Avv. Barbara Pirelli del Foro di Taranto; email: barbara.pirelli@gmail.com
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Immagine di copertina: opera d'arte di Sandra Ghin- Marano Lagunare- Udine-
La vicenda giudiziaria affrontata dal Tribunale di Legge vede come protagonista un cliente di Poste Italiane che, dopo aver subito il furto di alcuni risparmi, per mano di un dipendente postale, aveva citato in giudizio Poste Italiane S.p.A. chiedendone la condanna alla restituzione delle somme che gli erano state sottratte oltre al risarcimento danni.
L'uomo nell'anno 2008 aveva aperto presso un ufficio postale di Lecce un libretto di risparmio cointestato col padre (poi defunto) della cui gestione si era sempre occupato lo stesso impiegato.
Le somme venivano poi investite in parte in due buoni fruttiferi mentre un'altra parte veniva utilizzata per la stipula di un contratto di assicurazione sulla vita.
Dopo la morte del padre all'erede veniva accreditata la somma a lui spettante quale terzo beneficiario del contratto di assicurazione. Ma quando l'erede chiedeva la restituzione delle somme investite, dovette ricorrere a una serie di sollecitazioni fino a quando il dipendente ammetteva le proprie responsabilità dichiarando di aver prelevato illecitamente l'intero ammontare della polizza vita dal conto del libretto postale e l'intera somma dei due buoni fruttiferi.
L'ammanco complessivo era di per €.35.000,00 e così l'uomo derubato riteneva che Poste Italiane dovesse rispondere ai sensi dell'art.2049 codice civile del fatto illecito del proprio dipendente commesso nell'esercizio delle mansioni cui era adibito.
Poste Italiane però non intendeva assumersi alcuna responsabilità affermando che l'attività illecita posta in essere dal proprio dipendente era stata eseguita in autonomia fuori dalle incombenze di servizio affidategli.
Il dipendente postale, nel processo penale, aveva patteggiato la pena (art. 444 codice di procedura penale) e la sentenza di condanna era stata prodotta nel giudizio civile; in merito a ciò va ricordato che, secondo giurisprudenza costante, "la sentenza
penale di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p. , pur non contenendo un accertamento capace di fare stato nel giudizio civile ,costituisce un importante elemento di prova per il giudice di merito, il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per le quali l' imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità e il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione" (Cass. n.4258 del 2011 ed anche SS.UU. n.17289 del 2006).Il Tribunale di Lecce, nella persona della dott.ssa Piera Portulari, per la soluzione del caso in sede civile ha così argomentato: Innanzitutto ha rilevato che secondo il criterio di responsabilità dettato dall'art. 2049 codice civile si realizza in concreto il principio del rischio d'impresa che si verifica tutte le volte in cui un soggetto si avvalga di un'organizzazione in forza della quale altri agiscono per lui per l'espletamento di una qualsiasi attività.
L'imprenditore proprio perché decide di esercitare un'attività con fine di lucro deve anche accettare il costo del rischio che introduce nella società; in buona sostanza "chi crea fonti di esposizione al pericolo per la collettività è tenuto al risarcimento dei danni conseguenti, indipendentemente dalla colpa propria o dei suoi preposti."
E' assolutamente irrilevante, secondo il Tribunale, l'atteggiamento del preponente, né l'inconsapevolezza di concorrere alla produzione del fatto lesivo; ciò che ne determina la responsabilità e' il semplice rapporto di occasionalità necessaria tra il fatto lesivo e le mansioni affidate al preposto.
Così come da conforto giurisprudenziale ( Cass. n. 17836 del 2007 e Cass. n. 21724 del 2012) e' altresì, "irrilevante che il dipendente abbia superato i limiti delle mansioni affidategli o abbia agito con dolo e per finalità strettamente personali o abbia trasgredito agli ordini ricevuti, attuando una condotta contraria alle direttive e non riconducibile agli interessi del datore.
Sulla scorta di queste considerazioni il giudicante ha condannato Poste Italiane SpA al pagamento, in favore del risparmiatore derubato,della somma indebitamente sottratta dal dipendente postale oltre alle spese di lite.
Avv. Barbara Pirelli del Foro di Taranto
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Si ringrazia il sito "cercasentenze" per aver fornito il testo della sentenza che qui sotto si allega.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI LECCE
SEZIONE PRIMA CIVILE
in composizione monocratica, in persona della dr. Piera Portaluri ha pronunziato la seguente
nella causa civile iscritta al n. ..........del Ruolo Generale promossa
DA....... rappresentato e difeso dall'avvocato .............
POSTE ITALIANE S.p.A. , rappresentata e difesa dagli avv. ..................
All'udienza del .................la causa è stata riservata per la decisione sulle conclusioni dei procuratori costituiti, come precisate nel relativo verbale, con la concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il ............ il signor ........conveniva al giudizio di questo tribunale la POSTE ITALIANE SpA, per sentirne la condanna alla restituzione in proprio favore della somma di €.20.000, 00, indebitamente sottratta dal suo dipendente, signor ........... oltre al risarcimento di tutti i danni subiti.
A sostegno della domanda esponeva:
- che in data ..............aveva aperto presso l'ufficio Poste Italiane Filiale sito in Lecce un libretto di risparmio postale cointestato col padre, poi defunto, della cui gestione si era sempre occupato l'impiegato .........
- che in data ..................la somma portata da detto libretto era stata trasferita per €.25.000,00 su due buoni fruttiferi e per €.10.000,00 era stata impiegata nella stipula di un contratto di assicurazione sulla vita;
- che in conseguenza del decesso del proprio genitore, era stata accreditata sul detto libretto la somma di €.10.000,00, quale indennità spettante ad esso attore in quanto terzo beneficiario del contratto di assicurazione;
- che chiesta la restituzione del denaro investito, dopo varie e vane sollecitazioni, il ............. con lettera del..............aveva ammesso di avere prelevato illecitamente l'intero ammontare della polizza vita dal conto del libretto postale e l'intera somma dei due buoni fruttiferi per un importo complessivo di €.35.000,00;
- che, pertanto, la convenuta Poste Italiane SpA doveva rispondere del fatto illecito del proprio dipendente ex art. 2049 cod. civ. perché commesso nell'esercizio delle mansioni cui era adibito.
Si costituiva la convenuta e contestava la sussistenza di qualsivoglia propria responsabilità, deducendo che l'evento dannoso lamentato dall'attore era "costituito da attività/comportamenti illeciti posti in essere dall'ex dipendente in totale autonomia, al di fuori delle incombenze di servizio affidategli e senza che la società datrice di lavoro potesse in alcun modo intervenire nell'immediatezza dei fatti per porre freno alle condotte illecite".
Contestava poi la domanda di risarcimento dei danni perché genericamente formulata.
Il giudizio, istruito solo documentalmente, all'esito dell'udienza di precisazione delle conclusioni del .................era riservato per la decisione con la concessione dei termini di legge per il deposito di conclusionali e repliche.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Pacifica ed incontestabile è la responsabilità del.......... atteso anche l'esito del giudizio penale a suo carico conclusosi con la condanna dello stesso alla pena di anni quattro di reclusione ed €.1600,00 di multa, come da sentenza penale prodotta del presente giudizio nel cui capo di imputazione tra i fatti addebitatigli risulta anche la "sottrazione di €. 35.000,00 a ..........ed al genitore ..............eseguendo nelle date di seguito indicate sul loro libretto di risparmio n.30000000 ".
Ed invero, la giurisprudenza è unanime nel ritenere che la "la sentenza penale di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p. - pur non contenendo un accertamento capace di fare stato nel giudizio civile - costituisce un importante elemento di prova per il giudice di merito, il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per le quali /'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità e il giudice pena/e abbia prestato fede a tale ammissione" (cfr. Cass., n.4258/2011 ed anche SS.UU. n.17289/2006).
Detta responsabilità penale implica ovviamente la responsabilità civile, che va ricondotta nell'alveo normativo di carattere generale dell'art. 2043 cod. civ., ricorrendone manifestamente tutti i relativi elementi costitutivi: elemento soggettivo (dolo del soggetto agente); danno ingiusto (antigiuridicità del fatto reato); nesso di causalità (condotta illecita-evento dannoso).
Quanto alla responsabilità della convenuta Poste Italiane SpA, non v'è dubbio, invece, che il relativo fondamento debba essere ricercato nella norma dell'art. 2049 cod. civ.
E' noto come nel sistema della responsabilità civile si riconosca ormai da tempo l'inidoneità del principio della colpa ad attuare una efficiente distribuzione del rischio.
Muovendo dalla premessa che " La responsabilità civile non elimina i danni ma solo li sposta", è stato osservato che il criterio della colpa, se lo si considera sempre dal punto di vista dell'efficienza economica, o trasferisce il danno interamente sul danneggiante o, in mancanza di una colpa, lo lascia altrettanto interamente sulla vittima.
Seguendo il principio del tutto o nulla, esso, infatti, "lascia il danno dove cade", senza preoccuparsi di individuare quale sia il soggetto in grado di sopportarne il peso economico col minor aggravio.
Tale principio connaturato al liberalismo economico dei tempi passati quando evidentemente adempiva alla funzione di evitare eccessivi oneri che potessero ostacolare l'espansione della nascente economia industriale, è stato del tutto superato in tempi di capitalismo maturo, dove le esigenze che si sono andate via via sempre più affermando non consistono nell'evitare intralci all'espansione dell'attività produttiva, ma attengono piuttosto ad un controllo dell'attività medesima (che spesso comporta una frantumazione della colpa in tante piccole quote) che non deve svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (art 41 Costituzione).
In siffatta prospettiva si può certamente affermare che il criterio di responsabilità dettato dall'art. 2049 cod. civ. realizzi, in definitiva, il principio del rischio d'impresa: detta norma è riferibile, infatti, ad ogni ipotesi in cui un soggetto si avvalga di un'organizzazione in forza della quale altri agiscono per lui per l'espletamento di una qualsiasi attività.
L'imprenditore deve, insomma, pagare il costo del rischio che introduce nella società in base alla libera scelta di esercitare un'attività per scopo di profitto.
In altri termini: chi crea fonti di esposizione al pericolo per la collettività è tenuto al risarcimento dei danni conseguenti, indipendentemente dalla colpa propria o dei suoi preposti.
E, difatti, ai fini della responsabilità in questione non è rilevante l'atteggiamento del preponente, né l'inconsapevolezza di concorrere alla produzione del fatto lesivo, essendo sufficiente il rapporto di occasionalità necessaria tra il fatto lesivo e le mansioni affidate al preposto.
Né, infine, la responsabilità del preponente è attenuata, se l'illecito è commesso con dolo (cfr. Cass. n.17393/2009; 26172/2007).
La Suprema Corte, infatti, ha escluso chiaramente ed in più occasioni la necessità della sussistenza di un nesso causale tra il fatto dannoso commesso dall'autore dell'illecito e le mansioni affidategli, avendo ritenuto "sufficiente che ricorra un semplice rapporto di occasionalità necessaria: vale a dire che l'incombenza affidata all'ausiliario determini una situazione tale da rendere possibile o anche soltanto favorire la consumazione del fatto illecito e, dunque, la produzione del danno" (cfr. Cass., n.6632/2008; n.6033/2008).
Ritenendo, altresì, "irrilevante che il dipendente abbia superato i limiti delle mansioni affidategli o abbia agito con dolo e per finalità strettamente personali" (Cass., n.17836/2007) o, persino, abbia trasgredito agli ordini ricevuti, attuando una condotta contraria alle direttive e non riconducibile agli interessi del datore (cfr. Cass., n.21724/2012).
L'affermazione di responsabilità della convenuta consegue dunque ed inevitabilmente all'applicazione al caso di specie dei principi di cui innanzi.
La stessa deve essere pertanto condannata alla restituzione, in favore del ......... a titolo di danno emergente, della somma di €.20.000,00 (detratta quella di €.15.000,00 già restituita all'attore) che ancora residua sulla maggior somma, indebitamente sottratta dal C., di €.35.000,00.
Su detta somma, vertendosi pacificamente in ipotesi di debito di valore, vanno computati rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla stessa, anno per anno rivalutata, a decorrere dal giugno ............al saldo per questi ultimi e ad oggi per la prima.
Nessun'altra somma va riconosciuta all'attore, dovendosi rilevare, che la domanda di risarcimento del danno ulteriore, genericamente proposta in citazione, è stata specificata tardivamente (solo nella comparsa conclusionale) e, comunque, non è stata neanche oggetto di deduzione di prova (v. memoria ex art. 183 comma 6 n.2 cpc)
Le spese di lite, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza. La sentenza è provvisoriamente esecutiva per legge (art. 282 cpc).
P.Q.M.
il Tribunale di Lecce in composizione monocratica, in persona della dottoressa Piera Portaluri, definitivamente pronunziando nel giudizio promosso da.........con atto di citazione del ..............nei confronti della POSTE ITALIANE S.p.A., ogni altra istanza, eccezione, deduzione, respinta, così provvede:
accoglie la domanda per quanto di ragione e, per l'effetto, condanna la convenuta, Poste Italiane SpA, al pagamento, in favore di ............della somma di €. 20.000,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali come indicato in parte motiva;
condanna la predetta convenuta al pagamento in favore dei dell'attore delle spese di lite che liquida in complessivi €. 3.300,00;
dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva.
Lecce, 11.11.2014