In base all'art. 50 c.p.p., il pubblico ministero esercita l'azione penale quando non ricorrono i presupposti per la richiesta di archiviazione

Cos'è l'azione penale

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L'azione penale è l'attività con la quale il pubblico ministero dà avvio al processo penale, a seguito dell'acquisizione della notizia di reato e al ricorrere di determinate condizioni.

Il pubblico ministero è l'unico soggetto autorizzato dal nostro ordinamento a esercitare l'azione penale, ed è a ciò obbligato dal dettato dell'art. 112 della Costituzione.

Tale previsione realizza l'esigenza che venga soddisfatta la pretesa punitiva dello Stato in occasione di ogni fatto che configuri un reato. L'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale è sancita anche in ossequio al principio di eguaglianza, dal momento che non è riservata al p.m. alcuna discrezionalità, una volta che si configurino i presupposti previsti dalla legge per esercitare l'azione.

Quando si esercita l'azione penale

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Norma fondamentale al riguardo è l'art. 50 c.p.p., che delimita i margini di scelta del p.m. in ordine all'esercizio dell'azione penale.

Egli, infatti, è tenuto ad agire in tal senso "quando non sussistono i presupposti per la richiesta di archiviazione". L'archiviazione va infatti richiesta (ma non necessariamente accordata) quando la notizia di reato risulti infondata, perché gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l'accusa in giudizio (cfr. art. 408 c.p.p. e art. 125 disp att. c.p.p.).

Nell'esercizio dell'azione penale, il p.m. agisce d'ufficio, cioè di propria iniziativa, a meno che si tratti di reati per i quali la legge prevede come condizione di procedibilità la proposizione di querela, di richiesta, di istanza o l'ottenimento dell'autorizzazione a procedere.

Una volta esercitata l'azione penale, il p.m. non può più revocarla, come si deduce dall'ultimo comma del citato art. 50.

Indagini preliminari

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L'esercizio dell'azione penale consegue alla chiusura delle indagini preliminari. Giova ricordare che tale fase inizia quando al pubblico ministero perviene una notizia di reato (che viene prontamente iscritta in apposito registro) o una querela, istanza, richiesta o autorizzazione a procedere.

Dalla data di tale acquisizione iniziano a decorrere i termini di durata delle indagini preliminari stabiliti dall'art. 405 c.p.p., che corrispondono a sei mesi oppure a un anno, nel caso di delitti di particolare gravità (tali termini sono prorogabili, rispettivamente, fino a diciotto mesi o due anni, v. art. 407 c.p.p.).

Entro tre mesi dalla scadenza di tale termine (e notificato a norma dell'art. 415 bis l'avviso di conclusione delle indagini preliminari all'indagato e al suo difensore), se non sussistono i requisiti per chiedere l'archiviazione, il p.m. esercita l'azione penale con l'atto di imputazione, che può assumere diverse forme, a seconda del tipo di giudizio da instaurare.

L'atto di imputazione

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Di regola, l'atto di imputazione, contenente le generalità dell'indagato, la descrizione del fatto e l'indicazione delle norme di legge violate, è rappresentato dalla richiesta di rinvio a giudizio, da cui trae origine l'udienza preliminare.

Nei casi in cui non sia prevista tale udienza, e in particolare nelle cause che devono tenersi davanti al tribunale in composizione monocratica (art. 550 c.p.p.), l'azione penale viene esercitata dal p.m. con la citazione diretta a giudizio.

Se vengono instaurati dei procedimenti speciali, invece, l'imputazione è formulata con la citazione per giudizio direttissimo o con la richiesta di giudizio immediato, di applicazione della pena su accordo delle parti o di decreto penale di condanna.

Nel processo che consegue all'atto di imputazione, il giudice sarà tenuto a esprimersi esclusivamente sul fatto storico che ne è oggetto.


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