e/o interessi propri dell'animale oppure interesse dell'umano al rapporto con quell'animale? La domanda non è bizzarra. La risposta fondamentale per capire quale sia il livello di ritenuta sensibilità raggiunta in favore degli animali.
La mancanza di norme speciali riferibili a questo o altri temi è una grave forma di miopia del nostro legislatore (nell'ambito della vendita di animali non vi è una norma speciale pur richiamata dal codice e il riformato codice del consumo ha definitivamente qualificato gli animali come beni ai quali applicare le norme del codice stesso).

Ma ancora più spinosa è la questione se - pur non scomodando la soggettività e le categorie giuridiche tradizionali - sia possibile immaginare l'animale affrancato dal concetto meramente privatistico di res.

Le eliminabili criticità

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Oggi ancora si naviga a vista. Due le possibilità. Se vi è un accordo tutto bene. In mancanza di accordo o si applicano le regole sui beni mobili o si fa affidamento nella giurisprudenza più illuminata. E in questa navigazione l'avvocato ha delle oggettive difficoltà. Vediamole.
La prima.

Prospettare al giudice che il rapporto tra il proprio cliente e quel cane o gatto è paragonabile al rapporto che quella determinata persona (umana) ha ha con i figli, fatte le dovute e ineliminabili differenze.
La seconda.

Rappresentare al giudice la crisi profonda in cui è caduto Tizio o Caia per non potere più coltivare - come ha fatto sino a quel momento - la relazione con il proprio cane o gatto. Come potrebbe reagire il giudice? A quel punto il giudice potrebbe brandire le sentenze di San Martino, archiviare il tutto come questioni bagatellari oppure invitare l'avvocato a rileggersi il decreto del Tribunale di Como febbraio 2016.
La terza.

Convincere il giudice di uno stato depressivo e preoccupante del cane che non vedrà più quella certa persona o la vedrà molto di meno, condizione magari certificata da un veterinario comportamentalista.

Attenzione ai falsi positivi

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Non si tratta di situazioni paradossali o estreme. Chi ha pratica di queste diatribe non potrà non riconoscerlo. E chi scrive riconosce che vi è una giurisprudenza illuminata che prende le distanze dalla visione limitatamente privatistica del rapporto umano e animale. Il problema è che non sempre questa illuminata giurisprudenza (che non va mai oltre le corti di merito) enuclea le ragioni alla base di quelle stesse decisioni.
Alcuni esempi.
Il Tribunale di Sciacca (decreto del 19 febbraio 2019) scrive che il sentimento per gli animali costituisce un valore meritevole di tutela.

Il Tribunale di Milano - sez. IX civile - decreto del 13/03/2013 emesso in sede di omologa degli accordi di separazione tra coniugi scrive che "una interpretazione evolutiva ed orientata delle norme vigenti, impone di ritenere che l'animale non possa essere più collocato nell'area semantica concettuale delle 'cose' […] ma debba essere riconosciuto come essere senziente".

Il Tribunale di Lucca, con sentenza del 24.01.2020 sottolinea come "alla luce dell'importanza del legame affettivo tra persone ed animali e del rispetto dovuto a questi ultimi quali esseri senzienti" la normativa più vicina alla fattispecie in esame sia quella relativa all'affidamento dei figli.

Il Tribunale di Roma, sez. marzo 2016, n° 5322 riguardante due persone conviventi nel premettere irrilevante la circostanza che da circa tre anni il cane non vedeva l'attrice (data la ben nota memoria affettiva dei cani e che dunque tre anni non potevano cancellare circa sei anni di cure elargite dall'attrice e di affetto reciproco) disponeva l'affido condiviso del cane, con ripartizione al 50% delle spese per il suo mantenimento.

Di contro il Tribunale di Siracusa, Sez. I, sent. 21/01/2020 ritiene di non essere tenuto, de iure condito, ad occuparsi dell'assegnazione degli animali di affezione all'uno o all'altro dei coniugi, né della relazioni con gli stessi.
Se non vi è chi non veda come la qualificazione giuridica dell'animale oggi non ha più alcun senso, è altrettanto vero che, a memoria dello scrivente, mai nella giurisprudenza riferibile a tali situazioni è stato spiegato quale cosa sia l'animale.

Non lo ha spiegato la Cassazione.

E non lo ha spiegato nemmeno l'articolo 9 della Costituzione che si è limitata a rivendicate la tutela per gli animali che, giova ricordare, è cosa diversa dalla soggettività.
Chi scrive lo aveva già evidenziato nel 2017 e continua a ritenere più che attuale il rischio che tali pronunce rappresentino falsi positivi.
Prendiamo il richiamato decreto del Tribunale di Como 2016.

Quello che viene scritto aveva e ha ancora un suo proprio peso specifico laddove sottolinea come il Tribunale non sia tenuto ad occuparsi degli animali contesi essendo pur sempre possibile in via de iure condendo, data la fantasia del legislatore, che a tanto si arrivi.

L'eufemismo utilizzato dal Tribunale di Como ci dice molto. Fa intravedere la soggettività (che dunque si palesa) ma immediatamente fa capire che si tratta di un'iperbole.
Ma soprattutto ci dice che le decisioni della giurisprudenza, anche le più illuminate, non possono essere interpretate come tacita abrogazione delle norme del codice civile.

Un codice civile che è comunque antecedente a quelle fonti anche sovranazionali che hanno decretato e ritenuta acquisita una senzienza in capo agli animali e dalle quali si vorrebbero attingere spunti decisivi per quel trasferimento di soggettività dall'umano al non umano.

Soggettività oppure altro?

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Ci si chiede però, non avendo maturato una risposta a tale interrogativo, se sia davvero così importante affermare la soggettività in capo agli animali piuttosto che garantire loro condizioni corrispondenti alla loro natura di esseri viventi e per questo meritevoli di tutela.
E dunque davanti a vicende nelle quali si contrappongono interessi diversi (quello dei due coniugi o fidanzati che si contendono a diverso titolo e ragione l'animale domestico, quello di eventuali figli in favore dei quali quegli stessi genitori litiganti rivendicano il diritto a proseguire sin quella che indiscutibilmente è una importante relazione educativa) cercare di considerare anche l'interesse dell'animale e dunque operare bilanciamenti il cui presupposto necessario è quello per cui non esistono interessi ontologicamente subordinati.
Le proposte legislative dedicate al tema non sono poche.

Sono solo ignorate.

Una proiezione di esse riferita a quanto quotidianamente accade nei nuclei familiari prima, e nelle aule di giustizia poi, imporrebbe anche alla luce del riformato articolo 9 una loro trasformazione in una nuova disciplina.


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