Per il Cnf, integra l'illecito disciplinare dell'accaparramento della clientela offrire una prestazione professionale non richiesta

di Annamaria Villafrate - La sentenza n. 93/2019 (sotto allegata) del C.N.F rigetta il ricorso di due avvocati responsabili e quindi sospesi dall'attività dal C.O.A di appartenenza, per aver inviato una lettera a un soggetto con cui hanno offerto prestazioni professionali di assistenza per il ricorso previsto dalla legge Pinto e per aver fatto contattare il soggetto dalla segretaria per informarlo della rinuncia al mandato da parte del suo difensore.

Per il Cnf, così come dispone il codice deontologico, è vietato offrire, direttamente o per interposta persona le propri prestazioni professionali al domicilio degli utenti:

Responsabili gli avvocati che cercano di "accaparrare" clienti

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Un avvocato del Foro di Belluno riferisce che un suo assistito ha ricevuto una lettera con cui l'avvocato del Foro di Firenze denunciato e il dottore collaboratore di studio lo informavano dell'offerta dei propri servizi gratuiti per presentare ricorso ai sensi della legge Pinto, allegando una procura da sottoscrivere e un foglio di notizie da compilare. Il denunciante riferisce inoltre che il suo assistito è stato contattato da una collaboratrice dello studio per informarlo della rinuncia all'incarico da parte del suo legale. Da qui la denuncia del legale di Belluno.

Il C.O.A di Firenze apre un procedimento disciplinare contro l'avvocato e il dottore per violazione degli artt. 38 e ss. e degli artt. 12 e 19. Condotte per le quali pende procedimento penale. Al temine del giudizio penale i due soggetti vengono condannati per i reati di cui agli artt. 640, 56 e 110 c.p a quattro mesi di reclusione, a una multa di 100 euro ciascuno e a 25.000 euro a titolo di provvisionale in favore della parte civile. Riprende quindi il dibattimento in sede disciplinare, che si conclude con la pronuncia di responsabilità deontologica degli incolpati ai quali veniva applicata la sanzione della sospensione dall'attività professionale.

Per gli avvocati sospesi la condotta contestata è prescritta

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I legali ricorrono al C.N.F. nei confronti della sentenza del C.O.A di Firenze sollevando eccezione di prescrizione del procedimento ai sensi dell'art. 56 della legge n. 247/2012. In caso di mancato accoglimento dell'eccezione di prescrizione sollevata, i due legali chiedono la sospensione a tempo indeterminato del procedimento disciplinare poiché per i medesimi fatti pende processo penale davanti alla Corte d'Appello di Firenze. In seguito il difensore dei ricorrenti deposita la sentenza della Corte d'Appello che li assolve dai reati contestati e in seguito quella della Cassazione che accoglie e dichiara l'intervenuta prescrizione del reato contestato e che rinvia alla corte d'Appello per statuire sulla liquidazione risarcitoria in favore della parte civile.

Sanzione per accaparramento della clientela

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Il C.N.F con sentenza n. 93/2019 conferma la responsabilità disciplinare degli avvocati, ritenendo infondata l'eccezione di prescrizione sollevata. Ciò che interessa in questa sede però è esaminare le conclusioni del C.N.F in relazione all'illecito deontologico dell'accaparramento della clientela.

Il C.N.F a tale riguardo ritiene provata e adeguata la motivazione del C.O.A di Firenze, che richiama gli siti dell'attività istruttoria compiuta dalla Polizia Giudiziaria giungendo alla conclusione che:"L'illecito è stato correttamente inquadrato e contestato quale violazione dell'art. 19 del previgente codice deontologico forense che trova esatta corrispondenza nell'attuale art. 37 che, al pari della norma previgente, fa divieto all'avvocato di offrire, sia direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni professionali al domicilio degli utenti."

Non solo. Il C.N.F rileva altresì come: "La vicenda penale originata, al pari di quella disciplinare, dalla querela dell'avv. (esponente) si è invece sviluppata intorno ad una circostanza fattuale del tutto peculiare, anch'essa per astratto deontologicamente rilevante, ma non fatta oggetto né dell'incolpazione contestata né della valutazione disciplinare, e cioè la supposta dichiarazione della segretaria degli incolpati, secondo cui l'avv. (esponente), già difensore di (taluni dei) possibili clienti, avrebbe rinunciato al mandato professionale. Da tale dichiarazione, in ambito penale è stata sviluppata la tesi di una attività truffaldina a danno del querelante, concretatasi nell'incriminazione degli odierni incolpati per i reati p.e p. dagli artt. 640, 56,110 cp, da cui la Corte d'Appello di Firenze li ha mandati assolti per insussistenza del fatto con motivazione ritenuta per nulla convincente dalla S.C."

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Scarica pdf sentenza Consiglio nazionale Forense n. 93/2019

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