di Daniela Iuliano 

Quello del lavoro è un tema, in Italia, che fa sempre parlare di sé e che non conosce requie. 
Negli ultimi due anni, rilevanti interventi, dalla legge Fornero all'attuale pacchetto di provvedimenti varato dall'esecutivo Renzi, il c.d. "Jobs Act", ne hanno profondamente modificato l'assetto e il settore rimane ancora in continuo fermento, in vista della seconda fase della riforma del lavoro con il ddl delega all'esame del Parlamento che dovrebbe concludersi, secondo le previsioni del Governo, entro la prima parte del 2015.


Nel breve volgere di un biennio, in particolare, ad essere "rivoluzionato" è stato il ricorso ai contratti a termine e all'apprendistato, che ha subito prima le modifiche introdotte dalla legge n. 92/2012 (c.d. legge Fornero) e da marzo scorso quelle della prima parte del jobs act (d.l. n. 34/2014 convertito, in legge n. 78/2014), ridefinendone disciplina, limiti e finalità.

Dall'eliminazione dell'acausalità (il c.d. "causalone"), l'obbligo cioè di specificare le motivazioni delle assunzioni per i datori di lavoro, all'introduzione del tetto del 20% per il ricorso ai contratti a termine, con l'applicazione di sanzioni meramente pecuniarie in caso di inosservanza, sino al vincolo per le stabilizzazioni degli apprendisti con la previsione di una formazione "mista" e alle semplificazioni del Durc (Documento unico di regolarità contributiva), sono diverse le modifiche intervenute nell'ambito di entrambe le forme contrattuali.

Di seguito un prospetto comparativo che mette le due normative a confronto, rappresentando un utile vademecum per orientarsi sui cambiamenti più rilevanti apportati dalle recenti riforme.

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Daniela Iuliano

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