La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. n. 22608/2009) ha stabilito che l'assicurazione stipulata dall'azienda per restare indenne rispetto agli infortuni sul lavoro non copre nè il danno morale nè quello biologico subito dal dipendente. Gli Ermellini hanno ricordato di aver già più volte "affermato il principio che la copertura assicurativa prevista dall'attuale sistema di assicurazione sociale contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professioniali, pur non avendo ad oggetto il danno patrimoniale in senso stretto, non è, peraltro, riferibile né al danno biologico né a quello morale, essendo le indennità previste dal citato D.P.R. 1124/1965 collegate e commisurate esclusivamente ai riflessi che la menomazione psicofisica ha sull'attitudine al lavoro dell'assicurato e non assumendo alcun rilievo gli svantaggi, le privazioni e gli ostacoli che la menomazione stessa comporta con riferimento agli altri ambiti ed alle modalità di espressione della personalità del danneggiato nella vita di relazione, tra cui la stessa capacità di lavoro generico. Gli stessi principi erano stati in precedenza affermati dalla Corte Costituzionale (…) e quindi soltanto con la novella legislativa introdotta con D. Lg.vo 23 febbraio 2000 n. 38 la copertura assicurativa obbligatoria fu estesa anche al cosiddetto danno biologico, che sino a quel momento era stato escluso".
Nel caso di specie la Corte ha quindi affermato che appare "ineccepibile la valutazione operata dalla Corte d'Appello nel senso che la polizza assicurativa, in quanto riferita alla stessa copertura prevista dalla legge sugli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali, non comprendeva quanto il datore di lavoro aveva pagato a titolo di danno biologico, poiché all'epoca (e quindi prima della introduzione della nuova disciplina prevista dal D. Lg.vo n. 38/2000) tale rischio non era previsto dalla normativa richiamata".

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