La Cassazione rammenta che, oltre alla durata dei matrimoni, pesano ulteriori criteri nella ripartizione della reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite

Divisione pensione reversibilità tra ex moglie e vedova

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La ripartizione del trattamento di reversibilità del de cuius va effettuata tra coniuge divorziato e coniuge superstite ponderando una serie di ulteriori criteri oltre a quello della durata dei rispettivi matrimoni, ad esempio tenendo conto della durata delle convivenze prematrimoniali, dell'entità dell'assegno di mantenimento dell'ex coniuge e delle condizioni economiche dei due aventi diritto.

Per approfondimenti La pensione di reversibilità

I chiarimenti sul punto giungono dalla recente ordinanza n. 25656/2020 (sotto allegata) resa dalla sesta sezione civile della Corte di Cassazione a seguito dell'istanza di una coniuge divorziata. La donna impugna innanzi agli Ermellini la decisione che aveva rideterminato nella (maggiore) misura del 40% la quota della pensione di reversibilità spettantele, attribuendo di conseguenza alla coniuge superstite e al figlio minorenne la restante quota del 60%.

Ancora non contenta del risultato, la coniuge divorziata ricorre ai giudici di legittimità ritenendo che nella sua decisione la Corte territoriale non abbia tenuto in debita considerazioni circostanze rilevanti al fine di pervenire a una decisione rispondente ai criteri di cui all'art. 9 della legge 898 del 1970.

Reversibilità: come si ripartisce tra ex e nuovo coniuge

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Nel giudicare la doglianza inammissibile, la Suprema Corte approfitta dell'occasione per ripercorrere il consolidato orientamento giurisprudenziale a cui la giurisprudenza è prevenuta a seguito dei diversi precedenti arresti che si sono occupai della ripartizione della reversibilità tra ex e nuovo coniuge.

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Nel dettaglio, si legge nel provvedimento, "la ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite, entrambi aventi i requisiti per la relativa pensione, va effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei matrimoni, ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell'istituto, tra i quali la durata delle convivenze prematrimoniali".


Infatti, alla convivenza "more uxorio" deve riconoscersi non una semplice valenza "correttiva" dei risultati derivanti dall'applicazione del criterio della durata del rapporto matrimoniale, bensì un distinto e autonomo rilievo giuridico, ove il coniuge interessato provi stabilità ed effettività della comunione di vita prematrimoniale (cfr. Cass. n. 26358/2011)

Gli ulteriori criteri da ponderare

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Ancora, rammenta la Cassazione, dovranno ponderarsi ulteriori elementi quali l'entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge, le condizioni economiche dei due aventi diritto e la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali (cfr. Cass. n. 16093/2012), senza mai confondere, però, la durata della convivenza con quella del matrimonio, cui si riferisce il criterio legale, né individuare nell'entità dell'assegno divorzile un limite legale alla quota di pensione attribuibile all'ex coniuge, data la mancanza di qualsiasi indicazione normativa in tal senso (cfr. Cass. n. 10391/2012).


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Nel caso esaminato, i giudici territoriali si sono attenuti a tali principi avendo debitamente ponderato la durata della convivenza matrimoniale con quella dei due matrimoni nella determinazione delle quote di rispettiva pertinenza tra le parti, così come le condizioni economiche e patrimoniali e le opportunità di lavoro delle due contendenti.

Scarica pdf Cassazione Civile, ordinanza n. 25656/2020

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