Per la Cassazione, non basta l'isolamento, il demansionamento o la forzata inoperosità: deve provarsi l'alterazione dello stile di vita

di Lucia Izzo - In caso di condotte persecutorie da parte del datore di lavoro (cd. mobbing) il danno esistenziale al lavoratore non può essere liquidato laddove manchino concreti elementi indicativi di un peggioramento del suo stile di vita.

Il danno esistenziale infatti, essendo legato indissolubilmente alla persona, necessita imprescindibilmente di precise indicazioni che solo il soggetto danneggiato può fornire, indicando le circostanze comprovanti l'alterazione delle sue abitudini di vita.


Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza n. 23837/2015 (qui sotto allegata) nel decidere una controversia in tema di "mobbing" e circa il risarcimento del cd. danno esistenziale che, nel caso di specie, era stato prima riconosciuto dal giudice di prime cure e poi escluso dalla Corte d'Appello.


Palese la condotta "mobbizzante" posta in essere dal datore, per non aver il ricorrente avuto accesso ad alcun corso di qualificazione istituito per i dipendenti, restando così emarginato dal contesto della ristrutturazione ed ammodernamento dell'azienda; a ciò si aggiungono le pretestuose iniziative disciplinari di cui il lavoratore è stato oggetto, oltre che le condotte di ferma resistenza alle pronunce giudiziali che ne imponevano il tangibile riconoscimento professionale.


Ciò non era bastato ai giudici per accogliere la pretesa attinente al danno c.d. esistenziale, stante la mancata allegazione e prova di episodi attestanti l'effettiva mutazione in peius del trend di vita.

Dello stesso avviso anche gli Ermellini: non è sufficiente la prova della dequalificazione, dell'isolamento, della forzata inoperosità, dell'assegnazione a mansioni diverse ed inferiori a quelle proprie, perché questi elementi integrano l'inadempimento del datore, ma, dimostrata questa premessa, è poi necessario dare la prova che tutto ciò, concretamente, ha inciso in senso negativo nella sfera del lavoratore, alterandone l'equilibrio e le abitudini di vita.


Il danno esistenziale, strettamente collegato alla persona, non è passabile di determinazione secondo il sistema tabellare come avviene per il danno biologico, in cui si manifesta l'uniformità dei criteri medico legali applicabili in relazione alla lesione dell'indennità psicofisica.

D'altronde, non può escludersi che la lesione degli interessi relazionali, connessi al rapporto di lavoro, resti sostanzialmente priva di effetti, cioè non provochi alcuna conseguenza pregiudizievole nella sfera soggettiva del lavoratore, essendo garantito l'interesse prettamente patrimoniale alla prestazione retributiva.

In pratica, pur esistendo l'inadempimento, non necessariamente emergerebbe un pregiudizio, quindi non vi sarebbe nulla da risarcire.


Mancando, nel caso di specie, la necessaria prova della sussistenza del danno c.d. esistenziale, il ricorso no può essere accolto.

Cass., sez. lavoro, sent. 23837/2015

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