Separazione e divorzio producono effetti diversi, poiché diversa ne è la ratio e le finalità. Conoscerli consente di scegliere con maggiore consapevolezza tra i due istituti

di Annamaria Villafrate - La separazione e il divorzio incidono in misura differente su diritti e obblighi dei coniugi. Quelli che meritano maggiore attenzione, per l'importanza economica e sociale che rivestono sono il diritto al mantenimento, i diritti successori, la pensione di reversibilità e il Trattamento di fine rapporto. Esaminando nel dettaglio le conseguenze dei due istituti è possibile ponderare con maggiore consapevolezza se è più conveniente separarsi o divorziare.

Separazione e divorzio: differenze

Separazione e divorzio sono due istituti con finalità profondamente diverse. La separazione determina infatti la sospensione del rapporto, che può sfociare in una riconciliazione o nel divorzio, quest'ultimo invece scinde definitivamente il vincolo matrimoniale tra marito e moglie.

Questa differenza fa si che il coniuge più debole risulta più protetto in sede di separazione, anche se la legge prevede misure di protezione, seppur attenuate, per il coniuge divorziato. Vediamole insieme.

Separazione e divorzio: diritto al mantenimento

Occorre subito precisare che l'assegno mantenimento viene riconosciuto in sede di separazione, mentre quello divorzile, come suggerisce il termine, è attribuito in sede di divorzio.

Dal 10 maggio 2017, la Corte di Cassazione ha fissato nuovi criteri di liquidazione dei due assegni:

  • l'assegno di separazione deve assicurare al coniuge con il reddito inferiore lo stesso "tenore di vita" goduto durante il matrimonio, al fine di eliminare ogni squilibrio reddituale esistente tra coniugi. Il giudice tenuto a definire la somma deve però valutare caso per caso le effettive possibilità reddituali e patrimoniali del coniuge obbligato;
  • l'assegno di divorzio invece deve garantire solo l'autonomia e l'indipendenza economica del coniuge con il reddito più basso. In questo caso quindi, se il coniuge più debole lavora e ha un reddito che, seppur basso, gli permette di mantenersi da solo, non ha diritto all'assegno di divorzile.

Le diverse finalità dei due assegni rendono il mantenimento previsto in sede di separazione vantaggioso solo per il coniuge beneficiario. Al contrario l'assegno divorzile è più vantaggioso per il soggetto obbligato, il quale, mal che vada, sarà tenuto a versare solo una somma che permetta all'ex coniuge di essere indipendente economicamente. Insomma in caso di divorzio il coniuge più debole è costretto ad accontentarsi di un importo inferiore rispetto a quello a cui avrebbe diritto in sede di separazione.

Queste regole di però non possono essere applicate se:

  • ci sono figli, poiché essi hanno il diritto di godere di un assegno che consenta loro di godere di un tenore di vita goduto al momento in cui convivevano con tutti e due i genitori fino a quando non saranno indipendenti economicamente;
  • il coniuge più debole è quello a cui è stata addebitata la separazione, perché se il matrimonio è finito per colpa sua non ha diritto al mantenimento.

Occorre però precisare che, se dopo il divorzio uno degli ex coniugi versa in condizioni di disagio tale da non poter sopravvivere, può chiedere il riconoscimento del diritto agli alimenti (somma inferiore a quella dell'assegno di mantenimento o divorzile) anche se gli era stata addebitata la separazione.

Separazione e divorzio: diritti successori

- Quando la coppia è separata, se uno dei coniugi muore il superstite gli succede esattamente come se fossero ancora sposati.

Il tutto a norma dell'art 585 c.c. che recita testualmente"Il coniuge cui non è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato ha gli stessi diritti successori del coniuge non separato. Nel caso in cui al coniuge sia stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato, si applicano le disposizioni del secondo comma dell'articolo 548."

A questa disposizione (art. 548 comma 2) occorre quindi fare riferimento per comprendere quali sono i diritti successori del coniuge separato con addebito: "Il coniuge cui è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato ha diritto soltanto ad un assegno vitalizio se al momento dell'apertura della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto. L'assegno è commisurato alle sostanze ereditarie e alla qualità e al numero degli eredi legittimi, e non è comunque di entità superiore a quella della prestazione alimentare goduta. La medesima disposizione si applica nel caso in cui la separazione sia stata addebitata ad entrambi i coniugi."

- In caso di divorzio invece, alla morte dell'ex coniuge, quello sopravvissuto non può vantare alcun diritto successorio. Il patrimonio ereditario è devoluto interamente in favore degli eredi potenziali, primi tra tutti i figli.

Gli unici diritti che possono insorgere in favore del coniuge superstite divorziato, solo in presenza di certi requisiti sono:

  • il diritto agli alimenti, corrisposti con assegno gravante sull'eredità se il coniuge superstite si trova in stato di bisogno e percepiva già un assegno di divorzio;
  • il diritto alla pensione di reversibilità, come sotto specificato.

Separazione e divorzio: pensione di reversibilità

- La separazione non fa venire meno il diritto del coniuge superstite a percepire la pensione di reversibilità dell'ex coniuge defunto. Questo diritto può essere chiesto anche se il coniuge superstite ha rinunciato all'eredità, perché magari questa era gravata da debiti.

Di recente inoltre la Cassazione, con sentenza n. 2606/2018 ha ribadito che la pensione di reversibilità spetta anche al coniuge separato con addebito. Accogliendo infatti il ricorso della vedova a cui era stata addebitata la separazione dal defunto marito ha confermato che: "questa Corte di Cassazione ha già più volte chiarito (cfr., ad es. Cass. 19 marzo 2009 n. 6684, n. 4555 del. 25.2.2009, n. 15516 del 16 ottobre 2003) che a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 286 del 1987 - che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 24 e della L. 18 agosto 1962, n.1357, art. 23, comma 4 nella parte in cui escludono dalla erogazione della pensione di reversibilità il coniuge separato per colpa con sentenza passata in giudicato - tale pensione va riconosciuta al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profilo al coniuge superstite (separato o non) e in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte; che in particolare è stato affermato che, dopo la riforma dell'istituto della separazione personale, introdotto dal novellato art. 151 c.c. e la sentenza della Corte Cost. non sia più giustificabile il diniego, al coniuge cui fosse stata addebitata la separazione, di una tutela che assicuri la continuità dei mezzi di sostentamento che il defunto coniuge sarebbe stato tenuto a fornirgli; che la motivazione del giudice delle leggi, se conduce ad equiparare con sicurezza la separazione per colpa a quella con addebito, non autorizza l'interprete a ritenere che sia residuata una differenza di trattamento per il coniuge superstite separato in ragione del titolo della separazione".

Riassumendo quindi, il coniuge separato ha diritto alla pensione di reversibilità:

  • anche se ha rinunciato all'eredità;
  • anche se era separato con addebito.

- In caso di divorzio invece l'ex coniuge superstite ha diritto solo a una quota della pensione di reversibilità (da dividere con la vedova in seconde nozze) che viene calcolata tenendo conto della durata del matrimonio, del diritto al mantenimento e delle condizioni economiche del soggetto beneficiario e, in ogni caso, solo in presenza di determinate condizioni:

  • il rapporto di lavoro che da diritto alla pensione deve risalire al periodo antecedente alla sentenza di divorzio;
  • il coniuge superstite doveva avere diritto all'assegno divorzile periodico. Per cui, se l'ex coniuge sopravvissuto non aveva questo diritto o aveva percepito l'assegno in un'unica soluzione, non avrà diritto alla pensione di reversibilità;
  • l'ex coniuge sopravvissuto dopo il divorzio non deve essere passato a nuove nozze.

A stabilire queste condizioni è l'art., 9, comma 2°, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 che, nel testo modificato dall'art. 13 della legge n. 74/1987, prevede: "In caso di morte dell'ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno a sensi dell'art. 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza."

Separazione e divorzio: Trattamento di fine rapporto

Il Tfr è la liquidazione versata al lavoratore nel momento in cui il rapporto tra azienda e dipendente giunge al termine.

Il Tfr è una cifra di importo corrispondente all'incirca a una mensilità, che viene accantonata durante tutto il rapporto di lavoro e corrisposto quando si conclude.

Tornando però alla separazione e al divorzio, nel momento in cui il coniuge ha maturato il diritto al Tfr, al coniuge separato o divorziato spetta qualcosa?

- In caso di separazione il coniuge non ha alcun diritto sul Tfr

In assenza di una previsione legislativa che riconosca una quota al Tfr del coniuge separato, anche la giurisprudenza si è sempre espressa in senso negativo al riguardo, ritenendo inapplicabile l'interpretazione estensiva della norma che, invece, nella legge sul divorzio contempla questo diritto.

Ne consegue che, se dopo la pronuncia di separazione ma prima del giudizio di divorzio il coniuge smette di lavorare egli ha il diritto di disporre del suo Tfr (così come delle eventuali anticipazioni) senza che nulla sia dovuto all'ex coniuge separato, anche se quest'ultimo aveva diritto all'assegno di mantenimento.

L'unica cosa che potrà fare l'ex coniuge venuto a conoscenza del Tfr percepito dall'altro coniuge sarà quella di invitare il Giudice a considerare questa somma ai fini della quantificazione dell'assegno di mantenimento (quando la separazione è in corso) o di un eventuale aumento dello stesso in sede di modifica delle condizioni di separazione.

- In caso di divorzio al coniuge spetta una quota del Tfr

Al coniuge divorziato la legge sul divorzio, all'art 12 bis riconosce una quota del Tfr nella misura del 40% se:

  • titolare di un assegno divorzile periodico (se il versamento è avvenuto "una tantum" nessuna quota di Tfr è dovuta);
  • l'ex coniuge non si è risposato;
  • il Tfr è stato liquidato dopo la sentenza di divorzio, ma è frutto del lavoro svolto in tutto o in parte quando la coppia era ancora unita in matrimonio.

Questo principio è esposto molto chiaramente dalla Cassazione civile, nella sentenza n. 1348/2012: "In materia di determinazione della quota di indennità di buonuscita, cui ha diritto il coniuge, nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, se non passato a nuove nozze, la base su cui calcolare la percentuale della L. n. 898 del 1970, ex art. 12 "bis", comma 1, è costituita dall'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro. Ne deriva, in base al coordinamento tra il primo ed il secondo comma dell'articolo citato, che l'indennità dovuta deve computarsi calcolando il 40 per cento (percentuale prevista dal comma 2), dell'indennità totale percepita alla fine del rapporto di lavoro, con riferimento agli anni in cui il rapporto di lavoro coincise con il rapporto matrimoniale; risultato che si ottiene dividendo l'indennità percepita per il numero degli anni di durata del rapporto di lavoro, moltiplicando il risultato per il numero degli anni in cui il rapporto di lavoro sia coinciso con il rapporto matrimoniale e calcolando il 40 per cento su tale importo".


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