Le azioni esecutive da parte dell'Agente della Riscossione

Avv. Giampaolo Morini - Il nuovo art. 73 del d.p.r. n. 602/1973, così come sostituito dall'art. 16, comma 1, d.lgs. n. 46/1999, prevede che (fatto salvo quanto previsto dal successivo comma 1 bis, introdotto dall'art. 1 c. 142 lett. b l. 244/2007), se il terzo, presso il quale il concessionario ha proceduto al pignoramento, si dichiara o si è dichiarato possessore di beni appartenenti al debitore iscritto a ruolo o ai coobbligati, il giudice dell'esecuzione ordina la consegna dei beni stessi al concessionario, che procede alla vendita [1].

Il pignoramento da parte dell'agente della riscossione

Il co. 1 bis stabilisce che il pignoramento dei beni di cui al comma 1 del presente articolo può essere effettuato dall'agente della riscossione anche con le modalità previste dall'articolo 72-bis; in tal caso, lo stesso agente della riscossione rivolge un ordine di consegna di tali beni al terzo, che adempie entro il termine di trenta giorni, e successivamente procede alla vendita.

La responsabilità del concessionario della riscossione

Si deve in particolare affermare che, qualora nella espropriazione esattoriale, di cose mobili rimaste invendute al secondo incanto e nel vigore del DPR 29.09.1973 n. 602 art. 73, si siano trovate, prima della vendita, ad essere custodite in un immobile anch'esso assoggettato ad esecuzione esattoriale e questo sia stato poi venduto all'asta, si profilano due ipotesi di responsabilità: una responsabilità del concessionario della riscossione in confronto dell'aggiudicatario dell'immobile, se l'immobile non sia rilasciato dal concessionario libero dalle cose mobili da esso pignorate e che ancora vi si trovano; diversamente, non è ravvisabile una responsabilità del comune per il solo fatto d'avere il sindaco indicato al concessionario come luogo per la consegna dei mobili quello, dove essi si trovano nel momento in cui il concessionario chiede al comune di prenderli in consegna.


Pertanto, si deve affermare che la responsabilità del concessionario emerge per il fatto in sè d'aver promosso la consegna delle cose mobili in modo da non liberare materialmente l'immobile in precedenza aggiudicato ad un terzo e non solo in quanto si provi "che abbia dato specifiche istruzioni e si sia ingerito in quell'attività propria del sindaco".
Per converso, una responsabilità del comune non può essere affermata per il solo fatto d'avere il sindaco indicato al concessionario come luogo di consegna quello in cui le cose mobili già si trovavano, ma lo può essere solo in presenza di una colpa per negligenza, per aver accettato di riceverli in quel luogo pur avvertito che lo stesso luogo aveva cessato di appartenere ai proprietari delle cose mobili ovvero per averveli in seguito mantenuti, dopo essere stato richiesto dai proprietari dell'immobile di trasportare altrove quelle cose.[2]

Il Consiglio di Stato, sez. V, 24/09/2003, (ud. 10/12/2002, dep.24/09/2003), n. 5439, ha inoltre ritenuto che: "Nello schema previsto dall'art.73 della legge n.602/1973, è ragionevole prevedere che l'ente locale faccia precedere la fase della trattativa privata da una esplorazione preliminare delle offerte potenzialmente attivabili; e tale fase preliminare può assumere anche la veste di una licitazione, che tuttavia non si può concludere formalmente con la cessione dei beni al migliore offerente, in quanto è obbligatorio che , una volta individuata l'offerta economicamente più vantaggiosa, venga aperta una vera e propria fase di contrattazione con detto soggetto. Il contenuto sostanziale del contratto sarà il frutto di questa fase negoziale, al cui termine il Sindaco determinerà il soggetto considerato più idoneo ad assicurare la soddisfazione dell'interesse pubblico e concluderà il contratto. E questa fase ulteriore, nel cui svolgimento si definisce il contenuto del contratto da stipulare, è di esclusiva competenza del Sindaco".

Appare utile segnalare la pronuncia del T.A.R. Reggio Calabria, (Calabria), 11/12/1995, n. 786, secondo cui "nell'ipotesi di vendita di beni pignorati ex art. 73, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, sussiste l'interesse - da parte del curatore fallimentare - a far valere l'adozione del metodo di contrattazione prescritto dalla normativa: detto interesse, concreto ed attuale, ha natura procedimentale e non fa riferimento direttamente ad un bene della vita ma, invece, all'osservanza delle regole che disciplinano una determinata vicenda giuridica, indipendentemente, quindi, da ogni valutazione, forzatamente aprioristica, circa l'idoneità della forma di contrattazione normativamente prevista ad assicurare il conseguimento di un determinato bene della vita (che, nella fattispecie in questione, dev'essere identificato in un maggiore corrispettivo)".

Avv. Giampaolo Morini

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[1] comma modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera l), del D.Lgs. 27 aprile 2001, n. 193 e successivamente dall'articolo 1, comma 142, lettera a), della Legge 24 dicembre 2007, n. 244.

[2] Cassazione civile, sez. III, 06/06/2008, n. 15057.


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