La Suprema Corte ritiene configurabile il reato di cui all'art. 615-quater c.p. se il marito si impossessa abusivamente dei codici personali e segreti della moglie per gestire online il conto corrente

di Lucia Izzo - Rischia una condanna ai sensi dell'art. 615-quater c.p. il marito che sottrae indebitamente alla moglie i codici personali e segreti utilizzati per gestire il conto corrente online.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 11288/2020 (qui sotto allegata) pronunciandosi sul ricorso di un uomo imputato per il delitto di detenzione e diffusione abusiva di accesso a sistemi informatici o telematici ex art. 615-quater del codice penale.

Reato di accesso abusivo a sistema informativo

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Nel dettaglio, l'uomo si era abusivamente impossessato dei codici personali e segreti del servizio di gestione online del conto corrente della moglie. Per tale condotta era stato anche accusato di violazione dell'art. 615-ter c.p. (accesso abusivo a un sistema informatico o telematico) e dell'art. 640-ter c.p. (frode informatica), ma i capi di imputazione erano stati dichiarati improcedibili per difetto di querela.

La Corte d'Appello di Bologna ha riconosciuto la responsabilità ai soli effetti civili dell'uomo condannandolo, oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla parte civile in entrambi i gradi di giudizio, anche al risarcimento del danno morale.

In Cassazione, l'imputato sostiene che i c.d. codici di primo livello non costituiscano elemento materiale del reato ascrittogli e che, nel caso in esame, non sarebbe riscontrabile alcun riferimento all'abusivo impossessamento delle credenziali di secondo livello.

La detenzione abusiva dei codici di accesso

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Un ricostruzione che non convince gli Ermellini, secondo cui non può desumersi l'asserita riferibilità della contestazione ai soli "codici di primo livello". A tal fine, viene effettuata una distinzione tra la fattispecie descritta nell'art. 615-ter c.p. e quella di cui all'art. 615-quater c.p. per il quale l'imputato è stato condannato.

La prima (accesso abusivo a un sistema informatico o telematico) punisce la condotta di chi abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza, ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo. La seconda, invece, quella per cui l'uomo è stato condannato, si concreta nel procurarsi, o nel riprodurre, diffondere, comunicare o consegnare abusivamente parole chiavi o altri mezzi idonei all'accesso a un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza.

lnconferente appare il rilievo, proposto nel ricorso, secondo cui nella contestazione si sarebbe inteso distinguere (nei due capi di imputazione) l'accesso al sistema online del conto corrente da quello allo spazio dispositivo, posto che il reato di cui all'art. 615-quater c.p. non incrimina alcuna condotta di accesso, bensì il semplice possesso, abusivamente procurato, di password o altri mezzi idonei a tal fine.

I codici di secondo livello

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La formulazione letterale del capo d'imputazione, laddove si riferisce ai "codici personali segreti univocamente identificativi del servizio di gestione online del conto corrente" intestato alla parte civile, è perfettamente idonea a ricomprendere anche i c.d. "codici di secondo livello", necessari per l'accesso allo spazio dispositivo.

Il riferimento al servizio di gestione online del conto corrente è espressione generica e senza alcun dubbio riferibile anche allo spazio dispositivo; l'assunto è suffragato dal fatto che gli era stata altresì contestata l'aggravante di aver agito al fine di commettere il delitto di frode informatica ex art. 640 ter, comma 3, del codice penale (anch'esso oggetto di un capo di imputazione dichiarato improcedibile).

Garanzia del giusto processo

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Trova accoglimento, invece, la doglianza dell'uomo secondo cui il giudice d'appello si era limitato a richiamare il medesimo compendio probatorio scrutinato dal Tribunale, senza procedere alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. In tal modo, la Corte territoriale sarebbe giunta all'affermazione di responsabilità dell'imputato operando una diversa valutazione della prova dichiarativa offerta dalla persona offesa nonché, conseguentemente, della ricostruzione dei fatti fornita dall'imputato stesso.

La Cassazione ribadisce il principio secondo cui il Giudice di appello che riformi, anche su impugnazione della sola parte civile e ai soli effetti civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è obbligato a rinnovare, anche d'ufficio, l'istruzione dibattimentale, venendo in rilievo la garanzia del giusto processo a favore dell'imputato coinvolto nel procedimento penale, dove i meccanismi e le regole di formazione della prova non conoscono distinzioni a seconda degli interessi in gioco,pur se di natura esclusivamente civilistica (cfr. Cass. n. 32854/2019).

Scarica pdf Cassazione Penale, sentenza 11288/2020

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