Caso concorso truccato Bicocca-UNICEF: il Sostituto Procuratore legge l'articolo di StudioCataldi.it e non agisce senza impulso del TAR e del Tribunale Civile

Concorso truccato Università Bicocca-UNICEF

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Il TAR Lombardia e il Tribunale Civile di Milano non hanno segnalato fatti penalmente rilevanti, motivo per cui, a distanza di 3 anni dalla presentazione della querela iscritta a modello 45, il Sostituto Procuratore al quale è stato assegnato il caso, "non ritenendo sussistere altri profili delittuosi da investigare", l'ha archiviato de plano, senza trasmettere al GIP la richiesta di archiviazione.

È quanto si evince dalla relazione del Sostituto Procuratore della Repubblica a cui era stata assegnata la querela inerente al bando truccato per l'assegnazione di un posto di supporto al Coordinamento del Master MIDIA in collaborazione tra UNICEF e l'Università degli Studi di Milano-Bicocca.

Il caso, che non è mai stato iscritto nel registro degli indagati, non è stato neppure sottoposto al controllo del giudice per le indagini preliminari. Il PM incaricato delle indagini, infatti, l'ha inviato all'archivio senza avvisare né sentire la persona offesa, che aveva chiesto di essere informata dell'eventuale richiesta di archiviazione e di essere sentita in più occasioni, senza mai ricevere risposta.

A ogni richiesta della persona offesa, invece, seguiva un'iniziativa del Sostituto Procuratore volta a ricercare informazioni a fini investigativi mediante delega alla Polizia Giudiziaria, che a sua volta le rinveniva sul sito StudioCataldi.it o interloquendo con l'Avvocatura dello Stato che aveva difeso l'operato dell'università in altre sedi giudiziarie.

La vicenda

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La vicenda si inserisce nel più ampio contesto della mala gestione dei master presso l'Università degli Studi di Milano - Bicocca, già al centro dell'attenzione de IlFattoquotidiano, che nel luglio 2022 ha rivelato i retroscena sulle condotte dell'allora Rettore poi divenuto Ministro dell'Università e della Ricerca.

Ad agosto 2018, il Comitato di Coordinamento del Master Midia in collaborazione tra Milano - Bicocca e UNICEF indice un bando per attività di supporto al coordinamento, a cui partecipano vari candidati. Tutti i candidati vengono esclusi, ma quello che tra loro ha ottenuto il maggior punteggio richiede un accesso agli atti per verificare il motivo dell'esclusione.

Il candidato ritiene che, per escluderlo, la Commissione esaminatrice lo avrebbe diffamato in atti, e richiede la correzione del giudizio; viene nel frattempo raggiunto dal Coordinatore del Master, Professore della Facoltà di Giurisprudenza, che, a suo dire, avrebbe cercato di intimidirlo chiedendogli di lasciar perdere perché quel bando avrebbe dovuto essere assegnato a un'altra persona, che si era dimenticata di partecipare.

Ne segue un giudizio amministrativo, nelle more del quale il Comitato del Master ha distolto i fondi destinati al bando, adducendo che "è venuto meno l'interesse ad attribuire il contratto oggetto del bando". Sulla base di questo atto, il TAR Lombardia non accoglie le richieste cautelari del ricorrente, rimandando però la questione alla più approfondita fase di merito.

Durante il giudizio amministrativo, l'Avvocatura dello Stato presenta nuova documentazione, da cui si evince che il bando è stato indetto con atti amministrativi le cui firme differirebbero da quelle presenti in altri documenti, pur facendo capo agli stessi nominativi. Il ricorrente presenta querela di falso in via principale, ma il Tribunale Ordinario di Milano dichiara l'inammissibilità della domanda per difetto di interesse ad agire, non entrando mai nel merito della questione.

Sulla vicenda, StudioCataldi.it pubblicherà un articolo nel giugno del 2021 (v. Il candidato che vuol far dichiarare la falsità del bando pubblico non ha interesse ad agire).

Nel marzo del 2019, il candidato sporge querela presso la Procura della Repubblica di Milano, sicuro del fatto che il Comitato di Coordinamento del Master abbia distolto volutamente i fondi e forte della registrazione audio nella quale il Professore coordinatore riferisce chiaramente che il bando era truccato.

Non ricevendo notizie in merito alla querela, che a distanza di più di un anno risulta essere ancora iscritta a modello 45, il querelante scrive in ripetute occasioni alla cancelleria del PM per essere sentito in qualità di persona offesa, ma le e-mail del 03.09.2020 del 14.09.2020 e del 05.05.2021 non ricevono mai una risposta.

La prima istanza di avocazione delle indagini

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A maggio 2022 il querelante scrive alla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Milano, presentando una prima istanza di avocazione delle indagini ai sensi dell'art. 412 c.p.p., alla quale il Procuratore Generale risponderà negativamente, ritenendo non sussistere i requisiti per agire ai sensi dell'art. 412 c.p.p. alla luce delle informazioni ricevute dal Sostituto Procuratore incaricato delle indagini. Il querelante chiede quindi all'ufficio del sostituto procuratore l'invio di dette informazioni, senza mai ricevere risposta.

La seconda istanza di avocazione delle indagini

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A novembre del 2022 il querelante invia al Procuratore Generale una seconda istanza di avocazione, che nuovamente non viene accolta. Ciononostante, il PG dispone l'invio della relazione del Sostituto Procuratore sulla base della quale era stata respinta la prima istanza di avocazione delle indagini.

La sorpresa: il Sostituto Procuratore ha archiviato senza passare dal GIP

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Dalla relazione del Sostituto Procuratore, il querelante scopre che:

  • nonostante la prima istanza di avocazione sia stata avanzata a maggio 2022, il Sostituto Procuratore aveva archiviato de plano già tre mesi prima, a marzo 2022, e comunque tre anni dopo la presentazione della querela;
  • la querela viene dunque archiviata senza alcun controllo da parte del Giudice per le Indagini Preliminari e nessun avviso viene inviato al querelante/persona offesa, che aveva chiesto di essere avvisato dell'eventuale richiesta di archiviazione;
  • la querela è sempre rimasta iscritta a modello 45, registro degli atti non costituenti notizie di reato;
  • Nonostante fosse stato segnalato un concorso pubblico palesemente truccato e nonostante gli autori dei denunciati delitti fossero noti, nessuno è mai stato iscritto nel registro degli indagati;
  • il PM ha firmato il provvedimento di invio all'archivio sulla base del fatto che: il TAR Lombardia e il Tribunale Ordinario non hanno segnalato fatti penalmente rilevanti, anzi "respingendo" le richieste processuali del ricorrente/attore;
  • nel caso del "respingimento" delle richieste sul piano civile, l'informazione sarebbe stata tratta da un articolo pubblicato su StudioCataldi.it a cui era allegata la sentenza di riferimento.

Ancora, dalla relazione del Sostituto Procuratore a giustificazione dell'archiviazione senza il controllo del GIP, si possono trarre le seguenti conclusioni:

  • in tre anni di indagini a seguito di iscrizione a modello 45 il Sostituto Procuratore ha letto un articolo disponibile sul sito StudioCataldi.it e due sentenze;
  • ha basato l'archiviazione sul fatto che il TAR Lombardia e il Tribunale Ordinario abbiano respinto le pretese giudiziarie del ricorrente/attore/querelante, quando in realtà le questioni sottoposte al loro vaglio non sono mai state analizzate nel merito;
  • pare aver rinvenuto una competenza penale previa in capo al giudice amministrativo e al giudice civile.

I pericoli del modello 45 di fronte alla piena discrezionalità del PM

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Ammesso e non concesso che l'ordinamento vigente debba sempre essere al servizio della giustizia, sotto un profilo logico-giuridico non è sicuramente spiegabile come sia possibile iscrivere nel registro delle notizie non costituenti reato la querela contro il professore che ammette, registrato, di aver indetto e deciso le sorti di un bando truccato. Ancor meno spiegabili sono, inoltre, le modalità con cui detta querela viene archiviata, senza alcun controllo né garanzia giurisdizionale di alcun tipo.

A meno che non si faccia inevitabilmente riferimento al potere discrezionale del PM.

Un fenomeno di cui il Ministero della Giustizia si era già accorto nel 2016, anno in cui era stata emanata la circolare dell'11 novembre, che testualmente recita: "Al pubblico ministero non è conferito un potere discrezionale, quanto piuttosto un obbligo giuridico indilazionabile, che deve essere adempiuto senza soluzione di continuità rispetto al momento in cui sorgono i relativi presupposti e che non comporta possibilità di scelta né in relazione all'an, né rispetto al quid e al quando dell'iscrizione. Il pubblico ministero dovrà soltanto riscontrare l'esistenza dei presupposti normativi che impongono l'iscrizione e il suo aggiornamento". In tale contesto, ha fatto notare il Ministero della Giustizia, "il modello 45 è dunque deputato alla registrazione di atti e annotazioni "del tutto privi di rilevanza penale".

Diversamente "l'iscrizione nel mod. 45 di un soggetto compiutamente identificato, per fatti già sussumibili in una specifica fattispecie di reato, può atteggiarsi come meccanismo elusivo del controllo giurisdizionale sulle scelte conclusive della fase delle indagini (azione/inazione), posto l'ormai pacifico riconoscimento al pubblico ministero del cd. potere di cestinazione, e cioè del potere di trasmettere direttamente in archivio le annotazioni non contenenti notizie di reato, senza passare per la procedura prevista dagli artt. 408 ss. (Cass., Sez. un., n. 34/2001)".

Discrezionalità e manipolazione interpretativa della circolare del 2016

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Quanto stabilito con la circolare dell'11 novembre 2016 è ripreso altresì dalla comunicazione del 03.06.2019 da parte del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ai Procuratori Generali presso le Corti d'Appello, e cioè che "il transito seriale di procedimenti già iscritti nel modello 45 al modello 44 o 21, immediatamente seguito dalla presentazione di richieste di archiviazione, senza che alcuna attività di indagine sia stata medio tempore svolta, costituisce un indice significativo del "possibile sviamento dell'iscrizione dalla finalità tipica", a sua volta responsabile di quei fenomeni improprio "sovraccarico dei registri noti e ignoti" che - impedendo una comparazione affidabile dei carichi e dei flussi di lavoro - penalizzano l'efficacia delle scelte ministeriali di assegnazione delle risorse" e aggiunge: "la variazione dell'iscrizione è doverosa quando si renda necessario il compimento di approfondimenti investigativi, diversi e ulteriori dalla mera acquisizione, presso la polizia giudiziaria, delle informazioni finalizzate alle determinazioni sull'iscrizione. In assenza, invece, di evoluzioni cognitive che giustifichino l'avvio di attività di indagine o la riconsiderazione delle scelte selettive operate all'atto della prima iscrizione, il passaggio di registro non appare corretto".

La vicenda pare quindi rientrare nel caso indicato dalla circolare ministeriale e dal Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione.

A fronte di una chiara notizia di reato con la quale è stato segnalato un docente universitario (che, registrato, ha dichiarato di aver indetto e gestito le procedure di un bando pubblico truccato), la querela è stata iscritta tra gli atti non costituenti notizia di reato (modello 45).

Nell'arco delle "indagini" durate tre anni, ogniqualvolta la persona offesa chiedeva di essere sentita, non riceveva risposta alcuna da parte del Sostituto Procuratore, il quale, invece, qualche giorno dopo le richieste si limitava a chiedere documentazione a autorità giudiziarie terze con l'ausilio della P.G.

Riprendendo il contenuto della circolare ministeriale del 2016, il Sostituto Procuratore si sarebbe dunque limitato a una mera acquisizione, con l'ausilio (ma non presso) la polizia giudiziaria, delle informazioni finalizzate alle determinazioni sull'iscrizione, come i provvedimenti giudiziari del Tar Lombardia e del Tribunale Ordinario di Milano (inspiegabilmente utilizzati per determinare la fondatezza di un'eventuale azione penale), che non hanno comportato, come era logico, evoluzioni cognitive che giustificassero l'avvio di attività di indagine o la riconsiderazione delle scelte selettive operate all'atto della prima iscrizione.

L'impossibilità di un controllo giurisdizionale ex art. 410 bis c.p.p.

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Da una parte, l'iscrizione a modello 45 ha una base normativa di carattere primario, da rinvenirsi nell'art. 109 att. c.p.p. che - riferendosi ad atti che possono contenere notizie di reato, da sottoporre immediatamente al Procuratore della Repubblica per l'eventuale iscrizione nell'apposito registro - presuppone l'esistenza di altro registro nel quale inserire quegli atti che, a giudizio insindacabile del P.M., non contengono notizie di reato.

Dall'altra, però, nessuna normativa primaria vigente prevede un istituto o un meccanismo che funga da contrappeso a detto giudizio insindacabile del P.M.. la circolare Ministeriale pare essere l'unico atto normativo (di natura regolamentare) a difesa (ma non troppo) del ricorso effettivo, mentre la legge non indica alcun rimedio contro l'eventuale atto abnorme e totalmente discrezionale del P.M. di archiviare de plano una querela iscritta a modello 45.

Né risulta plausibile il rimedio di cui all'art. 410 bis c.p.p. in base al quale il ricorso al tribunale monocratico presuppone l'esistenza di un decreto di archiviazione, che in questo caso non è stato emesso perché il Giudice per le Indagini Preliminari non è mai stato informato della richiesta di archiviazione ex art. 408 c.p.p., né ha mai potuto esercitare alcun controllo sull'operato del P.M..

La norma in parola, infatti, prevede casi tassativi della nullità del decreto di archiviazione, tra cui:

  • la sua emissione in mancanza dell'avviso di cui ai commi 2 e 3-bis dell'articolo 408 e al comma 1-bis dell'articolo 411, ovvero
  • la sua emissione prima che il termine di cui ai commi 3 e 3-bis del medesimo articolo 408 sia scaduto senza che sia stato presentato l'atto di opposizione
  • se, essendo stata presentata opposizione, il giudice omette di pronunciarsi sulla sua ammissibilità o dichiara l'opposizione inammissibile, salvi i casi di inosservanza dell'articolo 410, comma 1.

Sotto il profilo normativo, dunque, il codice di procedura penale presenta un vulnus importante, che riguarda proprio l'iniziativa penale del pubblico ministero.

Lesione dei diritti umani

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L'art. 112 della Costituzione prevede che il Pubblico ministero abbia l'obbligo di esercitare l'azione penale. Si tratta del principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, secondo il quale il P.M. è vincolato a iniziare l'azione investigativa quando viene a conoscenza di fatti qualificabili come reato.

La lettera della Costituzione non deve, dunque, intendersi in sesso assoluto, trovando una sua mitigazione nell'art. 109, D.lgs. 28 luglio 1989, n. 271 quale base giuridica per la creazione del registro/modello 45 sulle notizie non costituenti fatti di reato. Pare loico, infatti che racconti di fantasia o privi di qualsiasi logica non vengano iscritti nel registro degli indagati e siano direttamente "cestinati" per non contribuire ad ingolfare il sistema giudiziario.

Fuori da questi casi, che comunque devono essere apprezzabili ictu oculi, ci si chiede, tuttavia, come il sistema legislativo ammetta una discrezionalità assoluta del P.M. nel decidere quale notizia di reato sia degna approfondimento investigativo, specie considerando le conseguenze che ciò comporta sia sotto il profilo della legittimità della condotta personale di chi, vale la pena ricordarlo, è pur sempre un funzionario pubblico, sia in merito a questioni più trascendentali riguardanti i diritti della persona offesa, il rispetto dello stato di diritto e la legittimazione dell'ordinamento politico vigente.

Tutti principi dello ius naturale sottesi alla Costituzione italiana e ai Trattati internazionali in materia di diritti umani, tra cui la CEDU e il Patto Internazionale sui diritti civili e politici.

In proposito, sia l'art. 6 della CEDU, sia l'art. 12 del Patto, sono concordi nello stabilire che ogni persona ha diritto a un equo esame della sua causa, pubblicamente ed entro un termine ragionevole, da un tribunale indipendente e imparziale, allorché si tratti di determinare la fondatezza di un'accusa penale che gli venga rivolta, ovvero di accertare i suoi diritti ed obblighi mediante un giudizio civile.

Vale a dire che, se il processo penale offre alla persona offesa la possibilità di costituirsi parte civile, l'inerzia del P.M. di fronte a palesi notizie di reato costituisce null'altro che una violazione del diritto all'equo processo sotto il profilo del right to court prescritto dalla normativa internazionale sui diritti umani. A ciò si aggiunga il fatto che il P.M. ha impiegato tre anni per svolgere indagini del tutto superficiali nonostante la persona offesa gli avesse chiesto di essere sentita e l'avesse informato delle registrazioni audio in suo possesso, motivo per cui il diritto all'equo processo risulterebbe violato anche sotto il profilo della ragionevole durata, come del resto ha stabilito la Corte Europea dei Diritti Umani nel caso Petrella c. Italia.

Se, poi, il diritto all'equo processo risulta violato ancor prima che il processo abbia inizio, come nel caso in oggetto, fermo a una fase che non può nemmeno definirsi quella delle indagini preliminari, allora la CEDU e il Patto internazionale sui diritti civili e politici risulterebbero altresì violati sotto il profilo dei rispettivi art. 13 e 2.a), vale a dire il diritto a un ricorso effettivo che permetta a ogni individuo di difendere i diritti e le libertà stabilite da questi trattati internazionali (rectius: il diritto all'equo processo).


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