Per la Cassazione l'evento è collegato al non funzionamento dei dispositivi e dei controlli con guardie giurate

di Lucia Izzo - Il Ministero della Giustizia dovrà risarcire i familiari di una donna uccisa dall'ex marito all'interno del Tribunale di Varese nel 2002, nel corso dell'udienza di divorzio. Ciò in quanto il metal detector del Palazzo di Giustizia, così come il controllo delle guardie giurate, si rivelò inefficace.


Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, nella sentenza n. 16508/2017 (qui sotto allegata) rigettando il ricorso del dicastero. La pronuncia origina dalla vicenda che ha visto una vittima nelle aule giudiziarie, ossia una donna uccisa nel corso del giudizio di divorzio dall'ex marito con alcuni colpi di una pistola che era riuscito a portare con sé all'interno del Tribunale.


Dall'imputato, condannato per omicidio volontario, le parti civili costituite (la sorella e il padre della vittima) avevano ottenuto il pagamento di una provvisionale; questi agivano successivamente anche in sede civile affinchè il Ministero della Giustizia fosse condannato al risarcimento di tutti i danni da loro patiti in conseguenza dell'omicidio. Entrambi i giudici di merito confermavano la condanna al dicastero.

La sicurezza nei Tribunali

Per la Corte d'Appello, tale responsabilità derivava dal d.m. 28 ottobre 1993, che pone a carico del Procuratore generale della Corte d'appello l'onere di adottare i provvedimenti necessari ad assicurare la sicurezza interna delle strutture in cui si svolge l'attività giudiziaria.


Tale disposizione, benché di carattere non legislativo ma regolamentare, doveva essere considerata idonea a fondare un vero e proprio obbligo giuridico di garantire la sicurezza non dei soli magistrati che lavorano nell'ufficio (interpretazione suffragata da alcune Circolari, nonché dal Governo).


La sussistenza dell'obbligo era dimostrata anche dal fatto che nel Tribunale fosse già in funzione all'epoca del fatto un metal detector

, peraltro fuori uso nel giorno dell'omicidio e sostituito da un servizio di controllo tramite guardie giurate che, però, era anch'esso non funzionante. Nonostante tale servizio di vigilanza fosse affidato al Comune, tale circostanza non avrebbe fatto venir meno la responsabilità e semmai avrebbe fondato l'eventuale azione di regresso.


Inoltre, per i giudici a quo, l'esplosione dei letali colpi di pistola contro la donna era stata resa possibile proprio dall'omissione delle cautele previste dal citato decreto quindi, nonostante l'omicidio fosse teoricamente realizzabile altrove (poiché premeditato), si era verificato nell'ufficio giudiziario per la mancanza di un sistema di sicurezza che impedisse l'introduzione, all'interno del palazzo di giustizia, di armi idonee all'offesa della persona.


In sostanza, l'uso del metal detector avrebbe impedito all'omicida l'uso dell'arma e, inoltre, un omicidio all'interno di un'aula di giustizia, "seppure statisticamente assai raro e anomalo rispetto al generale comportamento delle parti nei palazzi di giustizia", non poteva tuttavia ritenersi del tutto imprevedibile ed eccezionale rispetto al rischio di attentati alla sicurezza delle persone presenti nel palazzo di giustizia.

Cassazione: il metal detector avrebbe impedito l'evento

La Cassazione conferma tale apprato argomentativo, nonostante il Ministero si difenda ritenendo che le disposizioni summenzionate siano dettate per garantire la sicurezza dei magistrati e che nel nostro ordinamento la responsabilità da comportamento omissivo abbia carattere eccezionale e possa nascere solo in presenza di un preciso obbligo di attivarsi per impedire l'evento (mentre nella specie, non vi sarebbe alcuna norma che la sancisca, essendo all'uopo insufficiente l'art. 2 del citato decreto)


Per gli Ermellini, invece, la norma richiamata indica che alla menzionata Autorità è rimesso il compito di tutelare la sicurezza all'interno dei palazzi di giustizia: in primis, com'è ovvio, dei magistrati e di quanti ivi svolgono il proprio lavoro, ma anche di tutti coloro che si trovino, anche occasionalmente, all'interno di simili strutture.


Infatti, la Corte rammenta che i Tribunali sono luoghi dove tutti i cittadini hanno la facoltà e, in certi casi, il dovere di recarsi, sia per l'esercizio e la tutela del proprio diritto di difesa garantito dalla Costituzione, sia per svolgere funzioni ancillari (es. l'ufficio di testimone), che sono di primaria importanza per il corretto svolgimento della funzione giurisdizionale. Pertanto, una differenza tra lavoratori nel settore giustizia e soggetti presenti occasionalmente nell'edificio apparirebbe fuorviante e non rispondente allo spirito della norma.


Sul Ministero della Giustizia grava, attraverso la figura del Procuratore Generale della Corte d'appello, un obbligo assai ampio di protezione e tutela, obbligo generico che è in grado di fondare un giudizio di colpevolezza omissiva, costituendo esplicazione del principio generale del neminem laedere.


Non è inoltre possibile effettuare un confronto con altri uffici pubblici, essendo i Tribunali "istituzionalmente devoluti alla composizione dei conflitti", dunque luoghi caratterizzati per natura da una conflittualità che può essere anche molto accesa. Ciò significa che il cittadino che qui si reca per la difesa di un proprio diritto o per svolgere un dovere gravante a suo carico deve poterlo fare nella piena tranquillità della sua sicurezza e incolumità personale.


Il fatto stesso che all'interno del Tribunale di Varese vi fosse un metal detector, che lo stesso non fosse funzionante in quel fatale giorno e che la tragedia sia stata dovuta proprio all'uso di un'arma da fuoco dimostra che la colpa omissiva pacificamente sussisteva, perché se lo strumento avesse funzionato, il fatto non sarebbe successo. Proprio in relazione all'evitabilità dell'evento in caso di funzionamento del metal detector, deve essere considerata irrilevante anche la circostanza che l'omicidio fosse premeditato, quindi astrattamente realizzabile in altro luogo.

Cass., III civile, sent. n. 16508/2017

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