Le nuove disposizioni riscrivono il sistema sanzionatorio per i licenziamenti individuali e collettivi di operai, impiegati e quadri

Dott.ssa Antonella Corradi - Un'assunzione a tempo indeterminato è assoggettata oggi al contratto di lavoro a tutele crescenti che introduce una nuova disciplina sui licenziamenti. Vediamo cosa è cambiato dopo il Decreto Legislativo n. 23/2015,  approvato dal Consiglio dei Ministri il 20 febbraio 2015. IL decreto contiene disposizioni in materia di Contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti e si applica a tutti i lavoratori che sono stati assunti a tempo indeterminato successivamente all'entrata in vigore del decreto, esattamente il 7 marzo 2015

Il contratto a tutele crescenti: ambito di operatività

Il Decreto Legislativo n. 23/2015, approvato dal Consiglio dei Ministri il 20 febbraio 2015 ed entrato in vigore il 7 marzo, reca disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, e si applica a tutti i lavoratori che sono stati assunti a tempo indeterminato successivamente all'entrata in vigore del decreto. Le nuove disposizioni riscrivono il sistema sanzionatorio per i licenziamenti individuali e collettivi di operai, impiegati e quadri, disegnando un modello composito in ragione della contemporanea vigenza dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

Il licenziamento discriminatorio

Il licenziamento discriminatorio (per ragioni di credo politico o fede religiosa, o per l'appartenenza ad un sindacato e la partecipazione ad attività sindacali o per questioni razziali o sessuali) è nullo a prescindere dal numero di occupati. La normativa non si applica ai dirigenti. Ne consegue la reintegrazione nel posto di lavoro, la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni spettanti dal licenziamento alla reintegra, dedotto quanto percepito dal lavoratore per lo svolgimento di altre attività lavorative e il versamento dei contributi previdenziali sulle somme erogate a titolo risarcitorio. 

Il licenziamento illegittimo per mancanza di giustificato motivo oggettivo 

Se nelle aziende con più di 15 dipendenti mancano gli estremi del licenziamento per motivi economici, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità. 
Nelle imprese al di sotto della soglia dimensionale, non ricorrendo gli estremi del giustificato motivo oggettivo, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a una mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a sei mensilità.

Il licenziamento disciplinare

Quando mancano gli estremi del giustificato motivo soggettivo o per giusta causa nelle aziende con più di 15 dipendenti, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità. 
Quando il giustificato motivo soggettivo o la giusta causa mancano nelle aziende al di sotto dei 15 dipendenti, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a una mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a sei mensilità.

Dott.ssa  Antonella Corradi


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