Se gli utenti popolano i portali di sharing con del materiale coperto dal diritto d'autore, i portali non sono responsabili delle violazioni commesse dai propri utenti. Veoh non ha colpe: è un intermediario, è una piattaforma che si limita ad ospitare e a non interferire preventivamente su quanto caricano i propri utenti.

Veoh è riuscito per la seconda volta laddove YouTube non ha ancora ottenuto successi: divincolatosi da un analogo contenzioso che lo opponeva ad un editore specializzato in pornografia, il portale è stato denunciato da Universal Music Group per non aver impedito e per aver incoraggiato lo scambio di materiale di cui UMG detiene i diritti. UMG nel 2007 si era scagliata contro Veoh perché aveva fallito nel vigilare preventivamente sulle attività dei propri utenti, perché non aveva monitorato gli upload per scongiurare la circolazione di contenuti coperti dal copyright
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Ma la difesa di Veoh, incardinata sulle tutele offerte agli intermediari dal Digital Millennium Copyright Act (DMCA), ha convinto il giudice incaricato di valutare il caso. Veoh ha dimostrato di avere la coscienza pulita: ha sempre raccomandato ai propri utenti di non abusare del materiale coperto da copyright, ha dato prova di rimuovere con prontezza le clip che sono state caricate senza l'autorizzazione del detentore dei diritti. Pur non operando controlli preventivi, così come YouTube, Veoh si è dotata di un sistema di fingerprinting che impedisce la circolazione di contenuti che, caricati in precedenza, sono stati rimossi perché violavano i diritti dell'autore.
Il DMCA stabilisce che gli intermediari non abbiano responsabilità qualora non siano a conoscenza delle violazioni che vengono commesse attraverso i servizi che offrono. Se è chiaro che il safe harbor previsto dal DMCA crei delle limitazioni di responsabilità a favore dei servizi che ospitano dei contenuti digitali, non è altrettanto cristallina la modalità con cui queste tutele si declinino nel caso di servizi collaterali allo storage.

Veoh non si limita infatti a conservare sui propri server i contenuti postati dagli utenti: li codifica in maniera automatica in formato flash, crea automaticamente delle anteprime, consente ai netizen di intrattenersi scaricando o fruendo a mezzo streaming dei contenuti postati. Il giudice ha stabilito che l'attività di Veoh non si differenzia da quella degli operatori della rete che conservano bit a favore degli utenti: tutte le operazioni e gli automatismi insiti nelle routine del portale sono finalizzati alla conservazione e alla messa a disposizione dei file alla platea dei netizen. Per questo motivo si conciliano appieno con le caratteristiche con cui il DMCA tratteggia gli operatori Internet che possono fruire delle esenzioni di responsabilità. "Se garantire accesso agli utenti creasse una responsabilità senza la possibilità dell'intervento dell'immunità prevista dal DMCA - ha infatti argomentato il giudice - i fornitori di servizi sarebbero enormemente scoraggiati dall'operare la loro basilare, vitale e salutare funzione di fornire al pubblico l'accesso all'informazione e ai contenuti".

Il processo non è ancora terminato ma i rappresentanti di Veoh sono ottimisti: la decisione del giudice è un passo avanti nel delimitare e definire il ruolo degli intermediari della rete, che in molti vorrebbero trasformare in vigilantes nel nome del diritto d'autore e nel nome di un Web più morigerato.

Di Gaia Bottà - Pubblicazione autorizzata da http://punto-informatico.it/

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