di Valeria Zeppilli - Il Tribunale di Milano ha sancito una delle prime vittorie in giudizio di una Pubblica Amministrazione contro un "furbetto del cartellino", confermando, con la sentenza numero 7673/2017 (qui sotto allegata), il provvedimento del Comune di Corbetta con il quale era stato disposto il licenziamento disciplinare di un dipendente a tempo indeterminato che era stato mandato via a gennaio del 2017 all'esito dell'apposito procedimento introdotto con la riforma Madia.
L'uomo, infatti, si era allontanato dal luogo di lavoro prima dell'orario fissato per la fine della giornata lavorativa ma il suo cartellino era stato timbrato da un collega, che pure era stato licenziato.
Licenziamento furbetti cartellino: procedura corretta
Per il Tribunale, la procedura seguita dal Comune era stata corretta, in quanto i lavoratori, prima di essere sospesi automaticamente, erano stati intervistati e la contestazione formale era stata eseguita solo dopo aver ottenuto la conferma dell'uscita ingiustificata. L'amministrazione aveva quindi agito all'interno dello "spazio valutativo proprio del procedimento disciplinare" e il procedimento aveva portato al licenziamento.
Nel corso della procedura, infatti, erano emersi indizi chiari, precisi e concordanti circa la sussistenza di un accordo illecito tra i due colleghi per la timbratura del cartellino e, quindi, del dolo da parte del lavoratore.
Procedimento disciplinare: questione di legittimità infondata
Il legale del dipendente, per "salvare" il proprio assistito, aveva tentato di far valere dinanzi al giudice un'eccezione di incostituzionalità, asserendo, a sostegno della stessa, che la normativa applicata integrerebbe un caso di espulsione automatica dal rapporto di lavoro.
Per il Tribunale di Milano, tuttavia, tale rilievo non deve ritenersi condivisibile.
Innanzitutto, vi è infatti la garanzia di un procedimento disciplinare nel cui ambito è possibile porre in essere le valutazioni tipiche in ordine al fatto contestato ed è permessa la stima della situazione effettiva anche riguardo alla sua gravità. Non ci si trova quindi di fronte ad alcun automatismo espulsivo, ma piuttosto, nel caso di specie, a una giusta causa di licenziamento, adeguatamente valutata dall'amministrazione.
Inoltre, alla fattispecie si applica l'articolo 2106 del codice civile che presuppone la valutazione della proporzionalità della sanzione e non automatismi espulsivi.
Per i giudici occorre infine considerare che, rispetto alla disposizione "incriminata", non è stata data alcuna possibilità di deroga da parte delle fonti collettive e che non c'è alcun elemento che permette di considerare costituzionalmente irragionevole la sanzione del licenziamento stabilita dal legislatore, considerata la ratio che ha ispirato la recente modifica normativa (che è quella di potenziare il livello di efficienza degli uffici pubblici e di contrastare la scarsa produttività e l'assenteismo, così tutelando anche l'immagine e l'onorabilità della PA).
Tribunale di Milano testo sentenza numero 7673/2017• Foto: 123rf.com