Lo stato di necessità (art. 2045 c.c.) è una causa di esclusione dell'antigiuridicità di un fatto da cui derivi un danno ad altri

I presupposti dello stato di necessità

[Torna su]

Lo stato di necessità, al pari dell'affine istituto della legittima difesa, è una causa di esclusione dell'antigiuridicità di un fatto da cui derivi un danno ad un altro soggetto.

Perché si verifichi tale situazione, prevista dall'art. 2045 del codice civile, è necessario che si accerti la ricorrenza di determinati requisiti.

In particolare, lo stato di necessità ricorre quando il fatto dannoso sia commesso perché:

  • vi sia esigenza di salvare sé od altri
  • vi sia un pericolo attuale e inevitabile di danno grave alla persona
  • lo stato di pericolo non sia stato causato volontariamente

Ricorrendo tali elementi, la legge esclude che in capo a chi ha agito sia configurabile la responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, e perciò esclude l'obbligo di risarcimento del danno.

Nondimeno, per ragioni di equo contemperamento degli interessi, al danneggiato è comunque dovuta una indennità, che andrà quantificata secondo l'equo apprezzamento del giudice.

Il bene giuridico da tutelare

[Torna su]

Un breve esame dei punti sopra evidenziati ci consente di delineare i limiti entro i quali l'ordinamento considera realizzata l'ipotesi dello stato di necessità.

Innanzitutto, come abbiamo visto, il fatto dannoso deve essere causato per esigenze di incolumità propria o altrui.

In ciò si può rilevare una prima, significativa differenza rispetto all'istituto della legittima difesa, di cui al precedente articolo 2044 c.c. Quest'ultima, infatti, si configura anche quando il comportamento dell'agente sia diretto alla tutela di diritti (ad esempio, per salvaguardare dei beni di proprietà, la propria abitazione, etc., dall'aggressione altrui).

Caratteri della situazione di pericolo

[Torna su]

Il pericolo, invece, deve essere attuale. Ciò significa che il rischio di un danno alla persona dev'essere imminente e che non debba esservi altra soluzione che quella di provocare il fatto dannoso.

Ad esempio, se anziché fuggire da un aggressore travolgendo un'altra persona, si accerta che l'agente avrebbe potuto percorrere una strada diversa, non si configura lo stato di necessità.

Inoltre, la situazione di pericolo non deve essere stata provocata da chi commette il fatto dannoso e deve potersi considerare inevitabile.

Ad esempio, è stato escluso lo stato di necessità e, quindi, ritenuto civilmente responsabile il personale sanitario di una struttura ospedaliera che non aveva predisposto il necessario approvvigionamento di sacche per trasfusione, provocando poi un'infezione al paziente a causa di una trasfusione effettuata con sangue non adeguatamente controllato (Cass. civ., sez. terza, n. 13919/16).

Si ritiene, infine, che il fatto commesso debba essere proporzionato al pericolo evitato (in ciò ci si riporta al dettato dell'art. 54 del codice penale, che disciplina lo stato di necessità in tale ambito).

L'indennità da riconoscere al danneggiato

[Torna su]

Come anticipato, il ricorrere dello stato di necessità esclude che sorga l'obbligo di risarcimento del danno in capo a chi ha commesso il fatto dannoso, poiché viene esclusa la sua responsabilità extracontrattuale.

In ogni caso, l'indennità prevista dall'art. 2045 c.c. riveste analoga funzione riparatrice e reintegratoria, come chiarisce un'importante pronuncia della Corte di Cassazione.

La Suprema Corte, infatti, considera del tutto ragionevole il fatto che l'importo dell'indennizzo ex art. 2045 c.c. possa corrispondere, quantitativamente, alla somma che sarebbe stato giusto versare a titolo di risarcimento, qualora non si fosse configurato lo stato di necessità.

"L'art. 2045 c.c., laddove riconosce in favore del danneggiato un'indennità nell'ipotesi in cui chi ha compiuto il fatto dannoso abbia agito in stato di necessità, ha una funzione surrogatoria od integratrice, avendo lo scopo di assicurare al danneggiato un'equa riparazione; ne consegue che non è affetta da violazione di legge la sentenza con cui il giudice d'appello, individuati nel fatto gli estremi dello stato di necessità e corretta in tal senso la motivazione della prima sentenza (che, invece, aveva attribuito al danneggiante la responsabilità risarcitoria ai sensi dell'art. 2043 c.c.), esercitando il proprio giudizio equitativo, liquidi in favore del danneggiato, a titolo di indennità, la stessa somma di danaro che il primo giudice aveva liquidato a titolo risarcitorio" (Cass. civ. n. 23275/10).

Vedi anche Lo stato di necessità ex art. 54 del codice penale


Foto: 123rf.com
Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: