Chi trova un cane smarrito e se lo tiene senza preoccuparsi di cercarne il proprietario commette reato, anche se non si incorre più nel reato di appropriazione di cose smarrite art. 647 c.p. abrogato dal dlgs n. 7/2016, nè in quello ex art. 925 c.c.

Cane smarrito: è un reato tenerselo?

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Non è infrequente imbattersi per strada in un cane e non sapere che cosa fare. Ovviamente se l'animale ha una targhetta o un microchip non è difficile risalire al proprietario. A volte è sufficiente mettere in giro qualche volantino con tanto di foto dell'animale e il legittimo proprietario, riconosciutolo, si fa vivo per riprendersi il suo amico del cuore.

Vero però che può accadere anche il contrario, ossia che l'animale non abbia particolari segni di riconoscimento che agevolino la restituzione al suo proprietario o che quest'ultimo, dopo tante ricerche, rinunci al cercarlo ancora. In questo caso cosa può fare chi trova l'animale? Lo può tenere? Non è che questo gesto integra un reato?

Vediamo in che modo si è espressa la Cassazione in casi simili a quello descritto e a quali conseguenze sono andati incontro i soggetti che, più o meno in buona fede si sono tenuti il cane di un'altra persona, per capire quali condotte portano alla commissione di un reato e quali no.

Reato sottrarre un animale e cambiargli il microchip

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In questa recente Cassazione n. 9533/2022 un soggetto è stato ritenuto responsabile del reato di riciclaggio in quanto lo stesso "Al fine di ostacolare la individuazione della provenienza delittuosa del cane di razza pastore tedesco a pelo lungo" contraddistinto con un determinato numero di microchip e sottratto ad un altro soggetto ha poi sostituito il microchip all'animale, apponendovene un altro con un diverso numero corrispondente a un pastore tedesco a pelo corto già di sua proprietà. Nel caso di specie nella motivazione della sentenza emerge chiaramente che i giudici di merito hanno chiarito le ragioni per le quali doveva ritenersi dimostrato che l'imputato

, proprio al fine di ostacolare l'individuazione della provenienza del delittuosa del cane di razza pastore tedesco, avesse sostituito il microchip apponendo quello di un animale già di sua proprietà e sempre della stessa razza ovvero un pastore tedesco, ma a pelo corto. In sede di merito è stato evidenziato, come riporta la Cassazione in sentenza, che numerosi sono i dati istruttori che depongono nel senso della sostituzione del microchip del cane di proprietà della parte civile.

Le doglianze dell'imputato quindi, per la Cassazione, sono prive di fondamento: "Questo Collegio non ignora il precedente orientamento secondo cui l'acquisizione del possesso di un cane che si sia "smarrito" puo? essere fatta rientrare fra le ipotesi di "caso fortuito" di cui all'art. 647 cod. pen.(appropriazione di cose smarrite, reato abrogato con Dlgs n. 7/2016), dovendo tale ultima disposizione essere coordinata con l'art. 925 cod. civ. che prevede l'acquisto della "proprieta?" dell'animale mansuefatto da parte di chi se ne sia impossessato qualora l'animale non sia stato reclamato entro venti giorni da quando il proprietario ha avuto conoscenza del luogo ove esso si trova. (Sez. 2, Sentenza n. 18749 del 05/02/2013 Ud. (dep. 29/04/2013). Purtuttavia non puo? non considerarsi che gli animali "mansuefatti" cui fa riferimento la norma codicistica sono quelli che hanno acquisito una consuetudo revertendi mentre sono esclusi da tale fattispecie gli animali domestici (fra i quali rientra certamente il cane), la cui proprieta? non puo? acquistarsi per occupazione; a quest'ultimo proposito va segnalato che, in passato, con riferimento ai cavalli, la giurisprudenza di legittimita? ha affermato che tali animali non appartengono alla categoria degli animali mansuefatti, per la rivendicazione dei quali, da chi li abbia presi, e? fissato il termine utile di venti giorni dall'art. 925 cod. civ. (Cass. Civ. 14 dicembre 1950 n. 2723). Deve aggiungersi la considerazione che, come segnalato dalla P.G., in ogni caso la norma concerne la diversa ipotesi di allontanamento spontaneo di animali che, senza interventi di terzi, si inseriscano in fondi altrui permanendovi non reclamati laddove i giudici di merito hanno ampiamente argomentano sui plurimi ed insistenti comportamenti posti in essere, nella immediatezza, dal (proprietario del cane) per il ritrovamento e recupero dell'animale, anche con l'ausilio della forza pubblica, recupero non riuscito solo per effetto delle condotte ostruzionistiche e fraudolente dell'(imputato)."

Furto tenersi un cane con la scusa di volerlo portare a passeggio

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In un'altra recente vicenda decisa dalla Cassazione con la sentenza n. 12871/2022 una donna viene raggiunta da un provvedimento di sequestro, in quanto indagata per il furto aggravato di un cane. In giudizio è emerso che all'indagata il cane era stato consegnato solo in temporaneo affido, che lo stesso era già era stato registrato e che quindi l'avvenuta sottrazione, ottenuta con la scusa di portarlo a passeggio, senza in realtà più restituirlo, configurava l'ipotizzato delitto di furto. L'indagata ovviamente si difende dalle accuse, ma la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

"Deve prendersi atto del fatto che, al momento della situazione, il cane oggetto del sequestro preventivo, fosse nel legittimo possesso della persona offesa, avendo la medesima registrato il passaggio di proprietà in data anteriore alla consumazione dell'ipotizzato reato (e antecedente anche alla registrazione dell'assunto trasferimento a favore dell'indagata). Così che deve ritenersi, allo stato degli atti perfezionata, la contestata condotta di furto e sensi di indagata impossessata di una cosa mobile altrui non potendone e la vantare un pregresso acquisto) sottraendola a colei che in quel momento, legittimamente era deteneva (avendo acquistato comunque avendo avuto in affido). Tanto che la stessa non aveva affatto opposto alla persona offesa il suo titolo ma, con uno stratagemma, gli aveva semplicemente sottratto il cane."

Furto del cane dei vicini: senza la prova la sentenza va annullata

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Un'altra vicenda, risolta dalla Cassazione n. 24066/2022, ha un esito diverso. In questo caso infatti a un soggetto viene attribuito l'impossessamento di un cane altrui, con il conseguente addebito del reato di furto. Accuse dalle quali l'imputato si difende, facendo presente come non vi sia alcuna prova che lo stesso se sia effettivamente impadronito del cane, ricoverato in un locale posto servizio di una vigna di sua proprietà.

A quanto pare infatti lo stesso, dopo aver accudito il cane, che si era allontanato dalla sua persona, avrebbe chiuso il locale senza accorgersi che l'animale vi aveva trovato rifugio. Il ricorrente osserva inoltre che se avesse voluto impadronirsi del cane, gli avrebbe tolto il collare e non l'avrebbe custodito in un luogo a pochi passi dalla proprietà dei suoi padroni, senza tacere che non vi è prova né del dominio esercitato sul cane stesso né dello scopo di trarne profitto. L'imputato nel difendersi rileva inoltre che, alla notizia del rinvenimento dell'animale nel locale, lo stesso ha manifestato tutto il suo stupore, pensando si trattasse di uno scherzo. Condotta da cui emerge la sua ignoranza circa la presenza del cane nel deposito e la scoperta del fatto solo in quel momento.

Per gli Ermellini, in particolare: "Due sono le principali lacune motivazionali riscontrabili nella sentenza impugnata, che impongono una nuova e piu? approfondita valutazione da parte del giudice del rinvio.

Innanzitutto la completa omissione di ogni riferimento al fine di profitto, che, come e? noto, integra il dolo specifico del reato di cui si discute. Sul punto la giurisprudenza della Suprema Corte e? ancorata su due distinte posizioni. Da un lato, si afferma che in tema di furto, il fine di profitto, che integra il dolo specifico del reato, va interpretato in senso restrittivo, e cioe? come possibilita? di fare uso della cosa sottratta in qualsiasi modo apprezzabile sotto il profilo dell'utilita? intesa in senso economico/patrimoniale. (Cass., Sez. 5, n. 30073 del 23/01/2018; Cass., Sez. 5, n. 25821 del 5/4/2019). Dall'altro, si evidenzia come, in tema di furto, il fine di profitto - nel quale si concreta il dolo specifico del reato - non ha necessario riferimento alla volonta? di trarre un'utilita? patrimoniale dal bene sottratto, ma puo? anche consistere nel soddisfacimento di un bisogno psichico e rispondere quindi ad una finalita? di dispetto, ritorsione o vendetta (cfr. Cass., Sez. 5, n. 11225 del 16/01/2019; Cass., Sez. 4, n. 13842 del 26/11/2019; Cass., Sez. 4, n. 4144 del 06/10/2021).

Una posizione mediana, si rinviene in un recente arresto, in cui, premesso che in tema di furto, rientrano tra le cose mobili su cui puo? cadere la condotta appropriativa gli animali da compagnia o d'affezione, trattandosi di beni tutelati dalla legge 14 agosto 1991, n. 281 e dalla Convenzione Europea sul randagismo, stipulata a Strasburgo il 13 novembre 1987 e ratificata dalla legge 4 novembre 2010, n. 201, e suscettibili di costituire oggetto di diritti reali e di rapporti negoziali, si sottolinea, tuttavia, come il fine di profitto, che integra il dolo specifico del reato, va interpretato in senso restrittivo, e cioe? come finalita? di incrementare la sfera patrimoniale dell'agente, sia pure in vista dell'ulteriore obiettivo, perseguito in via mediata, di realizzare un bisogno umano anche solo meramente spirituale (nella fattispecie concreta portata al suo esame, la Corte ha escluso potesse essere integrato il fine di profitto nella condotta degli imputati che, a soli fini dimostrativi, si erano appropriati di un rilevante numero di cani di razza per sottrarli al regime di segregazione di uno stabulario: Cass., Sez. 5, n. 40438 del 01/07/2019)." L'assenza di prova sul fine per il quale l'imputato si sarebbe impadronito del cane e la contraddittorietà della sentenza in diversi punti della motivazione fanno concludere alla Cassazione per l'annullamento della sentenza con rinvio ad altra sezione.

Tutela civilistica degli animali: i cani sono "cose mobili"

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Appurato che i cani, poichè animali non mansuefatti, non possono essere trattenuti da chi se ne impossessa se il proprietario non li reclama entro 20 giorni, la Cassazione, in una sentenza del 2019 ha precisato in sintesi che: "alla stregua del disposto dell'art. 810 cod.civ. che definisce i beni come le cose che possono formare oggetto di diritti, gli animali, anche quelli d'affezione o da compagnia, devono essere considerati come: «"cose mobili", beni giuridici che possono costituire "oggetto" di diritti reali (cfr. artt. 812, 816, 820, 923, 924, 925, 926, 994, 1160, 1161, 2052 cod. civ.) ovvero di rapporti negoziali (cfr. artt. 1496, 1641, 1642, 1643, 1644, 1645 cod. civ.)".

Cosa fare se si trova un cane smarrito

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Detto questo, la cosa migliore da fare in realtà, quando si trova un cane smarrito di cui non si riesce a risalire al proprietario, è di presentare denuncia formale alle autorità competenti come i carabinieri, la polizia municipale, il servizio veterinario della ASL competente e l'Anagrafe Canina.

Dopo i necessari accertamenti sarà possibile, se non si risale al proprietario del cane, chiedere informazioni se si ha intenzione di adottare l'animale, visto che il rischio di incorrere in un reato non è poi così remoto.



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