Per il tribunale di Firenze, non è licenziabile il lavoratore che scambia messaggi con i colleghi in un chat privata perché le offese rivolte al superiore non sono diffamatorie

di Annamaria Villafrate - Il Tribunale di Firenze, nella recente sentenza (sotto allegata) rifacendosi al distinguo operato dalla Cassazione, sulla natura diffamatoria di messaggi scambiati tra colleghi di lavoro contenenti offese verso i superiori, accoglie il ricorso di un dipendente, rigettando la tesi della datrice. Come precisato infatti dalla Corte di legittimità e come verificatosi nel caso di specie, se un lavoratore rivolge offese a un superiore gerarchico all'interno di una chat privata tra colleghi di lavoro, questa condotta non può ritenersi illecita perché, stante la non diffusività esterna dei messaggi per il mezzo utilizzato e la cerchia ristretta dei soggetti coinvolti, non ha efficacia diffamatoria.

Impugnazione del licenziamento illegittimo

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Un lavoratore conviene in giudizio la ex datrice di lavoro impugnando il licenziamento disciplinare intimatogli nel settembre del 2018.

Il dipendente chiede che il Tribunale del Lavoro accerti e dichiari l'illegittimità del licenziamento per insussistenza del fatto, lo annulli e lo reintegri nelle mansioni a cui era adibito o equivalenti, il pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione, oltre rivalutazione e interessi.

In ipotesi accertare e dichiarare l'illegittimità del licenziamento ai sensi del dlgs n. 23/2015 art. 3 comma come modificato dalla Corte Cost. Con sentenza n. 194/2018 e condannare il datore al pagamento di un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il TFR e tenendo conto dell'anzianità di servizio, del numero di dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività e della condotta delle parti. Il tutto oltre rivalutazione e interessi.

Licenziato perché offende il superiore su Whatsapp

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la datrice di lavoro contesta il ricorso del dipendente perché infondate in fatto e in diritto rappresentando i fatti che hanno condotto al licenziamento.

La datrice riferisce infatti che il lavoratore è autore di tutta una serie di messaggi vocali dal contenuto offensivo rivolte al superiore gerarchico all'interno della chat privata di Whatsapp "Amici di lavoro".

I messaggi scambiati in una chat privata non sono diffamatori

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Il Tribunale del Lavoro di Firenze, accogliendo il ricorso del dipendente e rigettando le contestazioni della datrice, dispone la reintegra dello stesso nel posto di lavoro e riconosce allo stesso anche l'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione.

Come affermato di recente dalla Cassazione solo "i messaggi diffusi tramite strumenti potenzialmente idonei a raggiunger un numero indeterminato di persone (nella specie bacheca Facebook)" dal dipendente hanno natura diffamatoria se contengono espressioni dispregiative rivolte all'azienda datrice di lavoro. Da qui la legittimità del licenziamento.

Qualora infatti i messaggi vengano diffusi tramite chat privata ad accesso limitato, stante l'impossibilità che il contenuto di questi venga diffuso a soggetti esterni, non può dirsi configurata una condotta diffamatoria.

Nel caso di specie il Tribunale del lavoro rileva come i messaggi del ricorrente erano indirizzati a una chat privata di Whatsapp, ad accesso limitato, con conseguente esclusione di qualsiasi intento diffamatorio. Tali messaggi sono piuttosto equiparabili a una corrispondenza privata, in quanto insuscettibili di una diffusione esterna e illecita di contenuti offensivi, discriminatori, minatori.

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