Per la Corte di Giustizia UE viola la parità di trattamento di cui alla direttiva 2011/98 la concessione degli assegni di natalità e maternità ai soli soggiornanti di lungo periodo

Assegni natalità e maternità agli stranieri con solo permesso di soggiorno

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L'art. 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE, riguardante la procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro, va interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che esclude i cittadini di paesi terzi di cui all'articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e c), di tale direttiva dal beneficio di un assegno di natalità e di un assegno di maternità previsti da detta normativa.

Dunque, non può ritenersi aderente ai principi espressi dal diritto dell'Unione Europea la normativa nazionale che limita la concessione degli assegni di natalità e di maternità solo ai cittadini di Paesi terzi che sono soggiornanti di lungo periodo.


Lo ha chiarito la Corte di Giustizia dell'Unione europea con una sentenza depositata il 2 settembre (qui sotto allegata) resa nella causa C-350/20 a seguito della domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte Costituzionale italiana.

Diritto alla parità di trattamento

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L'istanza verte sull'interpretazione dell'art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea nonché dell'art. 3, paragrafo 1, lettere b) e j), del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale e dell'art. 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE del Parlamento

europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro.


La vicenda origina dall'istanza di alcuni cittadini di paesi terzi, legalmente soggiornanti in Italia e titolari del solo permesso unico di lavoro (ex d.lgs. n. 40/2014, recante attuazione della direttiva 2011/98) i quali si erano visti negare dall'INPS il beneficio dell'assegno di natalità poiché non titolari dello status di soggiornanti di lungo periodo.


Le loro richieste vengono accolte dai giudici di merito italiani che fanno applicazione del principio della parità di trattamento, di cui all'art. 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98. Di seguito, la Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi a seguito delle impugnazioni delle decisioni di merito, solleva alcuni dubbi di costituzionalità in relazione alla normativa in materia e per questo chiede l'intervento della Consulta.


A sua volta, la Corte Costituzionale ritiene di adire la CGUE al fine di poter interpretare la normativa italiana alla luce delle indicazioni vincolanti fornite dal diritto dell'Unione. In dettaglio, il giudice del rinvio interroga la Corte sull'interpretazione dell'articolo 34 della Carta al fine di stabilire se l'assegno di natalità e l'assegno di maternità rientrino nell'ambito di applicazione di quest'ultimo e se l'articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 osti a una normativa nazionale che esclude i cittadini di paesi terzi, titolari di un permesso unico di lavoro e soggiorno UE, ai sensi dell'articolo 2, lettera c), di tale direttiva, dal beneficio di detti assegni (già concesse agli stranieri titolari di permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo).

Prestazioni rientranti nei settori della sicurezza sociale

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Come si legge nella sentenza in commento, l'art. 12, paragrafo 1, della direttiva 2011/98 (Diritto alla parità di trattamento) si applica sia ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi a norma del diritto dell'Unione o nazionale, sia ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini diversi dall'attività lavorativa a norma del diritto dell'Unione o nazionale, ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento n. 1030/2002.


Tale disposizione, dunque, non si limita a garantire la parità di trattamento ai titolari di un permesso unico di lavoro, ma si applica anche ai titolari di un permesso di soggiorno per fini diversi dall'attività lavorativa che sono autorizzati a lavorare nello Stato membro ospitante.

Per poter beneficiare della parità di trattamento prevista dall'art. 11 cit., spiegano gli eurogiudici, è necessario che le prestazioni di cui trattasi rientrino nei settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento n. 883/2004.

A seguito di un'attenta analisi della normativa nostrana, la Grande Sezione precisa che sia l'assegno di natalità che l'assegno di maternità rientrano nei settori della sicurezza sociale per i quali i cittadini di paesi terzi di cui all'articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e c), della direttiva 2011/98 beneficiano del diritto alla parità di trattamento di cui all'articolo 12, paragrafo 1, lettera e), di tale direttiva.

Assegni di natalità e maternità

In particolare, l'assegno di natalità, inizialmente concesso ai nuclei familiari le cui risorse non superavano un determinato tetto massimo fissato dalla legge, tale assegno è stato successivamente esteso a tutti i nuclei familiari senza la condizione della disponibilità di risorse. Risulta ai giudicanti che tale prestazione è concessa automaticamente ai nuclei familiari che rispondono a determinati criteri oggettivi definiti ex lege, prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle esigenze personali del richiedente.

Risulta, inoltre, che anche l'assegno di maternità sia concesso automaticamente alle madri che rispondono a determinati criteri obiettivi definiti ex lege, prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle esigenze personali dell'interessata. In particolare, l'assegno di maternità è concesso o negato tenendo conto, oltre che dell'assenza di un'indennità di maternità connessa a un rapporto di lavoro o allo svolgimento di una libera professione, delle risorse del nucleo di appartenenza della madre sulla base di un criterio obiettivo e definito ex lege, vale a dire l'indicatore della condizione economica, senza che l'autorità competente possa tener conto di altre circostanze personali.

Cittadini con permesso unico UE

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Alla luce dell'insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che l'articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che esclude i cittadini di paesi terzi di cui all'articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e c), di tale direttiva dal beneficio di un assegno di natalità e di un assegno di maternità previsti da detta normativa.

In conclusione, la Corte "boccia" per contrarietà al diritto UE la legge interna che esclude i cittadini di Paesi terzi dai benefici suddetti, tanto più sul rilievo che costituendo il regime di permesso unico, la Repubblica italiana non si è avvalsa della facoltà offerta agli Stati membri di limitare la parità di trattamento come previsto dalla direttiva 2011/98.

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