Per la Cassazione, la testata all'avversario a gioco fermo non è giustificata dall'attività sportiva, per cui scatta il reato di lesioni personali

Reato di lesioni personali

Reato di lesioni personali, senza giustificazione dell'attività sportiva, per il calciatore che colpisce con una testata l'avversario a gioco fermo. Lo afferma la quinta sezione penale della Cassazione nella sentenza n. 11225/2023 (sotto allegata), decidendo il ricorso di un imputato per il reato di lesione personale per aver colpito, con una violenta testata, il giocatore e nel corso di un incontro calcistico, violando volontariamente le regole del calcio e venendo meno ai doveri di lealtà verso l'avversario.

Il ricorrente adisce il Palazzaccio denunciando erronea applicazione della legge penale e correlati vizi di motivazione in riferimento al mancato riconoscimento della causa di giustificazione dell'esercizio dell'attività sportiva, posto che il fatto contestato, come da dichiarazioni dei testi, evidenziavano che la vicenda si fosse svolta durante lo svolgimento della partita e non nella fase di "gioco fermo", come erroneamente ritenuto dal giudice di pace, sicché non poteva trattarsi di antagonismo sportivo in quanto, come riferito dalla stessa persona offesa, non vi era stato alcuno scontro verbale o litigio con l'imputato nel corso del gioco.

Inoltre, la condotta, a suo dire, doveva ritenersi penalmente irrilevante, in quanto non contraria alle regole sportive, stante anche la valutazione dell'arbitro che non aveva comminato alcuna sanzione all'imputato.

Per gli Ermellini, però, il ricorso è inammissibile.

Intanto, le doglianze del ricorrente sono versate in fatto e finalizzate ad ottenere una rivalutazione delle prove non consentita in sede di legittimità.

Il giudice di pace, inoltre, con motivazione congrua ed esente da vizi logici, ha chiarito che l'imputato ha colpito il suo avversario "durante una fase di gioco fermo stante il recupero del pallone fuoriuscito dal rettangolo di gioco", tanto che "gli altri compagni di squadra della parte offesa invitavano l'arbitro a sanzionare l'accaduto, ma quest'ultimo non prendeva alcun provvedimento poiché non aveva visto direttamente l'aggressione". Per cui, è stata ritenuta "la volontarietà delle lesioni in ragione della fase di gioco fermo", con esclusione che il colpo sia stato "frutto del solo agonismo sportivo".

La decisione del giudice di pace è, perciò, conforme ai principi affermati dalla corte di legittimità in materia di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva.

Invero, ricordano dal Palazzaccio, "non sussistono i presupposti di applicabilità della scriminante sportiva:

  • quando si constati assenza di collegamento funzionale tra l'evento lesivo e la competizione sportiva;
  • quando la violenza esercitata risulti sproporzionata in relazione alle concrete caratteristiche del gioco e alla natura e rilevanza dello stesso;
  • quando la finalità lesiva costituisce prevalente spinta all'azione, anche ove non consti, in tal caso, alcuna violazione delle regole dell'attività".

Ancora, si è affermato che, in tema di competizioni sportive, anche laddove la condotta avvenga nel corso dell'azione di gioco, la stessa, non può certo "ricomprendere indiscriminatamente tutto ciò che avvenga in campo, sia pure nei tempi di durata regolamentare dell'incontro".

Ergo, ricorso inammissibile e ricorrente condannato anche a pagare le spese processuali e a versare 3mila euro alla Cassa delle Ammende.

Scarica pdf Cass. n. 11225/2023

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