- di Maurizio Città, avvocato del Foro di Termini Imerese (maurizio-citta@libero.it)

1. Breve Premessa.

1.1. Nell'ambito del complesso, e non sopito, ma sempre più vivo, dibattito sulla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, vietata dalla l.n.40/2004, si pone una questione che coinvolge il nato da applicazione delle tecniche di PMA di tipo eterologo, tutte quelle volte che sia stato fatto ricorso a questo tipologia in violazione del divieto legislativo, ed il marito, o convivente, non abbia prestato il proprio consenso, ovvero, la fecondazione artificiale, sia avvenuta all'insaputa del marito, o dell'altro convivente.

1.2. Una recente sentenza del Tribunale di Roma, sez.I civile, del 19 luglio 2013, ed una sentenza del Giudice di legittimità (Corte di Cassazione, sez.I civile, 23 febbraio-11 luglio 2012, n.11644), offrono lo spunto per svolgere alcune brevi considerazioni, de iure condendo, a proposito del fatto che il nato dall'applicazione di tecniche di PMA di tipo eterologo senza il consenso, o nell'ignoranza, del marito, o del convivente, può rischiare di restare privo di padre legale, ovvero essere "figlio di nessun padre".

1.3. Con la citata sentenza del 19 luglio 2013, il Tribunale di Roma, sulla direttrice della centralità dell'interesse del minore nelle azioni di stato, ha aderito all'orientamento secondo cui l'attribuzione dell'azione di disconoscimento al marito, o convivente, che a suo tempo abbia prestato consenso alla fecondazione artificiale della moglie con il contributo di un donatore, priverebbe il nato per effetto di tale assenso, di una delle figure genitoriali, e del connesso apporto affettivo ed assistenziale, «trasformandolo per atto del giudice "figlio di nessun padre"».

1.4. La questione che si prende in esame con queste brevi considerazioni è perfettamente speculare: nel tutelare la centralità dell'interesse del minore nelle ipotesi in cui il marito, o convivente, prestando il suo preventivo assenso si è liberamente e consapevolmente obbligato ad accogliere il nato quale padre legale, l'art.9, comma 1, della l.n.40/2004, in combinato disposto con il comma 3, e alla luce di una interpretazione sistematica della medesima legge (e costituzionalmente orientata secondo la Corte di cassazione), finisce con il mettere a rischio il nato, tutte quelle volte che il preventivo consenso manca, comprese quelle volte che il marito, o convivente, è rimasto ignaro dell'applicazione della PMA di tipo eterologo.

1.5. Tra parentesi, la questione potrebbe essere estesa anche all'ipotesi in cui alla predetta tecnica faccia ricorso (qualora lo consenta la legge dello Stato in cui la PMA di tipo eterologo venisse applicata) la donna single, dovendosi escludere in questo caso, gioco forza, la possibilità dell'assenso di un potenziale padre legale.


2. Normativa di riferimento.

2.1. Ai sensi dell'art.4, comma 3, della l.n.40/2004, il ricorso a tecniche di PMA di tipo eterologo è vietato.

2.2. Il successivo art.5, stabilisce che, fermo restando il predetto divieto, alle tecniche di PMA possono accedere "coppie".

2.3. Il successivo art.9, comma 1, stabilisce che, nel caso in cui, in violazione del predetto divieto, si ricorra alla PMA di tipo eterologo, il marito, o il convivente, "il cui consenso è ricavabile da atti concludenti" non può esercitare l'azione di disconoscimento della paternità ex art.235, comma 1, nn.1) e 2), c.c., né l'impugnazione di cui all'art.263 c.c..

2.4. A norma del comma 3, del citato art.9, in caso di applicazione di tecniche di PMA di tipo eterologo, in violazione del predetto divieto, "il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi".

2.5. A norma dell'art.12, comma 8, la donna (per quello che qui interessa), alla quale è applicata la PMA di tipo eterologo, non è punibile.

2.6. Il disconoscimento di paternità è regolato dagli artt.243 bis e 244 del codice civile, e l'abrogazione dell'art.235 c.c., è ininfluente sulla portata del citato art.9, comma 1, della l.n.40/2004, come enucleato dalla interpretazione costituzionalmente orientata della Corte di Cassazione di cui alla citata sentenza n.11644/12, secondo la quale: il citato art.9, comma 1, non introduce un "divieto generalizzato di disconoscimento", ma solo una "specifica eccezione in tema di legittimazione ad agire ai sensi dell'art.235 c.c.", ovvero una esclusione della legittimazione ad agire nei soli casi in cui, anche solo per facta concludentia, sia desumibile il consenso del marito o del convivente.

2.7. In altri termini, secondo la Corte di cassazione, con l'art.9, comma 1, della l.n.40/2014, così come interpretabile secondo la medesima Corte di cassazione, il quadro normativo in materia di disconoscimento della paternità, "si è arricchito di una nuova ipotesi, per certi versi tipica, di disconoscimento, che si aggiunge a quelle previste dall'art.235 c.c. e che si fonda … sulla esigenza … di affermare la primazia del favor veritatis", essendo sempre ammissibile il disconoscimento quando difetta il consenso preventivo.

2.8. Dunque, il padre biologico del nato dall'illecita applicazione di tecniche di PMA di tipo eterologo non potrà divenire il padre legale, mentre quel che potrebbe essere il suo padre legale, potrebbe non divenirlo perché non ha prestato il suo consenso (o, addirittura, ha ignorato l'applicazione della tecnica di PMA di tipo eterologo).

2.9. Quanto poi al caso di donna single, alla luce dell'art.12, comma 8, citato, deve ritenersi esclusa la sua punibilità, salvo che nel caso di donna single non si ritenga di escludere l'applicabilità della l.n.40/2004.


3. La sentenza della Corte di cassazione n.11644/2012.

3.1. Ritornando alla citata sentenza della Corte di cassazione, il Giudice di legittimità ritiene che a proposito di quanto stabilito dal citato art.9, «una lettura costituzionalmente orientata di tale dato normativo induce a ritenere che il legislatore abbia inteso stabilire un preciso limite al favor veritatis, determinando evidentemente una convergenza del favor legitimationis con il divieto di "venire contra factum proprium"».

3.2. Come si è visto, la Corte di cassazione valorizza il fatto che, "in luogo di un divieto generalizzato di disconoscimento del figlio nato da inseminazione artificiale eterologa, è stata introdotta una specifica eccezione in tema di legittimazione ad agire ai sensi dell'art. 235 c.c., escludendola nelle sole ipotesi in cui, anche "per facta concludentia", sia desumibile il consenso del coniuge che tale azione intenda esperire al ricorso al più volte indicato metodo di fecondazione assistita".

3.3. Muovendo da questi presupposti, il Giudice di legittimità arriva alla conclusione che "in tutte le ipotesi non contemplate dalla norma derogatrice in esame" (art.9, comma 1, citato), ovvero in tutte le ipotesi in cui "difetti l'elemento ostativo alla legittimazione costituito dal consenso preventivo alla fecondazione eterologa, l'azione di disconoscimento deve ritenersi ammissibile".


4. Il caso particolare della single.

4.1. A questa ricognizione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, va aggiunto che nel caso di ricorso (al di fuori del territorio italiano) alla PMA, da parte di donna single, il nato, anche se non corre il rischio di un disconoscimento da parte di un inesistente padre legale, può essere certo di divenire "figlio di nessun padre", salvo escludere, in questi casi, l'applicabilità della l.n.40/2004, e ritenere applicabile la più generale disciplina applicabile nel caso di concepimento naturale a seguito di relazione occasionale, da parte di un uomo, padre biologico, giuridicamente obbligabile quale padre legale (e sempre che il donatore non sia anonimo e sia identificabile).

4.2. Il dato testuale dell'art.9, comma 3, della l.n.40/2004 pone, però, più che un dubbio circa il fatto che lo stesso non sia applicabile nel caso in cui a fare ricorso alla PMA sia una donna single, ovvero nel caso di una applicazione di PMA inevitabilmente al di fuori di una coppia coniugata, o convivente, trattandosi, perciò, di fecondazione ontologicamente "eterologa".


5. Considerazioni conclusive.

5.1. Sebbene in controtendenza rispetto alla spinta a revisionare la l.n.40/2004 nel senso di una applicazione sempre meno restrittiva, qualora si ritenga di condividere che la l.n.40/2004 possa far correre il rischio per il nato di "nascere orfano di padre" nelle predette ipotesi di mancanza di consenso, o ignoranza, del potenziale padre legale (ed anche nel caso di madre single), una misura deterrente rispetto alle unilaterali scelte della donna (aspirante madre mediante fecondazione artificiale con il contributo di un donatore), potrebbe essere quella di introdurre la punibilità della donna, nonché una "severissima" punibilità di chi fa applicazione della PMA al di fuori dei casi in cui essa è ammessa dalla legge.

5.2. Tuttavia, non può ignorarsi che l'obiettivo deterrente dell'inasprimento punitivo della legge, non garantisce che il problema, per il nato in dispregio alla legge, possa sorgere ugualmente.

5.3. Come risolverlo? si potrebbe pensare, al di là di una revisione dell'art.9, comma 1, citato, ad una "chiarificatrice" modifica dell'art.9, comma 3, della l.n.40/2004, nel senso di "responsabilizzare" il donatore che non sia anonimo, e sia identificabile.

5.4. Invece, nel caso in cui il donatore resta anonimo (ed inconsapevole di un illecito uso del suo contributo), il problema resta di difficile soluzione, almeno nel caso di donna single; mentre nel caso di esistenza di un marito, o convivente, non consenziente, o ignaro, il legislatore dovrebbe fare una "equilibrata" scelta tra l'interpretazione orientativa della citata sentenza n.11644/2012 (che pur dando atto che nella lettura costituzionalmente orientata della legge è già insita l'esigenza di porre limiti al favor veritatis, è, pervenuta, però, ad una conclusione di primazia del favor veritatis nel caso di mancanza di consenso), e la necessità di ritenere meno incisivo il principio del favor veritatis, e maggiormente prevalenti gli interessi del nato (come ricordato dalla citata sentenza del Tribunale di Roma, e secondo la giurisprudenza e normativa pattizia ivi richiamata, per quanto utilmente applicabile).

5.5. E ciò, andando oltre la mera previsione di un termine di decadenza, già abbastanza lungo, valorizzando piuttosto "la presunzione di conoscenza", atteso che, secondo ciò che normalmente accade, è da ritenere che difficilmente il marito, o il convivente, possa ignorare l'applicazione di tecniche di PMA di tipo eterologo (oltretutto da praticare all'estero).

5.6. Mentre nel caso in cui, il marito, o convivente, conosca le intenzioni della moglie, o convivente, e non le condivida, potrebbe pensarsi alla necessità di una diffida giudiziaria -da disciplinare legislativamente ad hoc- nei confronti della donna, nonché nei confronti del centro specializzato (se conosciuto dal marito, o convivente), con previsione legislativa di correlative conseguenze ad effetto deterrente (che nel caso della moglie potrebbe essere, per fare qualche esempio, l'addebito in caso di separazione per detto motivo, o la perdita dei diritti successori).

5.7. Ovviamente, inoltre, dovrebbe ritenersi sempre ammesso il riconoscimento ex post da parte dell'originario dissenziente, preferibilmente sulla base di una semplice dichiarazione di consenso ex post, ma con effetti retroattivi.

5.8. Si tratta di soluzioni che fanno pendere la bilancia a favore del nato? a discapito delle aspirazioni della donna, e della libertà del marito, o convivente? e perciò inadeguate? il dibattito ovviamente è aperto, e va affidato a più complesse, approfondite, complete, e pregevoli valutazioni, atteggiandosi queste brevi considerazioni solo come modesti spunti di riflessione.

5.9. Ma si tenga conto, però, del fatto che l'introduzione, per esempio, della responsabilizzazione del padre biologico non anonimo, o, per altro verso, una più incisiva limitazione del disconoscimento da parte del padre legale, o altre migliori misure ancora, potrebbero servire, probabilmente, a scongiurare il concretizzarsi del rischio del fenomeno di "figli senza nessun padre", ma non è certo che riuscirebbero ad evitare che il nato resti comunque senza un padre che lo faccia sentire veramente suo figlio.

5.10. Il che introduce ad un'altra problematica: quella dell'azione di disconoscimento esercitata dal figlio nato dall'applicazione di tecniche di PMA di tipo eterologo nei confronti del marito, o convivente, consenziente, e pertanto, padre legale (o sociale, che dir si voglia).

5.11. A tal proposito, l'orientamento della Corte di cassazione, espresso con la citata sentenza n.11644/12, è nel senso che "una volta escluso il principio della incompatibilità tra fecondazione artificiale e disconoscimento, non sembra possano sussistere limiti per l'esercizio di tale azione da parte del figlio, certamente estraneo al consenso eventualmente prestato dal genitore e portatore di un interesse alla verità biologica che … deve considerarsi meritevole di tutela".

5.12. Per chiudere, un ultima annotazione: nella sentenza, come si legge, la cassazione parla di "genitore". Ebbene, non si tratta di un lapsus calami, ma della corretta definizione legale di chi si assume la responsabilità procreativa e diviene genitore (padre legale o sociale che dir si voglia), pur in assenza della discendenza genetica, in quanto, nel sistema della l.n.40/2004, che pur vieta la PMA di tipo eterologo, il principio di responsabilità procreativa si applica in luogo di quello della discendenza genetica (cfr. art.9, della l.n.40/2004 e Tribunale di Milano, sezione V penale, 15 gennaio 2013-13 gennaio 2014).

Avv. Maurizio Città avvocato del Foro di Termini Imerese (maurizio-citta@libero.it)



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