La Corte di Cassazione, con sentenza n. 13239 del 28 maggio 2013, ha affermato la legittimità del licenziamento intimato ad una dipendente, con mansioni di massofisioterapista, a causa dell'esistenza di una situazione di impossibilità sopravvenuta della prestazione di lavoro, derivante dalla mancanza in capo alla lavoratrice, per effetto di disposizioni normative sopravvenute, del titolo professionale necessario per l'esercizio dell'attività lavorativa richiesta dal datore di lavoro e come tale idonea ad incidere sulla funzionalità della relativa organizzazione di lavoro.

Nello specifico, il giudice di merito aveva ravvisato un'ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo a causa della sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione sul presupposto che il diploma posseduto dalla lavoratrice non potesse più considerarsi abilitante all'esercizio dell'attività per la quale era stata assunta, posto che il sopravvenuto D.M. 27-07-2000 postulava per l'esercizio dell'attività di massofisioterapista il possesso di una formazione professionale specifica, attuata mediante la frequenza di corsi di durata triennale.

Nella sentenza i giudici ripercorrono l'iter normativo che disciplina le professioni sanitarie "ausiliari": la L. n. 403 del 1971, istitutiva della professione sanitaria ausiliaria di massofisioterapista che non dettava norme sul relativo percorso formativo, sicché lo stesso è stato disciplinato in modo difforme sul territorio nazionale; la L. n. 42 del 1999, la quale ha disciplinato in modo innovativo e con riferimento a tutte le professioni sanitarie il passaggio dal vecchio ordinamento al nuovo regime, fondato sul previo conseguimento del diploma universitario e infine il D.M. 27 luglio 2000 che, ritenuto esente da profili di illegittimità, "prendendo lo stesso atto di una situazione di base contrassegnata dall'evidente disparità dei vari percorsi formativi, selezionando all'interno di essi quelli ritenuti in grado di fornire all'operatore una formazione di livello adeguato all'esercizio di una attività professionale altrimenti riservata a soggetti che abbiano conseguito il diploma di scuola media superiore ed abbiano positivamente frequentato un corso di laurea triennale".

Alla luce del quadro normativo evidenziato - precisa la Suprema Corte - il possesso di un titolo di massofisioterapista conseguito all'esito di un corso biennale (quale quello posseduto dalla ricorrente) non era più valido per abilitare allo svolgimento dell'attività professionale e inoltre la Corte territoriale aveva accertato che la lavoratrice non aveva dedotto, né tantomeno provato, di aver frequentato, o almeno iniziato a frequentare, un corso per il conseguimento di un valido titolo per l'esercizio della professione di fisioterapista, sicché l'impossibilità della prestazione non si configurava più solo come temporanea, ma era divenuta definitiva.

"A fronte di tale accertamento, le considerazioni svolte dalla ricorrente improntate sull'assenza di concreti pregiudizi derivati per il datore di lavoro dalla permanenza presso il Centro della dipendente pur sprovvista di idoneo titolo professionale, non evidenziano, comunque, sotto qual profilo non siano, nel caso, ravvisabili i presupposti della fattispecie normativa dell'art. 1464 c.c., tenuto conto del necessario nesso di collegamento che deve sussistere fra il possesso di idoneo titolo abilitativo e lo svolgimento della relativa attività professionale, in relazione ai requisiti professionali richiesti dalla legge per l'erogazione delle prestazioni sanitarie eseguibili nella struttura, e della prognosi negativa che, alla luce delle circostanze del caso concreto, ha ritenuto di dover formulare la Corte di merito circa la possibilità di una proficua ripresa della funzionalità del rapporto di lavoro."


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