Per la Cassazione, le dimissioni non comportano la perdita automatica delle ferie ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro


Le dimissioni non comportano la perdita delle ferie in modo automatico. E' quanto si ricava, in sostanza, dall'ordinanza n. 32807/2023 della sezione lavoro della Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso di un dirigente medico avverso l'ASL di Pescara.


Il professionista rivendicava nello specifico il diritto all'indennità sostitutiva per oltre 150 giorni di ferie non godute all'atto della cessazione del rapporto. I giudici di merito respingevano la sua domanda ritenendo che con le sue dimissioni il lavoratore aveva rinunciato alle ferie non ancora prescritte, in quanto operava il divieto di monetizzazione di cui alla L. n. 135 del 2012, vertendosi in un caso (art. 5, comma 8 L. cit.) di vicenda estintiva del rapporto di lavoro cui aveva concorso "volontariamente" lo stesso lavoratore con le dimissioni da lui rassegnate.

L'uomo si rivolgeva dunque al Palazzaccio e gli Ermellini accolgono le sue doglianze.


Per i giudici infatti, "va data continuità all'indirizzo affermato - in linea peraltro con l'esigenza di una interpretazione del diritto interno conforme ai principi enunciati dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea - da Cass., Sez. L, n. 21780 dell'8 luglio 2022, per la quale la perdita del diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può verificarsi soltanto qualora il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie (se necessario formalmente) e di averlo nel contempo avvisato - in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all'interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire - che, in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato".


Nella specie, dunque, la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto "che il diritto all'indennità sostitutiva delle ferie fosse da escludere per effetto delle dimissioni del lavoratore, atto volontario che lasciava presumere, secondo il giudice d'appello, l'accettazione delle conseguenze che derivavano dall'estinzione del rapporto, ivi compresa la perdita delle ferie maturate".


Così argomentando, invero, la Corte di merito, concludono da piazza Cavour, "si è discostata dall'orientamento di legittimità, cui va data continuità, secondo cui la perdita del diritto alle ferie ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro può verificarsi soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova: i) di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie, se necessario formalmente; ii) di averlo nel contempo avvisato in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all'interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire iii) del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato" (Cass., Sez. L, 20 giugno 2023, n. 17643 con riferimento a un caso di dimissioni del dipendente); sicchè, dovendosi intendere il divieto rigoroso di corrispondere trattamenti economici sostitutivi come essenzialmente volto a contrastare gli abusi, senza arrecare pregiudizio al lavoratore incolpevole, nessun valore di rinuncia all'indennità sostitutiva delle ferie può, in definitiva, essere automaticamente attribuito alle dimissioni del lavoratore, atto volontario posto dalla disciplina (D.L. n. 95 del 2012, art. 5, comma 8) sullo stesso piano delle altre vicende risolutorie del rapporto di lavoro".


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