Né tantomeno per ricorrere alla Ctu che resta strumento nella disponibilità del giudice

di Lucia Izzo - L'assicurazione, a cui l'automobilista coinvolto in un incidente cede il proprio credito, è legittimata ad agire in sede giudiziale per ottenere il completo risarcimento per i danni subiti. 

Tuttavia, se stragiudizialmente è stata effettuata una transazione e si è stabilita una cifra, non si può ricorrere a Ctu per la liquidazione di ulteriori danni asseriti.

Non giova in tal senso neppure allegare la fattura del carrozziere che ha riparato i danni e la documentazione fotografica al fine di dimostrare la natura e l'entità dei danni stessi.


Lo ha chiarito la tredicesima sezione civile del Tribunale di Roma nella sentenza 227/2016 che ha riconosciuto la legittimazione ad agire di una compagnia assicurativa per ottenere il risarcimento danni (a seguito della cessione del credito), ma ha rigettato la richiesta di liquidazione del maggior danno rispetto a quello pattuito in sede stragiudiziale.


La compagnia ricorrente evidenzia che il danno al veicolo dell'assicurato che si era occupata di riparare si sarebbe dovuto quantificare in 4.812,44 euro, somma ben lontana rispetto ai riconosciutigli 1.525 euro.

Per i giudici capitolini, tuttavia, non vi è alcuna prova del maggior danno e in tal senso non bastano gli elementi prodotti in giudizio, ossia copia del Cid, una fattura emessa a quietanza dall'officina che ha eseguito i lavori e le fotografie, inidonee a fornire un quadro completo e oggettivo poichè realizzate in fase di riparazione del veicolo.


Neppure, secondo il Tribunale, si può ricorrere a Ctu poichè questa non rappresenta un mezzo di prova, ma uno strumento nella disponibilità del giudice che può diventare fonte di prova solo quando quest'ultima sia per la parte impossibile o estremamente difficoltosa, mentre non può essere disposta per sopperire all'inattività delle parti.


Infine, neppure è ipotizzabile il ricorso al potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all'art. 15 c.p.c. che fa luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva o integrativa


Tale potere, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile per la parte interessata provare il danno nel suo preciso ammontare, dal'altro non comprende anche l'accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l'onore della parte di dimostrare la sussistenza e l'entità materiale del danno, né esonera la parte stessa dal fornire elementi probatori e dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre affinché l'apprezzamento equitativo sia, per quanto possibile, ricondotto alla sua funzione di colmare solo alcune lacune insuperabili nell'iter della determinazione dell'equivalente pecuniario del danno.


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