
di Gabriella Lax - Per far quadrare i nostri conti pubblici come chiede l'Unione Europea per la correzione del deficit non serve basarsi su entrate derivanti da nuove tasse ma basterebbe ridurre gli sprechi della pubblica amministrazione. Ad affermarlo è la Cgia (l'associazione degli artigiani e delle piccole imprese) il cui ufficio studi ha stimato in «almeno 16 miliardi di euro all'anno le uscite che l'amministrazione pubblica italiana potrebbe risparmiare se funzionasse con maggiore oculatezza» andando ad incidere così sugli «sprechi presenti nella sanità, misure di contrasto alla povertà percepite, invece, da famiglie abbienti e quota di spesa pubblica indebita denunciata dalla Guardia di Finanza».
Basti pensare alle sprechi dovuti ai casi di assenteismo, sia di massa sia individuali che, nel pubblico impiego, toccano livelli inaccettabili e costano circa 4 miliardi l'anno.
Da tenere in considerazione anche le malattie strategiche: quelle che servono ad attaccare un giorno all'altro e fare ponte lavorativo o solamente per allungare un week-end. Il fenomeno in questo caso riguarda paritariamente pubblico e privato, ma è davvero curioso accertare che il 28/29 per cento delle assenze per malattia si verifichino di lunedì. A ragione la Cgia parla di «una montagna di sprechi della nostra Pubblica amministrazione» che diventa maggiormente preoccupante «se si tiene conto dei dati forniti dal Fondo Monetario Internazionale: se la nostra amministrazione pubblica avesse in tutta Italia la stessa qualità (scuola, trasporti, sanità o giustizia) che ha nei migliori territori del Paese, il nostro Pil aumenterebbe di 2 punti, ovvero di oltre 30 miliardi di euro all'anno».
Dunque nel riconoscere gli sforzi fatti dagli ultimi esecutivi sul fronte della spending review, la Cgia continua a ritenere che «sarebbe sbagliato recuperare una buona parte dello 0,2 per cento di taglio del deficit/Pil richiestoci da Bruxelles aumentando, ad esempio, le accise sui carburanti».